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Siamo davvero in cattive acque

Viaggio di Legambiente nell’Italia delle buone e cattive acque, alla vigilia della giornata mondiale dell’acqua 

Dall’inquinamento da Pfas in Veneto e in Piemonte alla contaminazione della Valle del Sacco. Dai reflui sversati nel fiume Sarno e nel lago d’Orta al problema della gestione delle falde nelle aree post sisma dove si sono registrate anomalie nel regime idrologico dei corsi d’acqua. Storie di inquinamento e di malagestione dei corpi idrici, non mancano però le buone pratiche che mettono al centro la tutela dell’acqua attraverso ad esempio la stipula di Contratti di Lago o progetti di citizen scienze. Legambiente: “Serve un nuovo approccio gestionale sul tema dell’acqua, un rafforzamento dei controlli ambientali e la completa attuazione della diretta quadro sulle Acque 2000/60 non più rimandabile”  

Acque troppo spesso inquinate, sprecate, e poco tutelate. Fiumi, laghi e falde della Penisola non godono di buona salute e sono minacciati dall’inquinamento chimico, da attività agricole non sostenibili e da quelle industriali, dalla maladepurazione che si ripercuote sui corpi idrici; ma anche dal sovrasfruttamento delle acque a scopo idroelettrico. Un report di Legambiente, “Buone e cattive acque”, alla vigilia della giornata mondiale dell’acqua, fa il punto dall’inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche (Pfas), nelle falde tra le provincie Verona, Vicenza e Padova (un territorio di circa 180 chilometri quadrati) e che mette a rischio 300mila cittadini. Un inquinamento che, da poco tempo, si è scoperto essere presente in Piemonte, nella provincia di Alessandria, per passare al lago d’Orta che negli ultimi tempi è stato al cento di nuovi episodi di inquinamento, nonostante sia stato avviato negli ultimi anni un faticoso iter di recupero per salvare il bacino lacustre, definito in passato batteriologicamente morto a causa della contaminazione da metalli pesanti e acidificazione delle acque. E poi c’è la Valle del fiume Sacco, nel Lazio, dove l’inquinamento diffuso ed i ritardi nelle operazioni di bonifica stanno mettendo in ginocchio diversi territori.

Acqua sprecata

Anche l’agricoltura non sostenibile può creare criticità alle risorse idriche a causa, ad esempio, dell’uso indiscriminato di pesticidi, come accade in Emilia Romagna oppure a causa della concomitanza di insediamenti urbani e industriali come accade per le lagune costiere di Lesina e Varano in Puglia. O dell’inquinamento del fiume Sarno in Campania dovuto ai reflui civici, alle attività agricole e industriali; odelle “acque che nessuno vuole” provenienti dal canale Scolmatore Nord ovest in provincia di Milano, un canale artificiale costruito per mitigare il rischio idrogeologico dell’area, che nel tempo sono diventate fogne a cielo aperto a causa della forte antropizzazione dei territori limitrofi. C’è poi la cattiva gestione dei corsi d’acqua per uso idroelettrico, come denunciato da anni dai territori dell’area alpina, dove il deflusso minimo vitale e gli aspetti ecosistemici vengono troppo spesso elusi per garantire piccole produzioni di energia, come nel caso del torrente St. Barthélemy in Valle d’Aosta, il fiume Spoel in Lombardia, e l’Isonzo in Friuli Venezia Giulia.

Acque salvate

Ma in questa mappa dci sono anche buone pratiche e storie di “acque salvate” come ad esempio i progetti che diventano strumenti di governance partecipata e riqualificazione ecologica come quello del sottobacino Lambro Settentrionale, come Volontari per Natura, il grande progetto nazionale di citizen scienze che coinvolge volontari di tutta Italia attraverso  cinque campagne di monitoraggio , tra cui quella sulla qualità dell’acqua, con la mappatura del beach litter, la ricerca di scarichi sospetti in mare e nei laghi, il campionamento delle acque dei fiumi, piuttosto che il progetto VisPo, che coinvolge giovani volontari under 30 in attività di pulizia valorizzazione delle sponde del fiume Po e dei suoi affluenti nel territorio piemontese. E poi il progetto “BrianzaStream”, in fase di sperimentazione, che attraverso l’utilizzo di droni dà la “caccia” agli scarichi inquinanti che si riversano nel fiume Seveso e nel suo affluente Certesa.

