Amore e orrore nel nuovo romanzo di Luca Cangianti, “I morti siete voi” (Diarkos), ambientato tra la Roma occupata del ’44 e Genova 2001
di Maurizio Marrone
Al termine della prima lettura de “I morti siete voi” di Luca Cangianti la sensazione che si è via via andata imponendo sulle altre è stata quella di avere appena terminato un romanzo sull’amore. Non un libro d’amore si badi bene, ma un libro che, in sé, è un gesto d’amore. Trattandosi di un horror fantapolitico (mi si perdoni il pedestre uso delle categorie di genere) che si snoda tra due piani temporali differenti – i mesi terribili dell’occupazione di Roma da parte dei nazisti e le giornate infauste del G8 di Genova del 2001 – mi sono sentito obbligato a cercare le ragioni di questa sensazione. Anche perché nel romanzo una vera e propria storia d’amore non c’è. La vicenda principale, infatti, narra le gesta di un scalcinato manipolo di partigiani della Garbatella, storico quartiere della capitale, devoti a Bandiera Rossa, la principale e più eterodossa tra le brigate rivoluzionarie che operarono a Roma durante la resistenza. Tra canti da osteria, bestemmie, sbronze e litigate su Stalin e Trotsky, un ex soldato del regio esercito, un operaio, un oste zoppo, uno spocchioso ladruncolo di periferia e una ragazzina poco più che adolescente, come in un film di cappa e spada, mettono a ferro a fuoco la capitale al suon di sparatorie, fughe e sabotaggi. Quasi sessant’anni dopo, ma potremmo dire allo stesso tempo, Valeria, studentessa romana di filosofia, va a Genova per partecipare a quello che sarebbe potuto diventare l’evento simbolico di una rinata resistenza di massa, multiforme e partecipata e dove, invece, assiste attonita e terrorizzata ad una delle pagine più nere della recente storia repubblicana. Su queste due vicende così diverse, eppur per certi versi simili, quasi a rovesciare il tavolo, incombe torva e minacciosa la presenza estraniante di creature che non muoiono, mostri famelici che divorano gli esseri umani e li trasformano in loro simili.
Ma cosa c’entra l’amore in questo plot apparentemente indecifrabile, a metà tra epica della resistenza e fenomenologia del living dead? C’entra perché dalle pieghe di una narrazione serrata e mai fiacca, emerge la passione profonda e l’amore senza filtri che l’autore nutre nei confronti dei personaggi che ha posto sulla scena; e non per loro in quanto individui, ma perché essi rappresentano plasticamente la linfa politica di ogni movimento autenticamente antagonista, l’improvviso farsi comunità di una moltitudine di soggetti eterogenei, umili, disperati, traditi dal tempo e dalla storia, il cui unico debito di appartenenza è quello che sentono di avere nei confronti del comunismo, quello vero, “il comunismo in canottiera” come dice uno dei protagonisti, quello in cui gli uomini sono e si sentono uguali. È l’amore per un’umanità sconclusionata e variopinta, allergica alle logiche corporative e di partito, forza libera, primigenia e inarrestabile, che si fa rivoluzione e gesto eroico. Perché, nella ricostruzione dell’autore, questa è stata Bandiera Rossa.
“Schierati sopra il colonnato i ladri, le cicoriare e le ragazzine amiche di Gloria intonarono Bandiera Rossa. Una ragazza minuta, che poco prima aveva tirato in successione due bottiglie incendiarie andate perfettamente a segno, legò un enorme drappo rosso a un’asta molto lunga. Il canto prese via via più forza e alla fine non sembrava più provenire da quelle centinaia di bocche. Era qualcosa ancora di più possente, un’energia misteriosa a lungo repressa nelle viscere della Garbatella che fluiva impetuosamente come l’acqua da una diga che si rompe.” (p. 78)
E poi c’è l’amore viscerale per la Garbatella, lo storico quartiere romano dove Cangianti vive da molti anni. Per le sue vie e le sue piazze; per i muri diroccati e i vicoli acciottolati; per un luogo che trasuda la sua poetica unicità, raccontato con la perizia devota ed ossessiva dell’entomologo, eppur reso vivo dalla presenza pulsante di un popolo autentico, buffo e disarticolato ma forte della coscienza di essere dalla parte giusta della storia, dai panni stesi nei cortili dei lotti, dalle fornarine e dai carrettieri, dalle urla di gioia di bambini ignari del loro stesso destino.
Questo dopo la prima lettura. Al vaglio di un secondo passaggio più approfondito però il romanzo ha costretto il sottoscritto ad un’analisi meno empatica e ha rivelato una filigrana più complessa ed articolata, in cui si intrecciano diversi piani di lettura e svariate linee interpretative. C’è sicuramente, ad esempio, una riflessione sottotraccia sulla natura dei movimenti rivoluzionari e sul loro rapporto col potere costituito da una parte e con le forme di opposizione più organiche ed ortodosse dall’altra. Non è un caso, quindi, che vengano fatte interagire proprio Bandiera Rossa e il movimento no-global inauguratosi a Seattle nel 1999 e stroncato sostanzialmente nel sangue a Genova nel 2001.
