Primarie, the day after: Zingaretti vola a Torino da Chiamparino per chiedere lo sblocco dei cantieri Tav
E allora il Pd? Allora, alle primarie, ha vinto Zingaretti che, dopo nemmeno 24 ore, ha fatto capire da che parte sta. Dalla parte del Tav. E adesso chi glielo spiega a tutti quelli che speravano fosse una svolta a sinistra del partito erede di Pci e Dc? A chi, dal fianco sinistro che Smeriglio ha edificato a misura di Zingaretti, vuole far credere che dalle primarie possa giungere lo stimolo per un “campo largo” «per connettere comunità che già costruiscono l’alternativa».
La sera prima ha dedicato la vittoria alla ragazzina svedese che sta svegliando il mondo sulla catastrofe climatica e il giorno appresso Nicola è partito per Torino dove ha parlato di Tav, infrastrutture, cantieri, indotto, imprese, posti di lavoro – in perfetta sintonia con Landini che, infatti, si congratula per la vittoria. «Se il buongiorno si vede dal mattino non possiamo che constatare che prevale la continuità – ha commentato Maurizio Acerbo, segretario del Prc – se il primo atto è il sostegno all’isterica campagna per la Tav in Val di Susa, davvero appare come meramente pubblicitario il messaggio ai giovani che lottano per la salvezza del pianeta».
[vedi anche l’articolo di Eleonora Forenza]
«Questo paese è in ginocchio, la produzione industriale è crollata il fatturato delle aziende è fermo e i cantieri del paese sono fermi», ha detto Zingaretti appena eletto. E ancora: «La Lega di Salvini è contro gli interessi del Nord». Nei prossimi giorni non sono escluse altre sortite del genere.
I nodi sull’organizzazione del partito e delle europee del 26 maggio sono già sul tavolo del neosegretario. Intanto dai primi calcoli sulle percentuali, emerge che Zingaretti avrà una maggioranza “renziana” nell’assemblea nazionale: circa 660 delegati rispetto ai 220 di Martina, e ai 120 di Giachetti che ne reclama non meno di 150. Una puntualizzazione che fa uscire in chiaro la tensione nel dietro le quinte del day after. Il presidente dell’assemblea, e quindi del partito, dovrebbe essere Paolo Gentiloni. Mentre Antonio Misiani potrebbe tornare all’incarico di tesoriere. Quanto alla segreteria sarà questione dei prossimi giorni. A Montecitorio e Palazzo Madama, però, i renziani restano maggioranza (illuminate il titolo domenicale di un diffuso quotidiano: “Renzi aspetta il dopo Renzi nel fortino dei gruppi parlamentari).
La partita delle europee
L’altro fronte caldo per il neo segretario dem è quello delle elezioni europee: le liste vanno consegnate a metà aprile, dopo appena un mese dall’Assemblea del 17 marzo con l’insediamento ufficiale al Nazareno. Zingaretti si è già mosso con l’ingaggio di Giuliano Pisapia, che dovrebbe essere capolista al nord. Nei prossimi giorni incontrerà gli altri soggetti interessati ad una comune battaglia antisovranista in Europa. I Verdi si sono detti già «disponibili a incontrarlo», e per Federico Pizzarotti Zingaretti «sarà certamente un interlocutore importante». Roberto Speranza, Mdp (che ha tra le sue fila alcuni eurodeputati usciti sì dal Pd ma tuttora nel gruppo del Pse), ha detto all’Adnkronos che «se Zingaretti volterà pagina, noi siamo pronti a fare la nostra parte». Il coordinatore di Mdp ha quindi chiarito che «nessuno di noi ha intenzione di rientrare nel Pd» ma per costruire un’alternativa «forte e credibile alla destra» non basta «il Pd da solo e neanche le altre sigle» del centrosinistra. «C’è bisogno di costruire qualcosa di nuovo». Inoltre, ci sarà certamente un faccia a faccia con +Europa. Che, però, ha nicchiato. Emma Bonino ha lodato le primarie dem: «Una iniezione di impegno» e un «ottimo risultato» per Zingaretti. Ma Benedetto Della Vedova ha chiarito: «La nostra opzione è distinta anche in chiave europea», loro sono di casa con i liberali dell’Alde, mentre il Pd è col Pse. «Una lista ecologista e federalista europea, che io chiamerei Europa, ecologia», con +Europa, Verdi, Italia in comune e Volt, è quanto auspica per le elezioni europee il tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, Marco Cappato, ex candidato alla segreteria di +Europa. L’orizzonte del nuovo primo inquilino del Nazareno resta quello di aprire il Pd, alle europee in lista ci sarà spazio per la società civile. Ilaria Cucchi si è tirata fuori («non ho intenzione di candidarmi», ripete da giorni), Massimo Cacciari è pronto – «Ne discutiamo» mentre Enrico Letta ha detto “no, grazie”. Il Governatore del Lazio ha firmato “Siamo Europei”, il manifesto di Carlo Calenda, che Paolo Gentiloni ha declinato in modo ancora più accattivante, per presentare una lista di europeisti in grado di contendere il primato «alla Lega di Salvini»; con l’ambizione di puntare al 30%, ha sottolineato Calenda. Da Giuseppe Sala arriva un consiglio: «il Pd adesso è alla prova della verità, io penso che debba semplicemente fare una cosa: non deve avere un atteggiamento egemone», la cosa che gli chiede Calenda. Tutto ciò mentre la compagine europea di cui fa parte il Pd vede alcuni dei soci impegnati in maquillage più o meno drastici per darsi un contegno di sinistra (Psoe o Spd) e altri, come il maltese Muscat (con Renzi e i danesi), che vorrebbero un fronte da Macron a Tsipras e sono favorevoli ad allearsi con l’Alde.
