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Israele, lo spettacolo elettorale del partito unico sionista

Chiunque invidi gli Usa perché non vi sono che due partiti dovrebbe sapere che in Israele ve ne sono ancora di meno

di Gideon Levy/traduzione Cristiano Dan

Questo giovedì 1° agosto verranno registrate [in vista delle elezioni in Israele il prossimo 17 settembre] decine di liste elettorali, in una dimostrazione fasulla di pluralismo. La popolazione è polarizzata? Non politicamente. Gli elettori hanno spirito critico? Altra illusione. Le elezioni prospettano alternative? Altro inganno.

Israele sta trasformandosi in un Paese che ha una sola idea, e pertanto di fatto in uno Stato a partito unico. Certo, vi sono innumerevoli liste elettorali, e due blocchi, uno di sinistra e l’altro di destra. Molto rumore per nulla. Le differenze fra loro sono trascurabili, a eccezione di una questione che eclissa tutte le altre: sì o no a Benyamin Netanyahu.

Chiunque invidi gli Stati Uniti perché non vi sono che due partiti dovrebbe sapere che in Israele ve ne sono ancora di meno. Le differenze fra Bernie Sanders, Elizabeth Warren e Donald Trump sono molto più marcate di quelle fra Netanyahu, Benny Gantz ed Ehud Barak. Quando l’obiettivo principale si riduce alla fusione fra i partiti (prima delle elezioni) e all’unità (governativa, dopo le elezioni), l’abisso [che sembra esservi fra loro] non è affatto un abisso, il fossato non è un fossato. Solo il vuoto è veramente un vuoto.

Non che non vi siano differenze. Vi sono, ma di tipo retorico. Uno manifesta apertamente il suo razzismo, e ne va fiero, mentre l’altro lo sottace. Uno si ammanta di belle parole a favore dei diritti universali, come la giustizia l’eguaglianza la pace e il diritto internazionale, l’altro se ne fa beffe. Ma al di sotto degli slogan non vi sono differenze, solo scontri personalistici. Guardate come di questi tempi i partiti si fondano fra loro senza difficoltà [in vista delle elezioni]. L’unico problema si riduce a quello di sapere chi sarà in lista per la Knesset [il Parlamento israeliano]. Nessuno si preoccupa d’altro. Partiti senza programmi e liste elettorali senza direzione sono facili da fondere: è sufficiente mettersi d’accordo su chi avrà un posto sicuro nelle liste elettorali.

L’unità è l’obiettivo di tutti, ma per che farne? Alla fine di tutte queste discussioni sull’unità e sui sindacati [Amir Peretz, già dirigente del sindacato Histadrut e già ministro della Difesa, è a capo del Partito laburista], quel che ci attende è l’uniformità. Così come secondo Tzav Piyus [“Il dovere di riconciliarsi”, partito fondato nel 1996] gli Ebrei laici devono rispettare i sentimenti degli Ebrei religiosi, allo stesso modo l’unità viene fatta a rimorchio della destra. Di questo si tratta quando la destra, e anche l’estrema destra, viene giudicata normale mentre la sinistra, anche quella moderata, è vista come una maledizione.

La prossima Knesset avrà di nuovo una maggioranza assoluta e totalitaria su un preciso orientamento, con esclusione di tutti gli altri. Oltre 100 dei suoi 120 deputati saranno infatti sionisti, e un numero di deputati sorprendentemente simile a questo sarà a favore dell’occupazione [dei territori palestinesi]. In nessuna democrazia esistono maggioranze simili.

Il sionismo è un’ideologia come tante. Potete esserne a favore o contro, o pensare che ha fatto il suo tempo. Ma non in Israele. Un israeliano ebreo non può non essere sionista. Il sionismo è una religione imposta. Si tratta del primo caso di coercizione religiosa da queste parti.

Nessuno si dà la pena di chiarire cosa significhi oggi il sionismo. È come una vacca sacra. Nessun partito osa contestarlo, modernizzarlo od opporvisi, a eccezione degli Haredim [“Timorati di Dio”, gli ultraortodossi] – che però in maggioranza nella pratica sono leali sionisti – e degli Arabi, che in qualche modo ne sono autorizzati. Ma ciò che è ancora più stupefacente è il totale sostegno al proseguimento dell’occupazione. Con l’eccezione della Lista unita [fra Hadash, collegata al Partito comunista israeliano, e tre formazioni arabe], nessun partito inalbera la bandiera dell’opposizione all’occupazione. Il Meretz guidato da Ehud Barak non ha più questa caratterizzazione, mentre il Partito laburista non l’ha mai avuta.

Se tutti sono sionisti e tutti appoggiano l’occupazione, e non si propongono nemmeno di porvi fine, non si può parlare di reali divergenze d’opinione. Tutti sono anche d’accordo sulle guerre che qui si fanno, quanto meno quando cominciano. E la bandiera che il centrosinistra si sforza di sventolare, quella della battaglia per la democrazia e per la difesa del sistema giudiziario, è la bandiera degli ipocriti. Coloro che sono a favore dell’occupazione non hanno diritto di parlare di democrazia, né di indipendenza dei tribunali: sono gli stessi che hanno accettato in modo vergognoso la richiesta dell’establishment della Difesa di poter distruggere 70 appartamenti a Gerusalemme Est [a Wadi Hummus, col pretesto che erano troppo vicini alla barriera di separazione; decisione approvata dalla Corte suprema]: nessuno di questi sacri guardiani dell’indipendenza dei tribunali ha aperto bocca.

Le elezioni israeliane sono uno spettacolo, come tutto ciò che passa la televisione. I media provocano una specie di suspense artificiale su chi vincerà e chi perderà, come avviene in ogni reality show. I loro risultati saranno inevitabili quanto lo sono le risposte agli assurdi quiz dei reality. C’è bisogno di politici che abbiano qualcosa da dire, giusto per poter cambiare un po’.

[Il testo originale di questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano israeliano Haaretz il 1° agosto 2019, e tradotto in francese dalla redazione del sito svizzero «Alencontre», cui si devono anche gli interventi fra parentesi quadre]

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