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Genova-Certosa. Come Sàigòn

Che cosa lega la vicenda del crollo di Ponte Morandi a Genova e la sporca guerra in Vietnam

Saigon, shitI’m still only in Saigon…”. Sono le parole del capitano Willard che aprono Apocalypse Now, film dove il Vietnam è solo uno scenario in cui si dipana una vicenda umana e universale che parla di amore, morte e resurrezione.

Tre parole che si adattano straordinariamente bene a un fatto che da quasi un anno tiene una comunità, incolpevole, inchiodata a responsabilità di altri. Amore, quello che tutti i cittadini provano per il luogo in cui vivono. Un amore che può non essere totale, ma casa è casa, e non ci sono storie. Morte, perché quarantatrè caduti sono pur sempre significativi, anche se poi non ne parla più nessuno, come non si parla più di quelli che nella jungla e nelle risaie hanno versato il loro sangue quasi senza sapere il perché. Resurrezione, perché “pànta rèi”, tutto scorre, e prima o poi trova il suo giusto epilogo, e cambia: diventa qualcos’altro.

Con uno straordinario volo mentale scopriamo che fra la “sporca guerra” e il crollo del viadotto Polcevera (questo il suo vero nome) c’è un legame: è la macchina fotografica. Quell’oggetto magico, capace di fissare il tempo e farlo memoria, talvolta storia. Uno strumento che oggi è così diffuso grazie agli smartphone ma anche grazie al fatto che con pochi soldi chiunque può comprarne una ed essere (sentirsi, è meglio) “fotografo”. Una diffusione così potente da averci cambiato radicalmente il modo di interagire con il nostro prossimo. Questo legame è iniziato laggiù, nel 1965, più o meno.

La guerra del Vietnam è stato probabilmente l’evento bellico maggiormente documentato, per immagini, della storia contemporanea. Immortalato al punto di aver trasformato una vittoria militare, oggettiva, in una sconfitta politica, sociale e storica.  Perché c’erano le macchine fotografiche e le cineprese dei corrispondenti. Non di quelli “embedded”, che solo venti anni prima, sui campi di battaglia europei provavano a districarsi fra narrazione e propaganda; laggiù c’erano, per la prima volta nella storia, gli “indipendenti”: quelli che con il loro occhio di vetro guardavano la storia nel momento in cui si stava formando e la raccontavano per quello che era: sangue, sudore, fango, polvere e dolore.  E c’erano gli strumenti che documentavano, senza filtri, la realtà: la Nikon F è diventata un mito proprio laggiù. Dennis Hopper, che nel film interpreta il fotografo della “comunità” del colonnello Kurtz, ne ha una vistosa serie al collo. Non ci sono stati filtri perché negli anni sessanta il mondo stava cambiando. Stava avviandosi ad essere quello che oggi io, voi, noi siamo. E dietro l’angolo c’era la televisione, pronta in agguato.

Il 14 agosto 2018, a Genova, un viadotto autostradale è crollato per cause che in questo momento sono ancora da stabilirsi. Causando 43 vittime e allontanando definitivamente quasi trecento persone da quelle che erano le loro case. Questi sono i puri fatti. Ma se proviamo a cercare sui social network la “keyword” (o hashtag, fate voi) pontemorandi ci accorgiamo che ben pochi hanno ignorato la cosa. Si spalanca sul nostro piccolo schermo un mondo di immagini, commenti, opinioni. Sono quelle degli “indipendenti”, che oggi sono i cittadini comuni, diventati corrispondenti di uno “stream” in cui l’adesso e soprattutto l’io sono stati eletti a sistema.

In un certo senso sta accadendo, qui, la stessa cosa che accadde laggiù: immagini (quindi idee, perché la nostra è una cultura che si basa sul visivo) parlano di qualcosa che il mainstream cerca di nascondere, o al massimo di edulcorare. La domanda è, però, se questo “stream” indipendente potrà avere la stessa forza di quello del decennio ’65-’75 e trasformare una vittoria militare (la ricostruzione) in una sconfitta politica, sociale e storica.

Qui nella periferia genovese non abbiamo avuto amore (e forse non ce ne siamo accorti); ma abbiamo avuto morte, in abbondanza. Se avremo resurrezione non possiamo, oggi, saperlo.

Però abbiamo immagini, fotografie, video. Fatte dal basso. Ma questa è un’altra storia.

* curatore di MOM Morandi obiettivo Memoriwww.memoriamorandi.com

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