A proposito dello scontro tra sindaci e Salvini. Riscoprire il dovere della disobbedienza
Un dibattito spesso assurdo si è acceso sul gesto di disobbedienza del sindaco di Palermo Leoluca Orlando, a cui si è unito subito quello di Napoli Luigi De Magistris e poi successivamente molti altri, tra cui diversi del Pd (a partire da quello renziano di Firenze, Dario Nardella) che hanno cercato di raccogliere qualche briciola di consenso pur formulando la loro adesione in modo così ambiguo da svuotarla di quasi ogni significato. Il peggio è stato offerto dalle molte interviste a magistrati, e a membri o ex presidenti della Corte Costituzionale, che anche nel caso di perplessità sulle scandalose misure volute dal governo gialloverde per gettare nella clandestinità moltissimi immigrati hanno confermato di essere ancor più ostili a qualsiasi forma di disobbedienza civile a una qualunque legge, anche se infame. Casomai secondo loro si tratta di aspettare i tempi lunghissimi della Consulta, peraltro abilissima nell’anguilleggiare, tanto più che è confortata dall’ambiguità sistematica dei pronunciamenti dell’attuale presidente della repubblica e di tutti i suoi predecessori…
Tra gli argomenti in discussione, è stato evocato anche il caso degli obiettori di coscienza al servizio militare, liquidandolo però come se fosse stato un episodio marginale e di breve durata felicemente concluso dall’istituzione di un servizio civile alternativo, mentre per anni molti pacifisti avevano scontato lunghe pene detentive, contribuendo con la loro sofferenza e testimonianza alla modifica della normativa. In realtà sono molti i casi in cui è stato necessario e utile violare le leggi esistenti, ed è merito di settori cattolici minoritari ma non insignificanti che sono stati in prima linea soprattutto contro le guerre ingiuste anche se sancite da un parlamento vile e servile (capace di attestare solennemente perfino la discendenza da Mubaraq di una delle ninfette prezzolate di Berlusconi). Penso a grandi figure come il vescovo di Molfetta Tonino Bello o quello di Ivrea Luigi Bettazzi, che decurtavano la loro bolletta delle tasse di quanto concerneva le spese militari, anche se un parlamento aveva ribattezzato come imprese umanitarie quelle guerre infami. [Almeno fino a pochi anni fa Bettazzi mi aveva confermato che lui e gli eredi di Tonino Bello erano ancora perseguitati dal fisco per quel gesto.]
Ma i loro gesti di coraggiosa disobbedienza brillavano particolarmente per contrasto sia al comportamento complice e/o ipocrita della Chiesa ufficiale, sia alla sparizione progressiva delle sinistre dal terreno della lotta vera e non simulata che le aveva caratterizzate in passato. Nel decennio immediatamente successivo al 1947 (la cacciata di PCI e PSI dal governo di Unità Nazionale) non solo tanti militanti di base, ma anche diversi sindaci avevano sfidato l’arroganza del controllo prefettizio con delibere formalmente in contrasto con le leggi varate dal parlamento e imposte con la violenza poliziesca dal ministro degli Interni Scelba. Fu questa capacità di disobbedire che preparò la riscossa iniziata negli anni Sessanta, e quindi le grandi conquiste del 1968-1975, mentre viceversa l’avvicinamento del PCI e della CGIL alle anticamere del potere facilitò la controffensiva del padronato degli anni Ottanta.
Pochi hanno accennato a un altro caso, ben più importante, in cui disobbedire sarebbe stato necessario. Il dovere di disobbedire è stato praticato solo da una minoranza eroica durante la seconda guerra mondiale e lo sterminio di ebrei, rom e slavi è stato possibile e facile perché tanti Eichmann di ogni paese ritenevano fosse doveroso ubbidire a una legge senza domandarsi nulla sulla sua moralità. La terribile “banalità del male” di cui ha parlato Hanna Arendt.
Ho voluto ricordare questi casi di disobbedienza, senza entrare come fanno i commentatori (anche non particolarmente ostili ai due sindaci promotori) nel merito di loro eventuali calcoli politici elettorali. In ogni caso hanno fatto bene a rompere un immobilismo di lunga durata. Sta a noi impedire che il loro gesto si riduca a un simbolo spendibile a livello elettorale; sta noi impegnarsi per ricostruire una sinistra capace di disubbidire e lottare, senza spaventarsi di partire in pochi a esplorare una strada che sembrava dimenticata e che invece è la sola che ha permesso conquiste durature.