I corsi d’acqua risentono, sempre più, dei cambiamenti climatici e dei fenomeni estremi di siccità come quella registrata nell’estate del 2017. Recentemente la stessa Commissione Europea ha ribadito all’Italia la necessità di tutelare le acque interne e costiere e di dare piena attuazione alla direttiva quadro sulle Acque 2000/60, che stabilisce parametri e criteri per classificare i corpi idrici, superficiali e profondi, in “classi di qualità” per lo stato ecologico, chimico, e quantitativo e ne chiede il raggiungimento o il mantenimento del buono stato ecologico entro il 2027. Obiettivo che, nonostante la scadenza posticipata rispetto al 2015, termine previsto inizialmente, resta ambizioso e soprattutto non più rimandabile.

In base ai monitoraggi eseguiti per la direttiva Quadro Acque, nel quinquennio 2010-2015 lo stato attuale dei corpi idrici italiani – secondo gli ultimi dati Ispra – vede nella Penisola solo il 43% dei 7.494 fiumi in “buono o elevato stato ecologico”, il 41% al di sotto dell’obiettivo di qualità previsto e ben il 16% non ancora classificato. Ancora più grave la situazione dei 347 laghi, di cui solo il 20% è in regola con la normativa europea mentre il 41% non è stato ancora classificato. Lo stato chimico non è buono per il 7% dei fiumi e il 10% dei laghi, mentre il 18% e il 42% rispettivamente non è stato classificato. La maggior parte dei fiumi non classificati si trova nei distretti idrografici dell’Appennino Meridionale e della Sicilia (55% e 56% rispettivamente), così come per i laghi (73% e 84% rispettivamente). Per garantire misure risolutive calibrate sulle problematiche specifiche di ciascun bacino idrografico, Legambiente ritiene necessario completare la rete dei controlli ambientali, e uniformare su tutto il territorio nazionale il monitoraggio. Il cambiamento necessario passa attraverso parole chiave come riqualificazione dei corsi d’acqua e rinaturalizzazione delle sponde, contrasto all’impermeabilizzazione dei suoli, miglioramento del trattamento di depurazione e implementazione del riutilizzo delle acque a 360° (dai fini industriali a quelli irrigui e domestici), rafforzamento dei controlli ambientali, innovazione e completa attuazione delle direttive europee, a partire da 2000/60 e una corretta depurazione dei reflui fognari, una persistente emergenza che ha portato l’Italia ad avere quattro procedure di infrazione di cui le prime due già sfociate in condanna, la terza in fase di deferimento alla Commissione europea e l’ultima in fase di messa in mora.

Cattive acque

Lo scorso aprile l’azienda sanitaria di Matera ha emesso delle ordinanze per vietare l’uso e consumo di acqua a scopo potabile in alcuni comuni delle costa Jonica tra cui: Policoro, Nova Siri, Scanzano e alcune zone di Metaponto Lido. Il motivo è legato al superamento dei valori di trialometani oltre la soglia consentita. E’ cronica l’emergenza per contaminazione da tratracloroetilene presente nella provincia di Avellino, che ancora paga l’eredità del polo industriale della concia e poi della grave emergenza dei SIN (Siti di interesse Nazionale da bonificare) nell’area della Van Basento (in Basilicata). Diversi sono stati i divieti di utilizzo delle acque di falda emessi dai sindaci su indicazione dell’Azienda Sanitaria Locale di Matera (ASM), non solo nelle zone della valle del Basento, ma anche in quelle porzioni di territorio limitrofo in cui le falde potevano essere state contaminate. E la gestione delle falde acquifere dell’Appennino Centrale nelle aree post sima dove, a seguito del terremoto del 2016 si sono registrate anomalie nel regime idrologico dei corsi d’acqua come alla sorgente del Torbidone, nel comune di Norcia che, scomparsa dopo il terremoto del 1979, ha ricominciato a funzionare dopo il 30 ottobre 2016 con una portata che è andata via via aumentando fino a raggiungere, all’inizio di febbraio, circa 1600 l/s. Anomalie che andranno gestite per evitare lo svuotamento della falda.