”Da piazza Sarzano si snodò un serpente colorato di circa cinquantamila persone. C’erano immigrati, agricoltori, ambientalisti, anarchici, animalisti, anziani, giovani, bambini, artisti di strada, boy scout, buddisti, frati, femministe, attivisti delle organizzazioni gay e lesbiche, giocolieri, giornalisti, cattolici e sindacalisti di base, militanti dei vari partiti e partitini della sinistra, tute bianche e semplici cittadini che non si sarebbero identificati in nessuna di queste categorie”
Ritengo non sia azzardato voler riconoscere in questa babele irridente, contraddittoria e, forse proprio per questo, genuinamente antisistema, l’eredità simbolica lasciataci in dote dal popolo multiforme che, per ventura o per scelta, militò tra le file di Bandiera Rossa durante i giorni terribili della resistenza capitolina. Se si guarda invece alla meticolosità che l’autore dedica alla ricostruzione di luoghi, tempi e vicende è lecito scorgere, oltre ad un’invidiabile conoscenza delle fonti, una pacata vocazione al romanzo storico-politico, o forse fanta-storico, i cui moderni padri nobili potrebbero essere individuati, tra gli altri, in Valerio Evangelisti e Wu Ming. E in ultimo, ma non certo per importanza rispetto alla composizione dell’impianto narrativo, a scombinare i piani di un romanzo che si destreggia tra i generi in maniera apparentemente tradizionale, c’è l’irruzione inaspettata e destabilizzante del fantastico; un’irruzione che tinge di nero la trama e culmina con un colpo di scena che, per ovvie ragioni, ogni lettore dovrà avere la pazienza di scoprire da sé.
Il ricorso all’immaginario horror, in realtà, meriterebbe una riflessione a parte[1] ed è un tema molto caro all’autore che, non a caso, ne ha fatto il cuore pulsante di “Sangue e Plusvalore[2]”, il suo romanzo precedente che aveva come protagonista Karl Marx nelle inedite vesti di investigatore. Se in quel caso la minaccia era rappresentata da un vampiro assetato di sangue e da una macchina infernale che divorava gli operai sputandone le membra triturate, ne “I morti siete voi” l’incursione del mostruoso si incarna nella figura del living dead di matrice romeriana, senza negarsi però qualche ammiccamento ad episodi che eccedono il perimetro della mitologia zombie classica, come l’ultima versione cinematografica di “Io sono leggenda” o lo zombie-novel “La ragazza che sapeva troppo” di M.R. Carey, solo per citarne alcuni. Senza entrare nel merito dei molti studi recenti che vedono, ad esempio, nella figura del living dead, la proiezione orrorifica delle ansie e delle paure che agitano un’umanità ormai stremata dalla propria smania di consumo, si deve dire però che in Cangianti l’uso di quella grammatica ormai nota è sostenuto da un azzardo molto seducente: lo scarto prospettico cui ci costringe l’apparire del fattore horror, infatti, è sì utilizzato come efficace espediente narrativo ma, ad un livello più profondo, esso rappresenta un autentico grimaldello ermeneutico che l’autore utilizza, al pari delle categorie classiche della riflessione politica, per dar conto di fenomeni complessi e spesso apparentemente indecifrabili. Ciò che ne risulta rovesciato, pur attraverso la lente edulcorante della fiction, è il rapporto tra politica e immaginario; un rovesciamento in virtù del quale è l’una ad essere territorio dell’altro e non viceversa. È sul terreno dell’immaginario che si deve consumare la lotta, anche laddove il nemico abbia fattezze abominevoli. Dice Cangianti che Marx “dedicò tutta la vita al tentativo, per certi versi maniacale, di mostrare come nel modo di produzione capitalistico, sotto l’apparenza di una società basata sul libero scambio, albergasse un mostro ripugnante che teneva schiavi gli esseri umani per cibarsi della loro energia.”[3] Allo stesso modo i protagonisti del romanzo si sentono chiamati a lottare contrò un nemico che non muore, contro “ciò che non dovrebbe essere”. Eppure, o forse proprio per questo, uno di loro si domanda:
Perché solo noi, rifiuti della società, siamo disposti a credere che qualcosa di mostruoso mette in pericolo l’esistenza della vita umana? Perché solo noi siamo disposti a combattere e a sognare un mondo senza mostri?
I morti siete voi sarà presentato a Roma il 20 settembre alle h. 19 a Roma presso la libreria caffè Tomo (via degli Etruschi 4, San Lorenzo). Oltre all’autore Luca Cangianti, saranno presenti Davidi Broder (redattore di Jacobin Mag) e Fabio Ciabatti (redattore di Carmilla).
[1] A questo proposito dell’autore si veda Fanta Marx, in Immaginari alterati, Pp. 75-100; Mimesis 2018
[2] Luca Cangianti, Sangue e plusvalore; Imprimatur 2014
[3] Luca Cangianti, Fanta Marx, Op. cit., p. 79