Insomnia tour al rush finale. Lo spettacolo (stanco) del Belpaese e dei travagli nel governo gialloverde
Povero Grillo. E poveri noi. L’avevamo lasciato tant’anni fa, una bella sera, nella brutta copia italiana di Versailles. Nella reggia di Caserta, quando questa non era ancora un pisciatojo dismesso e una cultivar d’ortiche e d’altri erbaggi. Serata niente male, un futuro dilà da venire, per lui e per noi. L’abbiamo ritrovato in giro per i teatri d’Italia, in uno spettacolo chiamato Insomnia – ultime tappe a San Marino e al Politeama di Genova – a fare il verso all’insonnia della ragione che genera mostri, parafrasando Goya. Svolazzanti non sull’artista ma sulle genti italiote, in primis. E sul futuro, alle nostre spalle.
Grillo, dicevamo. La sua tournée casca come l’asino dove vuole il detto, nell’ora di massimo travaglio nel malassorto team gialloverde, sotto botta e sul punto di rottura. Ai travagli della creatura da lui fondata, a questo rimestar d’antico più che doglie di tempi nuovi, avrebbe declamato il poeta, il fondatore non è estraneo, né corrèo. A malapena coinvolto. Va dato atto a Grillo d’essere stato il Deus ex machina d’un movimento che rappresenta la gran novità nella scienza politica d’inizio millennio. Dell’Italia fucina politica a livello globale, come già il Cavaliere nel ventennio a cui ha dato il nome e la Buonanima del fascismo, il ventennio doc del Novecento. A differenza però di questi e di quello, e a prescindere dal senso politico, d’opposto segno, il Gran commediante non è stato messo fuori gioco da una trama inglese al termine d’una guerra mondiale, né da un complotto europeista favorito dalla magistratura, e a dispetto di questa e nostro ancora tra i cabasisi, per dirla come un noto commissario.
No. Grillo, come i suoi (poco) illustri predecessori, ha fondato un movimento che incarna il weltanschauung, lo spirito del tempo. Il rifiuto delle elite dominanti che hanno trascinato il mondo nel baratro su cui balla e della loro (in)cultura. Della cultura tout court. Ha creato dal niente un partito virtuale di milioni d’esseri reali, di quel popolo che vede in ogni cosiddetto competente un corresponsabile dello sfascio e un complice dell’esistente. L’ha portato al governo dell’urbe e del paese, mentre tutti gli altri stavano lì a scappare col malloppo o a frignare, gli stavano addosso coi loro giornali e titoli di giornali, avrebbe detto Vittorini. Per quel che valgono. Per la prima volta in Italia al potere è andato il popolo. La gente. Non la gens berlusconiana né le masse trainate dalle mosche cocchiere, non il peplum pariolino o le folle mediatiche affabulate dalla piccola Greta ma proprio la gente: non di destra né di sinistra, qualunquista, incazzata e passabilmente onesta. Salvo scoprirsi – Roma docet – un banda d’onesti.
Grillo gli ha dato voce, corpo e speranza eppoi s’è dato, come si dice nella capitale e fece Diocleziano, a lasciare agli eredi un sistema più esiziale che perfetto. È tornato a fare il suo mestiere, Grillo. Il giullare, il guitto (in senso nobile e serio), dopo essere stato l’arruffapopolo che scuote il Palazzo. Più lungimirante di Masaniello, non s’è fatto travolgere dalla piazza dopo averla evocata, né dai demoni del potere. Anzi, dei suoi demoni può persino ridere e far sorridere.
Di tanta ventura, insomma, Insomnia riporta l’eco. Di travagli e fallimenti, enunciati senza toppe e poche scuse. Di sonni perduti e sogni al lumicino è intriso lo spettacolo. Ma troppa è la rabbia perché le risate strappate al pubblico non siano amare, le battute scontate, la messinscena trita e stanca. Non c’è gusto né freschezza nell’italietta messa in berlina dal comico. Non c’è slancio nell’attore che ha reificato la sua vita in opera, in tragicommedia, per uscire di scena reificando in scena la vita reale. A recitare la parte del padre nobile e distante. Protetto dalla polizia fuor di teatro.
Anche il miglior Pirandello si sarebbe perso in tanta messinscena, Grillo no. Recita a soggetto, lui, sempre la stessa parte, che calchi il palco d’un teatro o la vita virtualreale. Perde pezzi e battute, sbava contumelie e inzeppa lo spettacolo d’ospitate soporifere ma può permetterselo. Il pubblico applaude lo stesso alla commedia della vita e alla sua, anche se è un riso di maniera, come ai matrimoni, più amaro del film di De Santis. Eppoi, infine, se governare è l’arte di far credere, come diceva Machiavelli, i Grillini governano al meglio, in attesa che Salvini e l’accolita dei rancorosi che si prepara ne faccia strame. Babau d’ectoplasma permeato da ben altre forze oscure. Povero Grillo (mica tanto, però), e poveri noi. Neanche ci seppellirà una risata, ma un tristo & destro vecchiume, spacciato per nuovo e serissimo.