La storia di Ezio Ziglioli, fuoriuscito italiano a Parigi che si unì alla resistenza antifranchista dopo la Liberazione dal nazismo.
di Claudio Taccioli
Lovere è un paese bergamasco sulla sponda nord-occidentale del Lago d’Iseo. All’imboccatura con la Val Camonica. E’, oggi, elencato fra “I Borghi più belli d’Italia”. Le immagini che lo rappresentano brillano nel sole che festeggia il suo lungolago. Non era così luminoso nel 1943. Il 7 dicembre di quell’anno, vennero catturati, lì intorno, alcuni partigiani. Dal lago vennero portati a Bergamo e rinchiusi al Convitto “Baroni” per essere torturati. Il 22 dicembre, dentro un’alba piovosa e cupa, furono riportati a Lovere. Insieme a loro, sui camion della Guardia Nazionale Repubblicana, viaggiavano 13 bare.
I primi 7 furono fatti scendere a Poltragno, una località a poca distanza dalla cittadina lacustre. Senza perdere tempo furono schierati contro un muro e fucilati. Nel silenzio di pioggia e paura si sentirono solo gli spari brevi a raffica e i colpi di grazia. Sul muro a fianco del quale erano ammassati come fagotti confusi i corpi degli assassinati, i fascisti scrissero: “Fuori legge”.
Poco dopo, toccò agli altri 6; fatti scendere in un cortile di un deposito di legnami in località “Magazzini”, vicino alla strada statale che va su fino al Tonale. Furono spezzati a morte dalle scariche dei “mitra Zerbino” imbracciati dai militi fascisti. Dopo, solo i colpi isolati in testa per accertarsi della morte. Il più vecchio dei 13 aveva 41 anni e si chiamava Giulio Buffoli. Gli altri andavano dai 17 ai 23! I loro nomi sono elencati sulla lapide di via Vittorio Emanuele II a Lovere, dove c’è anche Piazza 13 Martiri. I fascisti annunciarono il massacro con questo comunicato: “Tredici terroristi della banda di Lovere fucilati”.
Gli altri giovani di Lovere e dintorni appresero subito la dura lezione e accorsero a dar manforte ai partigiani scampati all’arresto. Così, spinta dal furore muto e dalle coscienze in tumulto, si formò la 53° Brigata Garibaldi che volle chiamarsi. “Tredici martiri di Lovere”.
Quei partigiani si batteranno senza tregua contro tutte le formazioni nazifasciste mandate a cacciarli in rastrellamenti continui. Affronteranno, in particolare, gli assassini in camicia nera della Legione Tagliamento (formata dal 63° Battaglione “M” e dai volontari romani del Battaglione “Camilluccia”). Un branco di aguzzini che segneranno il loro passaggio, fra Veneto e Lombardia, con il sangue degli innocenti e con le distruzioni. 43 di loro, catturati intorno al 25 Aprile, saranno giustiziati, il 28 dello stesso mese, a Rovetta; poco più sopra di Lovere. Ogni anno i nazifascisti di tutte le formazioni arrivano per onorare i carnefici. Ogni anno trovano gli antifascisti ad aspettarli.
In questo clima di guerra civile e di scontro di classe, maturò i suoi anni di formazione Elio Ziglioli. Un ragazzo di Lovere, dove era nato il 15 marzo 1927. Dopo la guerra che aveva attraversato anche la sua vita, nel 1948 a 19 anni, decise di partire. Di lasciare il lago per raggiungere e conoscere il padre comunista che viveva a Parigi. A differenza del genitore, perso negli anni della tirannia fascista dentro le urgenze della clandestinità, le idee di Elio sono già influenzate dal pensiero anarchico; al quale era stata introdotto da un maestro del suo paese natale. La sua conoscenza delle lingue (francese, spagnolo, catalano, esperanto) nascerà proprio da questo decisivo incontro formativo.
