Arrivata alla Casa rifugio di Cinecittà una comunicazione di sgombero per il 15 settembre. Non si sa che fine faranno i bambini e le donne vittime di violenza ospitate
Marina Zenobio
Martedì scorso le attiviste di Lucha y Siesta, che gestiscono la casa rifugio per donne vittime di violenza e per i loro figli nonché un centro antiviolenza nel quartiere romano di Cinecittà, hanno ricevuto una comunicazione da parte del Tribunale fallimentare di Roma secondo cui il prossimo 15 settembre l’edificio sarà sgomberato e tutte le utenze staccate.
Si tratta di un edificio proprietà dell’Azienda di trasporto pubblico di Roma, l’Atac che, per salvarsi dai debiti causati da una storica disastrosa gestione, tenta di fare cassa decretando la fine di una delle esperienze sociali e culturali tra le più preziose delle capitale. Mentre il Comune di Roma, con la sua sindaca che della violenza contro le donne ha fatto una opportunistica vetrina politica, sta a guardare.
La Casa, nata nel 2008 e recuperata all’abbandono e al degrado dalle attiviste di Lucha y Siesta, attualmente ospita 15 donne e 7 bambini, molti dei quali vittime di violenza assistita, ma da parte del Comune di Roma non è stata comunicata alcuna sistemazione alternativa.
Ci si chiede dunque che fine faranno questi bambini e le loro mamme che hanno trovato rifugio nella Casa per sfuggire a situazioni di violenza intrafamiliare.
In 11 anni di attività la Casa rifugio Lucha y Siesta, che ha una capacità di 14 posti, ha sostenuto 1200 donne nel loro percorso di fuoriuscita dalla violenza, 140 le donne e 60 i minori che lì hanno trovato un posto sicuro.
Dal 2009 le attiviste hanno tentano di interloquire con le istituzione interessante e i vari partiti politi che si sono succeduti al Comune di Roma e in Regione Lazio, hanno incontrato le amministrazioni Veltroni, Alemanno, Marino e Raggi, tutti hanno letto i dossier sui risultati raggiunti dalla Casa, il prezioso lavoro prestato gratuitamente a fianco delle donne, nonché le migliaia di euro risparmiate dalle amministrazioni per aver messo a valore un bene in modalità autogestita.
Nessuno però sembra aver mostrato il minimo impegno né la volontà per evitare l’alienazione dell’immobile. “Tutte le interlocuzioni si sono rivelate bugie e manipolazioni, in una città allo sbando e in mano a liquidatrici e tribunali fallimentari – denunciano le attiviste per le quali – la politica ha abdicato alla sua funzione pubblica per nascondersi dietro procedure giudiziarie e burocratiche preoccupandosi come sempre degli interessi di pochi piuttosto che del benessere di persone che a Roma ci vivono”.
Martedì scorso è arrivato dunque l’avviso di sgombero al quale la Casa ha deciso di rispondere con la resistenza perché, per le attiviste di Lucha y Siesta, si tratta di una battaglia di giustizia e di civiltà, e perché #luchaysiestanonsivende