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Pisa, capitale della reazione patriarcale

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Sostegno al family day e chiusura dello Sprar, così Pisa diventa la città della non-accoglienza e dell’oscurantismo

da Pisa, Federico Giusti

Senza scomodare Buonarroti, la sua battaglia di Cascina ricorda la sconfitta patita dalla Repubblica Pisana dai fiorentini nel 1364, oggi, a distanza di tanti secoli, questa località alle porte di Pisa torna ad essere conosciuta per avere eletto la prima sindaca a guida Leghista. Nel Giugno scorso, dopo Cascina, anche il comune di Pisa è stato conquistato dalla Lega, anzi sarebbe più corretto parlare di sconfitte del Partito democratico che in entrambi i casi aveva governato con supponenza perdendo di vista i problemi reali del territorio inimicandosi un elettorato tradizionalmente orientato a sinistra che al ballottaggio non aveva votato o addirittura ha preferito sostenere il candidato della Lega piuttosto che quello espressione del Pd.

Uno scarto di voti esiguo ma sufficiente a far perdere due importanti comuni al Partito Democratico che in questi giorni, con le elezioni in alcuni comuni della Provincia di Pisa, sta correndo ai ripari stringendo alleanze larghe e aperte anche a coalizioni eredi della sinistra radicale. I prossimi mesi diranno se è stato sufficiente un accordo elettorale largo per respingere la corsa della destra alla conquista dei Comuni, i prossimi anni permetteranno di capire se l’emorragia di consensi verso i raggruppamenti della sinistra più radicale saranno stati salvaguardati con l’alleanza innaturale con il Partito democratico. E’ sufficiente allearsi con il Pd in funzione anti destra per conquistare l’elettorato perduto? In attesa di conoscere le risposte soffermiamoci intanto su alcune decisioni recenti dell’Amministrazione leghista pisana.

A pochi giorni dal Congresso di Verona, il Consiglio comunale di Pisa ha vissuto una delle tante giornate all’insegna della perdita di ogni parvenza democratica: è stato rifiutato il voto di un ordine del giorno, proposto dall’opposizione, di critica al Congresso di Verona, nello stesso consiglio comunale una decisione diametralmente opposta ha invece permesso di approvare la mozione  urgente di sostegno al family day. Due pesi e due misure rispetto a un argomento, quello del family day, che avrebbe meritato il voto e la discussione su entrambi gli ordini del giorno (sia quello favorevole che l’altro di critica), riconoscendo a entrambe le posizioni il carattere di urgenza per consentire la discussione in consiglio e il successivo voto.

Le opposizioni del Pd e di Città in Comune hanno più volte, e invano, chiesto ai dirigenti comunali di esprimersi sulla decisione assunta dal presidente del Consiglio, è girato anche un video che riprende il sindaco Conti nell’atto di chiedere agli stessi di scrivere due righe per rendere legittimo ciò che  legittimo non lo è.

Ma al di là della ferita inferta alla dialettica democratica nella sala consiliare di Pisa, resta il fatto che l’intera alleanza di destra si sia schierata a sostegno del family day. I delegati Rsu del Sindacato Generale di Base hanno preso posizione contro la mozione approvata con un comunicato stampa ove  stigmatizzano le posizioni dell’Amministrazione. Si parla poi di tutela della “famiglia naturale” composta da un genitore uomo e da un genitore donna come la “sola unità stabile e fondamentale della società” , da qui nasce il disconoscimento dei diritti civili e di ogni famiglia estranea al matrimonio, una autentica aberrazione nel 2019. Non a caso alcuni dei partecipanti, invitati in pompa magna a Verona, paragonano l’aborto ad un omicidio e mirano direttamente a mettere fuori legge quel diritto alla interruzione di gravidanza conquistato dalle donne, e non solo loro, più di 40 anni fa. Sgb contesta non solo il congresso di Verona  ma anche il decreto legge Pillon “che riportano indietro la nostra civiltà di secoli, vogliono farci ripiombare nell’oscurantismo più bieco a cui si ribellano per altro importanti settori del cattolicesimo”, attaccano Questi “difensori” della famiglia tradizionale che sono in realtà espressione della massima ipocrisia: chiunque accetti come esigenza ineliminabile del nostro tempo storico la fine del posto fisso, la flessibilità occupazionale, la necessità della competizione economica e la conseguente fine dei diritti del lavoro, dovrebbe avere almeno il pudore di non ergersi mai a difensore della famiglia. E dovrebbe ammettere che è disposto a vederla sfasciata in nome delle superiori ragioni dell’economia così come oggi è intesa e operante”. La verità è altra,concludono i delegati sindacali,”l’istituto della famiglia, qualunque essa sia, non è più compatibile con le pratiche che oggi caratterizzano l’economia capitalistica”

Ma le polemiche non si fermano qui, Pisa è descritta da Città in Comune\Possibile\Rifondazione Comunista come “la capitale della reazione patriarcale” o come la città della non accoglienza.

E’ di pochi giorni fa infatti la notizia che la città toscana uscirà dalla rete nazionale SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati), non  saranno rinnovati i progetti attualmente in corso e gestiti dall’ARCI, si negherà ogni assistenza alle persone coinvolte  (in tutto 35, tra cui 10 donne e 3 minori)  titolari  per altro di protezione internazionale. Anche in questo caso la decisione del Comune di Pisa riecheggia quella del Comune di Cascina già uscito dalla rete SPRAR nel 2017. E intanto l’Arci annuncia che 11 operatori nello SPRAR appartenenti alle cooperative sociali perderanno il posto di lavoro, Città in Comune critica la fine di “un modello di buona accoglienza riconosciuto a livello europeo, fondato su una rendicontazione trasparente, sull’assenza di margini economici per i soggetti gestori, sulla partecipazione dei territori, sull’accoglienza diffusa, su percorsi di orientamento al lavoro e inclusione sociale, sulla tutela sanitaria, psicologica, legale delle persone”.

Le amministrazioni locali a guida leghista vanno perfino oltre a quanto previsto dal loro ministro dell’Interni e dalla cosiddetta Legge Salvini  “che ha sostituito lo SPRAR con il SIPROIMI (ora riservato ai titolari di protezione internazionale ed ai minori stranieri non accompagnati), a tutto vantaggio della gestione emergenziale assegnata ai Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS) di grandi dimensioni, di bassa qualità e a rischio di illeciti”.

Ma la giustificazione addotta per motivare l’uscita dallo SPRAR è veramente singolare e fa leva sull’ignoranza in materia di immigrazione, infatti si annuncia che le risorse  un tempo impiegate saranno risparmiate e immediatamente destinate ai territori. Una bugia perché il 95% delle risorse SPRAR vengono direttamente dal Ministero degli Interni e stanziate solo a questo uso, una volta decisa l’uscita dalla rete i soldi non arriveranno più. Ma nel frattempo le amministrazioni Leghiste saranno riuscite a far passare nell’immaginario collettivo l’idea di avere preso  i soldi spesi un tempo per i migranti destinandoli agli italiani, nessuno confuterà a livello mediatico questa fake news .

Ma al peggio, come si dice, non c’è mai fine e così vengono tagliati progetti destinati ai senza dimora e ai migranti, 5 milioni di euro in meno, non certo cifre irrisorie e questi soldi non vanno agli italiani o all’emergenza abitativa, anzi le politiche sociali della Società della salute (che si occupa per l’area pisana dei progetti socio sanitari) sono state nel frattempo fortemente ridimensionate dalla Amministrazione leghista. Prima gli italiani? No, prima i più i ricchi e gli ultimi, siano autoctoni o stranieri, si facciano da parte.

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