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Malapolizia, il caso Magherini approda alla Cedu

La Corte europea dei diritti dell’uomo affronterà il caso del processo per la morte di Riccardo Magherini. «Una bella notizia», spiegano i familiari della vittima di malapolizia

La Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo (Cedu) affronterà il caso del processo per la morte di Riccardo Magherini, avvenuta il 3 marzo 2014 durante un arresto dei carabinieri in Borgo San Frediano a Firenze. E’ stato infatti accolto il ricorso dei legali della famiglia Magherini, presentato lo scorso giugno, dopo che i giudici della quarta sezione penale della Corte di Cassazione, nel novembre del 2018, hanno assolto i tre carabinieri accusati di omicidio colposo e condannati nei primi due gradi di giudizio a 7 e 8 mesi, disponendo l’annullamento della sentenza d’appello perché «il fatto non costituisce reato». Una storia seguita, fin dall’inizio, da Acad, l’associazione contro gli abusi in divisa, ammessa come parte civile al processo. Il ricorso alla Corte di Strasburgo è stato depositato per le modalità con cui è stato arrestato Riccardo Magherini, oltre che su alcuni aspetti delle indagini e sulla parte finale del processo. La Corte europea si dovrà pronunciare sulla richiesta di condannare l’Italia per non aver rispettato il diritto alla vita e l’equo processo.

«E’ una bella notizia», ha commentato Guido Magherini, padre di Riccardo. «Siamo molto fiduciosi per il lavoro dei nostri avvocati», ha aggiunto il fratello di Riccardo, Andrea. Nei prossimi giorni verrà fissata la data dell’udienza a Strasburgo. Riccardo Magherini, quarantenne ex calciatore della giovanili della Fiorentina, morì durante un arresto da parte dei carabinieri la notte tra il 2 e il 3 marzo del 2014, in Borgo San Frediano. Tre carabinieri lo bloccarono mentre, sotto l’effetto di cocaina e in preda ad allucinazioni, convinto di essere inseguito da qualcuno che voleva ucciderlo, invocava aiuto in Borgo San Frediano, nel cuore del suo quartiere. Magherini quella sera era uscito a cena in un ristorante, poi aveva iniziato a vagare per le strade del quartiere gridando che gli avevano rubato portafoglio e cellulare. Era quindi entrato in una pizzeria dove aveva continuato a dare in escandescenze. Tornato in strada, era stato bloccato dai carabinieri e ammanettato a terra, a pancia in giù e a torso nudo, per almeno un quarto d’ora. All’arrivo di un’ambulanza senza medico a bordo, l’ex calciatore fu trasportato nel reparto di rianimazione dell’ospedale Santa Maria Nuova, dove alle ore 2.45 ne venne constatato il decesso.

All’arrivo dei carabinieri si era dimenato, dopo essere stato ammanettato, era affannato. Infine, si era calmato per un paio di minuti, il cuore aveva smesso di battere, troppo tardi per rianimarlo, anche se l’ambulanza era già sul posto. I carabinieri non si erano resi conto che quella richiesta d’aiuto, «sto morendo», filmata dai cellulari dei residenti della zona non erano solo proteste per essere lasciato andare. «Riccardo – ha detto all’epoca l’avvocato Fabio Anselmo – non è morto per la cocaina, la cocaina uccide ma lascia tracce, invece il cuore di Riccardo era perfetto. Non è morto per infarto, ma perché gli è stato impedito di respirare». In appello, il pm aveva chiesto un aumento delle pene perché i carabinieri, oltre alle omissioni, avrebbero ammanettato e immobilizzato con pressione sul corpo Magherini, che accusava un malore importante, impedendogli di «respirare liberamente», causandogli un’asfissia mortale e non accorgendosi che così l’ex calciatore era morto; e perché le volontarie nelle stesse circostanze non avrebbero operato con la perizia necessaria.

Le cause della morte di Riccardo Magherini sono «legate ad un meccanismo complesso, tossico, disfunzionale cardiaco e asfittico sulle quali si sono dichiarate concordi senza che allo stato fossero da richiedersi accertamenti o approfondimenti». Il problema è il dosaggio delle concause e gli errori di procedura di metodo contenuti nella sentenza di primo grado per sbilanciare l’esito del processo non troppo a sfavore dei carabinieri. Un cuore sano, come quello dell’ex calciatore della Fiorentina, può morire di overdose di cocaina solo per infarto e a seguito di dosi massicce di sostanza. Non è il caso del “Maghero”, come lo chiamavano gli amici che, quella notte aveva un valore non alto di sostanza nel sangue (0,5). Ma il giudice di primo grado sembra ignorare i suoi stessi consulenti e dar un peso notevole a una perizia filo-Dse firmata – per conto dei carabinieri – da un tossicologo farmacista che, come tale, non potrebbe in autonomia avere la legittimazione e competenza necessari ad autorizzarlo ad esprimersi addirittura sulla causa di morte ben al di là del limite invalicabile della sola valorizzazione e commento delle analisi svolte come mero farmacista tossicologo. Ci sono stati «errori nell’analisi di merito», segnalati nella memoria della famiglia Magherini. Da questa mole di errori, scaturirebbe la «surreale ricostruzione dei fatti, spesso incomprensibile nei suoi passaggi logici, tutta tesa a negare una condotta commissiva degli operanti concretizzatasi viceversa in una prolungata e violenta compressione a terra del corpo del Magherini In posizione prona, e prolungatasi ben oltre il suo ammanettamento con le mani dietro la schiena».

E’ quello che “dice” la lesione al fegato di Ricky, segnalata dal perito del pm ma «inspiegabilmente ignorata dal giudice». Lesioni che sono conseguenza dei tentativi di immobilizzazione, calci e compressione “non consona”, da parte di qualcuno a cavalcioni sulla schiena della vittimaLa stessa storia “raccontata” dalle lesioni alle costole frettolosamente archiviate come effetti collaterali delle manovre rianimatorie. Di calci sferrati alla vittima, anche quando era a terra, riferiscono tutti i testimoni di quella notte. Ma la sentenza sembra avere inchiostro solo per il dato tossicologico, per negare l’asfissia indotta dalla compressione ma, per le parti civili, non spiega mai come lo stress di quella notte abbia fermato il cuore sano di Magherini. Fu asfissia e si sa fin dall’autopsia. «Non di un’asfissia diretta ma di un meccanismo asfittico progressivo determinato da un’altrettanta progressiva riduzione compromissiva della funzione respiratoria», ammise il perito ignorato dalla sentenza. Riccardo era faccia a terra. E, in quella posizione si respira male anche se un consulente dell’Arma proverà a dire che anzi, con la faccia così si respirerebbe meglio. Ogni minuto trascorso inutilmente senza soccorrerlo ha compromesso le sue possibilità di essere e Riccardo è morto per asfissia per il solo fatto che non gli è stato materialmente permesso di soddisfare il suo fabbisogno di ossigeno reso particolarmente necessario dal maggior impegno cui è stato sottoposto sul piano emotivo (stress e paura) e fisico (colluttazione, dolore e compressione). Non ci sono elementi per sostenere che sarebbe morto comunque, anche se non avesse incontrato quei carabinieri.

 

 

 

 

 

 

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