Francia, i siti alternativi pubblicano la foto di una donna, sarebbe un’infiltrata che informava la polizia durante la violenta repressione dei cortei contro il G7
L’inquietante storia di “Dan Boro”, detta anche “Rose”, “Rose des sables” o “Clara”, a seconda dei contesti in cui questa donna dall’età apparente di una cinquantina d’anni ha agito all’interno dei movimenti sociali francesi. E’ un'”indic”, un’informatrice. Improvvisamente, la sua foto è apparsa sulla galassia di siti militanti e pagine Facebook che ruotano intorno ai giubbotti gialli. Su uno di questi, si legge questa avvertenza: «Non siamo ancora in grado di sapere con precisione se questa persona è un membro diretto della polizia o di un altro dipartimento o se è un “informatore”. Questo non cambia le misure da adottare per proteggersi se si è stati in stretto contatto con questa persona».
Un comunicato stampa, pubblicato martedì 27 agosto su Indymedia Nantes e IAATA, senza firma e “scritto in urgenza”, si riferisce così a una “poliziotta infiltrato trovata al contro-vertice del G7”. Le informazioni sono trasmesse anche da L’Express, che specifica che si tratterebbe di un “indic”. L’accusata replica su fb: «Sto solo aspettando che la paranoia si fermi». Ma poco dopo sembra evaporare. Anche “Dan Boro” è scomparso da Telegram da dove interveniva con regolarità su una decina di profili di “giubbotti gialli”, nei dibattiti relativi alla violenza della polizia e ai procedimenti giudiziari. La donna è anche sparita fisicamente dai radar, soprattutto da quelli dei circoli militanti di Tolosa, dove ha avuto l’abitudine di girare negli ultimi mesi.
E’ nei Paesi Baschi, in occasione del contro-vertice del G7 a Hendaye, che sarebbe stata smascherata. Venerdì 23 agosto, nel campo del contro-vertice, un’assemblea improvvisata discuteva in particolare sulla volontà di diversi gruppi di manifestanti di recarsi a Bayonne il giorno successivo. Il contesto è teso, caratterizzato da una forte presenza della polizia. Così si legge, tra l’altro, sul sito di inchiesta Mediapart. Tra gli attivisti sono emerse divisioni sulle strategie militanti, da qui la necessità per alcuni di esprimere le proprie posizioni in modo discreto, al riparo dietro un parasole.
Rose è stata vista mentre scattava foto con il cellulare, che teneva a livello dello stomaco. Un intero repertorio, con un riassunto delle posizioni che espresse al microfono, che poi invia ad un contatto della sua agenda, “Éric”. Molti la riconosceranno più tardi come “Dan”. Incalzata dagli attivisti, la donna giura che sta inviando messaggi a sua figlia, poi balbetta, dice di scattare foto perché teme “per la sua sicurezza”. Tuttavia riesce a fuggire e i testimoni hanno ricordato di averla vista a più riprese, dal 19 agosto, quando è stato issato il campeggio, che si presentava ai baschi come una francese e diceva di essre basca ai Toulousains.
A Tolosa è stata piuttosto attiva e legata in particolare al “gruppo degli otto”, tre donne e cinque uomini arrestati, durante un’operazione brutale, il 22 febbraio mentre preparavano, nella casa di uno di questi, striscioni e mezzi di difesa per l’acte XV dei gilet jaunes. Accusati di possedere un arsenale da guerra, sarebbero stati rilasciati, il loro dossier è quasi vuoto ma sono ancora sotto inchiesta con accuse forti, associazione criminale e possesso di sostanze o prodotti esplosivi, in realtà fumogeni.
Presentandosi come attivista esperta, “Dan Boro” si era unita a questo gruppo di affinità a gennaio con il nome di “Besse”. Lei li aveva contattati su Telegram attraverso un membro del gruppo che è stato rapidamente espulso dopo aver fatto proposte di azione che sono state considerate troppo violente. Besse, percepita come una recluta sicura dalla maggior parte degli altri membri, è rimasta e ha partecipato a “tre o quattro riunioni” del gruppo. Presentandosi come madre di due figlie e con un passato pesante dal punto di vista familiare, è apparsa come una donna «determinata ed efficente». Nei cortei Besse ha svolto il ruolo di “scout”, informando i gilet gialli tramite SMS sulla posizione della polizia. Informazioni che per la maggior parte del tempo si sono rivelate affidabili. Con il pretesto di dover accogliere la figlia, Besse aveva avvertito che non avrebbe potuto partecipare alla riunione del 22 febbraio 2019. Tuttavia, due del gruppo sono stati sorpresi di incontrarla per caso, lo stesso giorno, al tavolino di un bar nel centro della città dove ha ribadito loro la delusione per non poter partecipare alla riunione. Così è scampata all’arresto e poi alla custodia di 48 ore. Quando gli altri membri del gruppo hanno lasciato la stazione di polizia, la domenica sera, lei tra quelli che li aspettavano. Ma Besse non si è preoccupata di assistere alla loro comparizione in tribunale il 12 marzo successivo, durante la quale è emerso che uno degli otto, un uomo di nome Tristan, con una lunga fedina penale, stava effettivamente lavorando per la polizia. Era lui il gancio di Besse, quello che aveva proposto al gruppo di far esplodere dei binari ferroviari. Durante l’udienza, Tristan ha ammesso di seguire le istruzioni di un agente di polizia.
Non è sotto il nome di Besse, ma sotto il nome di Dan che Alex, Claude e Dominique incontreranno questa stessa attivista, come membri di un collettivo di Tolosa, nella preparazione del contro-vertice del G7 in aprile. Dan ha iniziato a partecipare a riunioni più chiaramente dedicate agli aspetti logistici e organizzativi. Di nuovo dicendo che aveva due figlie, accennando ad un passato di attivista a Clermont Ferrand e sostenendo di lavorare per la filiale di un grande gruppo francese a Tolosa che né ha smentito, né confermato.