Acqua sotto pressione: Agricoltura non sostenibile e sviluppo urbano, attività industriali, ma anche prelievi e derivazioni dei corpi idrici (per gli impianti di piscicoltura, usi idroelettrici, industriali, agricoli e civili per il prelievo di acque potabili) sono le principali pressioni antropiche che ostacolano il raggiungimento degli standard ambientali dei corpi idrici. L’uso agricolo ha il peso maggiore sia sui corpi idrici sotterranei che superficiali, e questi ultimi subiscono anche l’impatto dei prelievi per uso idroelettrico. In Italia si consumano annualmente oltre 26 miliardi di metri cubi di acqua. In particolare, il 55% circa della domanda di acqua proviene dal settore agricolo, il 27% da quello industriale e il 18% da quello civile. Il prelievo di acqua supera però i 33 miliardi di metri cubi. I consumi rappresentano, infatti, poco meno del 78% dei prelievi a causa di un ammontare di perdite pari a circa il 22%, ossia 7 miliardi di metri cubi all’anno, del prelievo totale e di queste il 17% è rappresentato delle perdite che avvengono nel settore agricolo. (Dati Water Management Report 2017). Legambiente preme per una riconversione del sistema di irrigazione puntando a sistemi di microirrigazione a goccia, che possono garantire almeno il 50% del risparmio di acqua utilizzata, e rivedere completamente il sistema di tariffazione degli usi dell’acqua, con un sistema di premialità e penalità che valorizzi le esperienze virtuose.

Anche l’inquinamento chimico resta una criticità per le acque comunitarie. Solo nel nostro Paese, stando agli ultimi dati disponibili, nel 2016 sono state emesse oltre 280 tonnellate di metalli pesanti direttamente nei corpi idrici, che si aggiungono alle sostanze organiche e inorganiche emesse dalle attività industriali. (Dati E-PRTR).

Buone Acque

Tre progetti coinvolgono il fiume Olona, in Lombardia (“Olona entra in città” che prevede la ricostruzione del corridoio ecologico fluviale nel tessuto metropolitano”, il “Sistema Olona” che ha al centro il ripristino dell’habitat e i “Progetti del Parco dei Mulini” con il ripristino habitat e di aree di fruizione).  C’è poi la storia dell’Ufficio Acque della provincia di Cuneo che dimostra come rispettare norme in difesa dell’ambiente sia possibile anche quando la loro applicazione si fa difficile. Quella del Canale Navile di Bologna che si intreccia con il Comitato “Salviamo il Navile” che nel 2017 ha presentato un progetto di iniziativa popolare per salvarlo, e conseguentemente a questa azione il Comune di Bologna ha costituito un gruppo di lavoro. Nel 2018 sono arrivati due passi positivi per salvare il Canale.  Tra le altre buone pratiche anche la storia del Contratto di Lago di Massaciuccoli, in Toscana, che ha coinvolto diversi soggetti per individuare e definire le azioni per la tutela e lo sviluppo dell’area. Ed infine alcune iniziative che coinvolgono associazioni, istituzioni e cittadini a livello europeocome il Big Jump, la campagna per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema della qualità delle acque e sul recupero della balneabilità dei grandi corsi d’acqua, e #ProtectWater, la campagna della coalizione “Living Rivers” a difesa della Direttiva europea sull’Acqua.

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