Processo Cucchi: scontro fra i periti, per l’accusa la morte fu conseguenza del pestaggio, per le difese dei carabinieri morì di fame e sete
«L’udienza di oggi è stata memorabile», scrive Ilaria Cucchi dopo che i consulenti di parte, Fineschi, Turillazzi e Rossi, hanno chiaramente spiegato che la morte di Stefano è derivata dalle complicazioni provocate dal violentissimo pestaggio. «Quando i consulenti delle difese hanno provato a sostenere che le ecchimosi al volto di Stefano erano state provocate da un piccolo tamponamento in auto il 30 settembre e che poi è morto di fame e di sete il mio avvocato dopo sei ore di contro esame li ha letteralmente demoliti». Il Presidente ha dichiarato chiusa la questione medico legale. I difensori allora si sono aggrappati alla richiesta di poter chiamare a deporre Elena Ricci e Carlo Giovanardi, il controverso ex parlamentare di centrodestra, ex carabiniere a sua volta, famoso per le dichiarazioni spregiudicate contro le vittime di malapolizia, padre della devastante e incostituzionale legge sulle droghe, sostenitore di verità “alternative” e improbabili, sulla strage di Ustica. «Richiesta che ovviamente è stata respinta. Sono alla frutta», commenta la sorella del ragazzo ucciso, secondo l’accusa, dopo un violentissimo pestaggio da parte di tre carabinieri, seguito da operazioni di depistaggio che sono oggetto di un processo parallelo.
La registrazione integrale dell’udienza è disponibile su Radio Radicale ma in sintesi si può dire che Stefano Cucchi non sarebbe morto per l’epilessia, da cui era affetto, ma «per una bradicardia dovuta ai traumi» causati – secondo l’accusa – dal pestaggio dei carabinieri dopo il suo fermo. È la tesi dei consulenti della famiglia del giovane detenuto morto all’ospedale Pertini di Roma nel 2009, rese in aula di fronte alla Corte d’Assise. I colleghi della difesa sostengono che sarebbe morto per «un fattore aritmico in una condizione di deperimento organico», a cui hanno contribuito «un moderato stato di anoressia e la disidratazione», conseguente alla sua volontaria malnutrizione dopo l’arresto. Non solo. Secondo questi ultimi Cucchi forse poteva salvarsi: «un vero fattore che poteva interrompere il ciclo vizioso che si stava determinando – spiega il professor Enrico Marinelli – era togliere Stefano dalle condizioni di restrizione della libertà personale, perché sarebbe stato più collaborativo». Il processo vede imputati, per la morte del geometra romano, cinque carabinieri, tre dei quali per omicidio preterintenzionale.
L’unico fattore su cui sembrano essere concordi le due contrapposte equipe di medici, ascoltate nell’aula bunker di Rebibbia, è l’esclusione dell’ipotesi di una morte per Sudep (ovvero morte improvvisa e inattesa di soggetti che soffrono di epilessia). Il nodo resta invece quello dei traumi riportati e in particolare se e quanto possano essere stati determinanti sul decesso del giovane. «La progressione della bradicardia è legata al trauma sacrale che Stefano aveva», ha spiegato il professore Vittorio Fineschi, consulente della parte civile. Per Fineschi la «catena causale» della morte riguardò un trauma lombo-sacrale, una disfunzione vescicale, e la bradicardia, cioè la riduzione della frequenza cardiaca. E il neurologo Alessandro Rossi aggiunge che anche una morte da inanizione (una forma estrema di malnutrizione e conseguente decadimento) non è plausibile. Escludo che quest’ultima possa uccidere in cinque giorni«. Tesi che contrastano con quelle dai consulenti della difesa, i quali concludono che, »qualunque sia l’origine della lesività riscontrata su Stefano, la frattura sacrale guarisce in tre-quattro settimane e non richiede alcun trattamento specifico«. Per questi stessi medici «lo stato di Stefano era assimilabile ad un’anoressia di moderata entità: l’80% di questi soggetti va incontro ad una morte cardiaca. Cucchi, che già prima dell’arresto aveva una grave condizione pro aritmica, pativa una sofferenza multi organo ad alto rischio per la vita, associata in seguito ad una disidratazione».