A Parigi, Elio incontra diversi libertari spagnoli in esilio. Decide, spinto dal loro esempio e dalla propria naturale propensione alla lotta contro ogni tirannia, di unirsi alla resistenza clandestina anti-franchista che gli anarchici stanno conducendo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Dove hanno combattuto nel Maquis e con la Divisione di Leclerc (“2e division blindée”); quella che ha liberato Parigi nell’agosto del ’44. A dirla tutta, sono stati proprio loro a entrare per primi, a unirsi ai partigiani in rivolta contro la guarnigione nazista e a bloccarne la controffensiva. Fanno parte della migliore delle unità d’assalto della divisione. Sono i veterani spagnoli della Nona Compagnia, Terzo Battaglione, Regiment de March du Tchad, da tutti chiamata “La Nueve”. I loro carri armati hanno questi nomi: Guadalajara, Teruel, Madrid, Santander, España Cañí, Don Quijote, Brunete, El Ebro, … Le battaglie dove i loro equipaggi hanno combattutto per tre anni contro Franco, Mussolini e Hitler! Sui loro carri che snidano i nazisti, sventola il tricolore della Repubblica Spagnola. Le campane di Parigi, mute per i quattro anni dell’occupazione, batteranno a stormo per loro; quelle di Notre Dame comprese.
E’ con questi tipi di combattenti che Elio si incontra e non può non restarne affascinato. Parlano la sua lingua ribelle, coltivano i suoi stessi sogni fatti a occhi aperti e preparano le pratiche conseguenti. Si sposta, quindi, a Tolosa dove si incontra con Pere Mateu Cusidò, responsabile dell’attività clandestina in Spagna. Da questi viene presentato ai compagni della CNT (Confederacion Nacional del Trabajo) che gli trovano un lavoro in una miniera della zona. E’ il 20 settembre 1948.
Nella confidenza crescente con i compagni spagnoli, con i quali scambia fatica e ideali, decide di unirsi alla resistenza armata. A fine maggio del ’49, conosce a Tolosa Josep Sabaté Llopart, uno dei guerriglieri più attivi. I due si annusano subito di amicizia profonda. Quella speciale che ti fa stare bene per le idee, i sogni, le parole condivise e per le azioni che sei pronto a intraprendere insieme.
Il 4 giugno dello stesso anno, Elio viene arrestato con altri tre compagni (Emilio Auto Grana, Ramon Pons e Manuel Sabaté Llopart). Sono stati trovati dalla polizia francese in una base della guerriglia, dove ci sono armi e munizioni. I quattro si stavano preparando. I tempi sono ancora buoni per coloro che si battono contro il franchismo e, il 29 giugno, Elio viene condannato a soli due mesi di carcere. Passati i quali si unisce definitivamente al gruppo guerrigliero “Los Primos” che si prepara a entrare in Spagna per le consuete azioni contro i clerico-fascisti.
Il gruppo chiamato “Los Primos” era formato da: Saturnino Culebras Saiz (detto “Primo”), suo fratello Gregorio, José Conejos Garcia, Manuel Aced Ortell (detto “El Francès”), Joan Busquets Vergés (“El Senzill”), Manuel Sabaté Llopart. Sarà guidato da uno dei più famosi maquisard, Ramon Villa Capdevilla (Caracremada). L’ultimo a cadere, il 7 agosto del 1963, circondato e braccato dalla Guardia Civil, “Fino all’ultimo colpo, dentro l’ultimo respiro; col cuore che batte forte e non rimpiange niente”.
Il 15 luglio 2000, a Figols, luogo della tua sepoltura, le compagne e i compagni hanno posto una targa per ricordalo insieme a tutti gli altri guerriglieri anarchici: «Qui giacciono i resti di Ramon Vila Capdevila. Militante della CNT e l’ultimo degli anarchici catalani del maquis, prese parte alla proclamazione del comunismo libertario (1932), alla guerra civile (1936-39), e alla Resistenza francese (1939-45) e, per altri 18 anni, alla lotta contro il franchismo. In memoria di lui e di tutti coloro che hanno dato la vita per la libertà e per l’ideale anarchico». Il 4 settembre del ’49, i guerriglieri lasciano la base francese di Tartàs in direzione di Barcellona. Hanno programmato di fare diverse incursioni e sabotaggi. Tentano, anche , di unirsi al gruppo di Josep Sabaté Llopart, entrato in Catalogna nello stesso giorno, da altra direzione.