Il Pd del Nord e il Pd del Sud
Il neo segretario dovrà affrontare quanto prima anche la questione dell’atteggiamento da tenere in Parlamento rispetto a M5s, che oggi ha lanciato un amo sul salario minimo, proposta dei Dem già in campagna elettorale. Ma la questione si pone anche sulle riforme costituzionali (referendum propositivo e taglio dei parlamentari) e sul regionalismo differenziato, su cui il Pd è diviso tra parlamentari del Nord e del Sud. «Ho iniziato ad ascoltare i presidenti delle giunte regionali del centrosinistra – ha detto Zingaretti – il prossimo passo sarà mettere in campo una nuova proposta di tutto il centrosinistra sul tema delle autonomie»: tenendo insieme Chiamparino, Vincenzo De Luca e Michele Emiliano.
La discontinuità che non c’è
Per molti la speranza è quella che esprime Pietro Grasso, leader di Leu: «Mi auguro che il Pd cambi strada rispetto al recente passato. Le occasioni non mancano: dal no all’autonomia differenziata al rilancio del lavoro, dei diritti, della difesa della Costituzione». Ma Zingaretti è stato un supporter delle riforme renziane, schieratissimo con il Sì al referendum costituzionale. E, in buona compagnia con i suoi competitor, già durante la campagna per le primarie, ha escluso la possibilità di una patrimoniale sulle ricchezze più ingenti (il 5% più ricco degli italiani detiene il 43,7% della ricchezza complessiva), elementare misura di redistribuzione, come l’introduzione di una patrimoniale sulle grandi ricchezze, così come ha escluso il ripristino dell’articolo 18. E’ incredibilmente difficile leggere segnali di discontinuità con il renzismo su questioni fiscali e del lavoro, come pure sulle grandi opere. «Mi auguro che ci sia una discontinuità con il passato, ma per ora nel Pd vedo una grande continuità», commenta Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra italiana (Si) e deputato di Liberi e Uguali (LeU) ma, intanto, Zingaretti ottiene la sospensione del giudizio del sindaco di Napoli Luigi De Magistris, leader di Dema. E forse qualcosa di più: «Tra i candidati alla segreteria del Pd sicuramente Zingaretti è quello che si presenta apparentemente con i maggiori connotati di novità – ha detto de Magistris, ormai lontano dall’idea di una lista alternativa per le prossime europee – se si apre una fase nuova nuova nelle parole, nei contenuti e anche nelle persone allora sicuramente con un’esperienza come quella napoletana, che ha sempre cercato il dialogo con chi non ha posizioni fasciste, xenofobe e anticostituzionali ci potrà essere un dialogo come lo abbiamo sempre cercato».
Né Corbyn, né Sanders
Zingaretti non è né Corbyn né Sanders ma in tanti lo hanno votato perché vorrebbero un Sanders o un Corbyn, e hanno scambiato le primarie – un atto di delega – per un momento di partecipazione. Se il successo di Di Maio e Salvini è l’esito di un rancore diffuso, il relativo successo della kermesse ai gazebi è l’altra faccia della paura. La paura di restare soli, l’illusione di sentirsi parte di qualcosa di grande, grande come la piazza di Milano, ma tra i grandi elettori di Zingaretti c’è quel Minniti che ha consegnato migliaia di persone a chi gestisce i lager della Libia, che ha deliberato i Cpr che sta facendo costruire Salvini e quel Prodi che quei lager li ha aperti con una legge dei suoi ministri Turco e Napolitano. Lo scrittore e giornalista Luca Pisapia, su un social, ha ricordato che «alle primarie dieci anni fa votavano cinque milioni di persone e in un lento e costante declino oggi nemmeno due» e che il Pd è «un partito figlio di due esperienze come la dc e il Pci che al di là di un sistema di welfare, storicamente necessario al capitale, per il resto ci hanno regalato il primo le bombe nelle piazze e il secondo la persecuzione di tutto quanto di libertario si muoveva alla sua sinistra. Un partito che da quando esiste come tale ha solo distrutto la vita i sogni e le speranze di almeno tre generazioni (dal pacchetto Treu al jobs act), ha promulgato leggi liberticide e nazistoidi dalla Turco napolitano e al decreto Minniti… va bene la disperazione, vanno bene le pulsioni di morte, ma non potremmo festeggiare, che so, la rivoluzione d’ottobre, i riti dionisiaci, i misteri eleusini, dobbiamo proprio festeggiare la lenta e straziante agonia del Pd?».
Vincere la paura, recuperare coscienza e legami sociali, è una strada lunga ma non può essere delegata al segretario del partito che ha sciolto quei legami nell’acido del neo liberismo. La ricerca deve continuare anche se uno schieramento alternativo alle destre razziste, al Pd liberista, al qualunquismo reazionario del M5S avrebbe già dovuto costruirsi da prima, non semplicemente in funzione della scadenza elettorale, ma sul terreno delle iniziative di lotta e sociali, nella riattivazione del sindacalismo di classe, nel lavoro per unire tra loro i diversi movimenti di resistenza alle politiche liberiste dei governi capitalisti e nella completa chiarezza di alternatività alle forze del vecchio/nuovo centro sinistra.