Effetto Domino, il nuovo film di Alessandro Rossetto. La fine del mito dell’operosità familiare del Veneto
Un film per raccontare le dinamiche economiche, sociali ed umane nel nordest italiano della crisi economica: Alessandro Rossetto con Effetto Domino ha centrato in pieno il nocciolo della questione, descrivendo con minuziosa attenzione una storia che assume connotati tragici e beffardi, niente di più della coazione a ripetere del lugubre e vorticoso declino economico veneto. Declino che, va detto, capita in sorte a taluni e – guarda caso – non capita certo in sorte ad altri.
Tutto parte da un geometra ed un impresario (ben interpretati da Mirko Artuso e Diego Ribon) ultimi figli di una generazione di uomini che si sono costruiti con le loro mani col duro lavoro. I due pensano all’idea ambiziosa di rilevare dei vecchi stabili dismessi per farne residenze di lusso per anziani. Numeri e prezzi da capogiro, l’eccitante brama veneta di un rapido far schei, pratiche edilizie “oliate” attraverso mazzette erogate a compiacenti dipendenti comunali, la furia costruttiva che non si ferma di fronte a niente. Ma nel Veneto globalizzato in cui il pesce grande mangia il pesce piccolo – e l’impresa familiare veneta non è per forza un pesce grande – subentrano le difficoltà: gli istituti di credito decidono che il prestito inizialmente accordato non è più valido.
Da lì parte l’effetto domino, il crollo delle pedine, l’una sull’altra, il ribaltarsi fragoroso del castello di carte, fino a cadere sugli ultimi degli ultimi, i lavoratori dipendenti che rimangono senza lavoro.
Il film di Rossetto a quel punto diventa un crescendo di angoscia, un rincorrersi di disperazioni che hanno risvolti nell’economia di piccola scala, ma anche nelle relazioni umane e familiari.
Sullo sfondo un mix di temi. Alcuni trattati per semplificazioni, superficialmente (l’innalzamento dell’età media della popolazione), altri affrontati coi dovuti crismi del caso. Il Veneto lavoratore, cristiano praticante, a tratti bigotto e fissato nelle sue abitudini stakanoviste, ne esce fatto a pezzi: spinta alla cementificazione (proprio nei giorni in cui l’Ispra ricorda che il Veneto non smette di consumare suolo), disuguaglianze sociali, famiglie che vanno in pezzi, sfruttatori che diventano vittime, imprenditori più o meno onesti che, inguaiati, preferiscono farla finita.
Un film che meriterebbe d’esser visto, se non altro per interrogarsi su quale modello sia oggi quello del Nordest del terzo millennio. Un film che, pur ben accolto alla mostra del cinema di Venezia, avrebbe meritato maggior fortuna ai botteghini.