Ben presto, il gruppo è costretto a dividersi per evitare i controlli continui della Guardia Civil allertata da alcune segnalazioni. Per una notte intera corrono e combattono continuamente per sfuggire alla cattura. Dopo, un paio di loro prendono il treno per Barcellona, gli altri si nascondono a Matadepera, un villaggio di montagna.
La mattina del 2 ottobre decidono di inviare Elio, che nessuno può anche casualmente conoscere in Catalogna, a comprare del cibo nella vicina cittadina di Castellar del Vallès. Il proprietario del negozio presso cui si reca sospetta, però, qualcosa e informa la locale caserma della Guardia Civil. Verso sera, Elio torna per comprare ancora dei viveri, ma viene intercettato e arrestato dagli sbirri. I suoi documenti sono falsi e non viene riconosciuto per quello che è; ma gli trovano addosso la bussola, una mappa, dei franchi francesi e delle pesetas. In caserma, lo picchiano ripetutamente per farlo parlare.
Il 3 ottobre, ammanettato con le mani dietro la schiena, lo portano con un camion nei dintorni della cittadina alla ricerca, dicono, di un deposito di armi. In realtà, fuori dal paese, dopo alcuni controlli infruttuosi, lo torturano ancora più spietatamente per fargli tradire i compagni. Per fargli confessare, inoltre, l’aiuto ricevuto da una famiglia di contadini che avevano incontrato nella fuga disperata. Elio resiste e non parla.
Come racconteranno dei testimoni, alle undici del mattino della stessa giornata, si sente uno sparo secco e improvviso. Gli hanno sparato in faccia per cancellare il suo sorriso di sfida irrimediabile. Nel Registro di Stato Civile “Morti” di Castellar i Vallès, insieme a una foto di Elio, c’è la dichiarazione di morte del guerrigliero assassinato, sottoscritta da un caporale della Guardia Civil locale in data 4 ottobre 1949, con queste diciture: “morì in una strada spopolata di Tarrasa”, “sconosciuto” e “sembra avere 25 anni”. Ne aveva 22!
Elio Ziglioli viene sepolto in una fossa comune. Fino al marzo del 2018, quando il Governo Catalano impegnato nel programma di identificazione dei morti abbandonati nelle tombe comuni dagli assassini franchisti, l’ha identificato con precisione. Attraverso, anche, la comparazione con il DNA dei parenti di Lovere che mai l’hanno dimenticato. Per loro sarà sempre il ragazzo ribelle e buono partito un giorno per Parigi a cercare un padre perduto troppo presto.
Il 2 maggio di questo anno, il corpo di Elio è stato ufficialmente restituito ai suoi cari con una cerimonia solenne nel cimitero di Castellar i Vallès. Il 13 maggio verrà riportato a Lovere per la sepoltura nel cimitero locale, vicino ai 13 Martiri assassinati dai fascisti italiani.
Nell’antica Grecia i giovani morti in azione virtuosa e nel rispetto del loro onore, la TIME’, venivano ricordati nel tempo quasi fossero divinità. Narrati come esempio per ogni altro. Rappresentati nel loro aspetto “kalòs kagathòs” (bello e buono) che li distingueva subito come esempio delle più alte virtù umane. Quelle dell’eroe che si dona fino alle estreme conseguenze, per gli altri in stato di bisogno. La loro bella morte, “kalòs thànatos”, li preservava incorrotti per l’eternità possibile data dalla memoria condivisa (dono della dea Mnemosyne). Senza la stanchezza degli anni che invecchiano, corrodono e corrompono le coscienze. Una morte che non si brama, non si cerca, ma si accetta a testa alta e con dolorosa consapevolezza quando rifuggirla metterebbe in pericolo il proprio onore. Le vite dei compagni.
Perché se è vero come dice il poeta (Brecht): “Beati i popoli che non hanno bisogno di eroi”, quando, però, hai bisogno di eroi, nella tua sfortuna, è ancora peggio se non li trovi. Se la tua terra, il tuo popolo, la tua classe non li produce. Non li riconosce e li dimentica; fossero anche Don Chisciotte e Sancho Panza! Bisognerà, allora, cominciare a onorare i nostri senza cinismi e ipocrisie. Perché ci sono, belli e buoni. Il 13 maggio, ad esempio, in un cimitero sul Lago d’Iseo dove un ragazzo ritorna a casa.
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