Cucchi, non doversi procedere per prescrizione del reato. In cavalleria la sciatteria e la negligenza dei cinque medici del Pertini
Si trovava chiuso nel reparto carcerario di un ospedale, da solo, probabilmente immaginando che lo avessimo definitivamente abbandonato dopo il suo ennesimo “tradimento”. Magari questo pensava: che nessuno di noi volesse più sapere niente di lui, che gli avessimo chiuso la porta dietro le spalle.
Invece no. I miei genitori erano davanti all’ingresso sbarrato, dove da giorni gli agenti penitenziari li fermavano negando ogni informazione su Stefano. Non li facevano entrare, e va bene: quella era una prigione, non una clinica, come si premurarono di chiarire fin dal primo, vano tentativo di visita. Ma perché non rispondere alle domande sulla salute di mio fratello? [Ilaria Cucchi, ottobre 2015)
Non doversi procedere per prescrizione del reato, il reato è quello legato alla morte di Stefano Cucchi in un carcere, anzi in un reparto del carcere dove si dovrebbe essere più al sicuro che altrove: il “repartino” del Pertini per la medicina penitenziaria. Non doversi procedere è quanto ha chiesto il pg al processo in corso alla Corte d’assise d’appello in cui sono imputati cinque medici dell’ospedale Sandro Pertini per la morte del ragazzo arrestato nell’ottobre 2009 per possesso di droga e deceduto una settimana dopo alla fine di un calvario tra caserme dei carabinieri, carceri e pronto soccorso. Il procuratore, nel corso della requisitoria ha definito «molto ben fatta» la perizia depositata. «I periti sono stati bravi a far luce sulla vicenda in modo equilibrato – ha detto – sottoscrivo in toto quanto scritto da loro». E poi: «La prescrizione del reato è una sconfitta per la giustizia ma questo processo è stato fatto fra mille difficoltà».
Per salvare Stefano Cucchi, a sentire il il pg Mario Remus, sarebbe bastato «un tocco di umanità, un gesto, per convincerlo a bere e a mangiare». Quando Cucchi fu portato in ospedale, ha detto nella sua requisitoria, «da parte dei medici ci fu un sordo disinteresse delle sue condizioni, non c’è stato alcun ascolto clinico: Cucchi non è stato ascoltato e non è stato trattato come avrebbe dovuto». Nel corso del processo sono emersi «tutti gli elementi che indicano la sciatteria e la negligenza che imperversava all’ospedale», primo fra tutti il fatto che nella cartella clinica del paziente «non si diceva mai quanto beveva, era un paziente trascurato, o forse si voleva nascondere qualcosa». «E’ vero, forse Cucchi era un paziente difficile, ma perché aveva anche delle recriminazioni per come la giustizia lo stava trattando, visto che era incensurato». Stefano in quei giorni al Pertini aveva tentato disperatamente di entrare in contatto con l’esterno, con il suo avvocato che i carabinieri non avevano voluto avvertire, con suo cognato, con il suo educatore del Ceis a cui spedì una lettera che, inspiegabilmente, il fondatore del Ceis, don Picchi, tirò fuori dal cassetto solo tre mesi dopo la morte.
Nella requisitoria in cui ha chiesto di non doversi procedere per prescrizione del reato nei confronti dei cinque medici accusati di omicidio colposo, il pg ha detto che nella morte di Cucchi «ci sono state molte concause» e ha sottolineato l’aspetto della disidratazione e del mancato «bilancio dei liquidi». «Non si scriveva mai quanti liquidi assumesse il paziente, tanto che a un certo punto dopo diversi giorni un infermiere si è accorto che qualcosa non andava e ha chiesto di controllare se Cucchi bevesse e quanto bevesse, ma era ormai troppo tardi» e il 31enne morirà il giorno dopo, il 22 ottobre del 2009.
In parallelo, è in corso a Roma il processo per omicidio preterintenzionale che vede imputati cinque carabinieri, per reati che vanno dall’omicidio al falso, per il violentissimo pestaggio che Cucchi subì dopo l’arresto. Per altri otto tra alti ufficiali e sottufficiali dell’Arma è stato chiesto il rinvio a giudizio per reati legati al depistaggio e all’insabbiamento. Prossima udienza 17 maggio.