Besse diventa rapidamente indispensabile e inizia a fare la spola con Bayonne, vuole svolgere un ruolo importante nella logistica e soprattutto nella ricerca di alloggi, sostenendo di avere legami con i responsabili dell’apertura di uno squat a Bayonne. Tuttavia, questi contatti con il mondo militante basco si riveleranno quasi insignificanti. Alcuni attivisti si sono insospettiti, così non ha più avuto alcun ruolo nell’organizzazione ufficiale del contro-vertice.
Tuttavia, all’inizio di agosto, Dan è tornata a Tolosa affermando di avere “molte informazioni” sempre per “spingere all’azione”, elemento che emerge in tutte le testimonianze raccolte: “Ha iniziato a parlare male dei giubbotti gialli, mettendo in discussione alcune delle loro azioni e dicendo che non erano abbastanza determinati e non molto intelligenti”, dice un certo Claude a Mediapart. Durante le riunioni non si prende più la briga di togliere il telefono dai tavoli e comunica spesso attraverso canali non protetti. Chi la vede non capisce se sia sprovveduta, in malafede o fuori di testa. Nel pomeriggio del 23 agosto, al tendone dei gilet gialli per “i più determinati”, “Dan” si fa confiscare il telefono.
Qualche ora dopo, dopo che la polizia ha represso selvaggiamente una manifestazione e si è intrufolata nel campo, un’assemblea generale si è tenuta d’emergenza con 2mila partecipanti. Un membro del team legale avverte che il loro movimento è stato “infiltrato”, causando enorme emozione e intensa paranoia tra i gruppi presenti al contro-vertice.
Senza precedenti per le sue dimensioni, la sua durata, ma anche per l’intensità della repressione poliziesca, giudiziaria e amministrativa, questo movimento sociale ha temuto la pirateria dall’interno per mesi. Il sospetto è tanto più forte dopo che, alla fine di agosto, molte delle pagine facebook dei media alternativi della sinistra radicale hanno visto crollare le visite improvvisamente dopo aver pubblicato il comunicato stampa su questo caso di infiltrazione, e rimangono ancora oggi senza alcuna risposta da parte di facebook sull’origine di questo declassamento.
Lo spettro dell’infiltrazione dei collettivi ultra-sinistra
L’equipe di Mediapart ha raccolto molte testimonianze sui metodi sfrontati, “à la hussarde”, da parte dell’intelligence per circuire e ricattare attivisti e trasformarli in “indic”. Anche questa estate a Hendaye. Un dossier su un sito contro la repressione fa la storia incompleta di decenni di tentativi in tutta Europa. Mercoledì 21 agosto sono stati scoperti due poliziotti in borghese tra i manifestanti che non hanno opposto restistenza quando sono stati allontanati dal campo: “Si comportavano in modo strano, osservando tutto quello che veniva fatto”, dice un attivista.
All’ora di pranzo, i poliziotti avevano pranzato – c’è tanto di scontrino – con un terzo ospite in un ristorante in Place Beaurivage, sulla costa basca di Biarritz, uno dei luoghi più blindati per l’evento del G7. Il 2 settembre 2019 esce un comunicato che mette in guardia da “Dan”, “Clara” o “Rosa”, qualunque sia la sua identità, e invita alla buona volontà per trovare “altri alias”, indirizzi e-mail o numeri di telefono.
Queste non sono solo paranoie da anarchici. Recentemente, una talpa del DGSI, Direction générale de la sécurité intérieure, il controspionaggio francese, è stata scoperta da militanti che hanno combattuto in Rojava. Nel marzo 2019, il sito web delle donne del Kurdistan ha pubblicato un avviso formale contro una rimpatriata il cui pseudonimo era “Ravachol” e aveva trascorso due periodi di cinque mesi in Rojava tra il 2017 e il 2018. I suoi ex compagni avrebbero scoperto la sua duplicità in una scena che ricorda gli eventi del contro-vertice del G7.
Tutto ciò è legale dalla primavera del 2015, da quando è in vigore l’etat d’urgence, ufficialmente varato contro il terrorismo islamico ma rivolto soprattutto al fronte interno per contrastare il dissenso alle numerose controriforme liberiste dei governi di Hollande, prima, e Macron, poi.Da allora, il Codice di sicurezza interna ha previsto al paragrafo 5 dell’articolo L811-3 che i servizi di intelligence possono utilizzare diverse “tecniche” nel contesto, in particolare, della prevenzione della “violenza collettiva che potrebbe danneggiare gravemente la pace pubblica”.
Lo stesso articolo offre un’ampia gamma di azioni ai servizi in quanto include in queste tecniche, “quando le informazioni non possono essere raccolte con altri mezzi legalmente autorizzati”, “l’uso di dispositivi tecnici che permettono la cattura, la fissazione, la trasmissione e la registrazione di conversazioni o immagini private o confidenziali in un luogo privato”. Ma queste disposizioni, destinate ai professionisti dei “servizi segreti specializzati”, non si applicano ad un informatore, dice un ricercatore che lavora sull’argomento. Un informatore che agisce in questo modo, anche su richiesta della polizia, potrebbe essere perseguito per “violazione della privacy”, e il servizio che lo pilota per “possesso di beni rubati”. Lunedì scorso Mediapart ha inviato una serie di domande sugli eventi del contro-vertice del G7 al Ministero dell’Interno e al principale servizio di intelligence interna, la DGSI. Rilanciata martedì e mercoledì, Beauvau e DGSI hanno dichiarato di non voler commentare. Nemmeno sul futuro di questa donna, sfidata pubblicamente.
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