Azione dei centri sociali a Bologna contro la compagnia aerea turca. A Roma, un dossier di Unponteper e le richieste al governo giallorosa
Blitz questa mattina da parte di una cinquantina di esponenti dei collettivi e dei centri sociali bolognesi all’aeroporto Marconi per protestare contro la compagnia aerea Turkish Airlines e condannare ogni accordo tra l’Unione Europea e la Turchia. Gli attivisti – di Rete Jin, Non Una Di Meno, Vag61, Laboratorio Crash, Collettivo Universitario Autonomo, Circolo anarchico Berneri, Làbas, Tpo, Xm24, Coordinamento migranti e Connessioni Precarie – hanno esposto uno striscione (‘Boycott Turkey’) davanti ai banchi del check in della compagnia di bandiera con l’intenzione di bloccare i voli. Sul posto è presente la Digos e la questura fa sapere che il blitz non ha avuto ripercussioni sulle partenze né sull’attività dello scalo. I manifestanti, secondo la polizia, sarebbero già usciti dal Marconi continuando la protesta all’esterno. Secondo gli attivisti in seguito sono state oscurate alcune pagine social tra realtà collettive, come Labàs e di singoli.
«Quello che la Turchia vuole ottenere – spiega un comunicato dei promotori – non è soltanto l’annessione del Rojava ai propri confini, ma la distruzione di un simbolo e di una pratica di resistenza, la riduzione al silenzio delle donne e degli uomini che vivono e lottano in quelle terre. L’annientamento di chi negli ultimi anni è stato in prima linea militarmente contro l’Isis, difendendo la libertà di tutte e tutti; di chi ha immaginato e creato una società diversa. Rojava non significa soltanto resistenza al terrorismo e all’oppressione, ma soprattutto rivoluzione femminista e ambientalista, liberazione dall’oppressione capitalista e patriarcale. Questa lotta non è una lotta locale, bensì globale, perché ha messo al centro un processo di autodeterminazione, di autodifesa e di costruzione di una realtà che mette in discussione l’esistente, in Rojava e ovunque. Per questa ragione fa paura e, anche per questa ragione, si trova oggi abbandonata di fronte all’attacco turco. Un’invasione resa possibile dalla complicità americana e dall’indifferenza europea e mondiale. La cosiddetta comunità internazionale, oggi, difende la dittatura, il terrore e la violenza e abbandona chi lotta per la liberazione di tutte e tutti. Esemplare il caso italiano, dove si dichiara la sospensione del rifornimento d’armi alla Turchia, nonostante i finanziamenti siano già stati stanziati fino a fine dicembre. Dove, a parole, sono tutti vicini al popolo curdo, ma nei fatti si censurano le pagine che riportano notizie dalla Rojava e persino le foto dei cortei di solidarietà. A ridurre alla più totale inettitudine l’Europa basta la minaccia di Erdogan di aprire le frontiere al passaggio delle e dei migranti. Una paralisi complice, perché frutto di quegli interessi e compromessi politici che giocano costantemente sulla dignità delle persone, sulla loro libertà di movimento, sulla loro vita».
Per sabato è già in programma un nuovo appuntamento cittadino, fa sapere il sito Zic: “Da Bologna aderiamo alla chiamata internazionale di RiseUp4Rojava, mobilitandoci nella nostra città contro la guerra di Erdogan in Siria del Nord”, è l’appello diffuso dalle numerose realtà autogestite che già avevano promosso le precedenti iniziative di piazza. L’appuntamento stavolta è per le 15 in piazza XX Settembre.
Intanto, in una conferenza stampa alla Camera, la ong Unponteper ha presentato ieri un rapporto sulle violazioni del Diritto Umanitario a cui hanno assistito i suoi operatori e le sue fonti e sugli attacchi incondizionati contro la popolazione civile. Unponteper è impegnata sul terreno ad assicurare alle decine di migliaia di sfollati interni assistenza sanitaria per i civili colpiti e sostegno d’emergenza per la popolazione in fuga dalle bombe. E chiede al Governo italiano
– di varare un embargo sulle armi vero e con effetto immediato e non solo sulle commesse future. Chiediamo di ritirare il contingente militare impegnato in Turchia a presidio dei confini della Siria nell’operazione “Active Fence” con la batteria di missili antimissile: neanche indirettamente l’Italia deve supportare la guerra di Ankara.
– Deve essere avanzata alle Nazioni Unite la richiesta di una No Fly Zone in tutto il Nord Est della Siria sul modello di quanto adottato a suo tempo sul Kurdistan iracheno.
– Compiere ogni atto capace d’isolare il Governo turco costringendolo a fermare l’aggressione armata. Ai Comuni e a tutti gli Enti locali in generale chiediamo atti di gemellaggio e solidarietà con le città curde e di votare documenti di condanna della guerra.
Simbolicamente inoltre chiediamo che sia da subito cancellata dalla UEFA e spostata in altra nazione la finale della 65ª edizione della Champions League di calcio prevista a Istanbul. Al mondo dello sport chiediamo inoltre, nell’imminenza degli avvenimenti sportivi del fine settimana, di chiedere al pubblico un sostegno economico da destinare alla Mezzaluna Rossa Curda e a sollecitare i Presidenti dei club di calcio professionistico a destinare una parte dei proventi dei biglietti a questa causa.
Ma il governo italiano è quello che commercia armi con Erdogan mentre «l’aggressore turco sta usando tutte le armi disponibili contro Ras al Ayn», si legge in comunicato dei curdi, in cui si afferma inoltre che «di fronte all’ovvio fallimento del suo piano (il presidente turco Recep Tayyip) Erdogan sta facendo ricorso ad armi che sono globalmente vietate, come il fosforo bianco e il napalm», che incoraggia le delocalizzazioni delle imprese italiane in Turchia e che non ritira nemmeno i 130 “nostri” ragazzi in servizio laggiù: «Dopo un profluvio di parole e proclami da parte dei partiti di governo in solidarietà con il popolo curdo apprendiamo che sta partendo da Roma per la Turchia un cannone italiano che spara 600 colpi al minuto. L’Italia sta continuando ad armare gli assassini turchi anche in queste ore. Questo è un governo di buffoni che mentre Erdogan massacra i curdi acconsente alla richiesta della Nato di aumentare di 7 miliardi le spese militari», ha detto Maurizio Acerbo, segretario nazionale Rifondazione Comunista – Sinistra Europea. Si tratta del cannone automatico Oerlikon da 25 mm, 600 colpi al minuto, installabile su navi da guerra e carri armati, diretto ad Ankara dai capannoni della zona industriale di Settecamini (Roma), sede della Rheinmetall spa, controllata italiana del colosso tedesco degli armamenti Rehinmetall Defence. «Invece di ritirare i 130 militari italiani di stanza in Turchia con sistemi di difesa missilistica a protezione di Erdogan – prosegue – l’Italia continua a consegnare armi. Bisognerebbe non solo fermare sul serio forniture di armi ma predisporre sanzioni economiche e schierarsi con determinazione all’ONU e nell’UE per la condanna di Erdogan». «L’economia turca è fortemente orientata all’esportazione e quel paese è cresciuto grazie alle delocalizzazioni di imprese italiane e europee. Le sanzioni economiche – come accadde per il Sud Africa razzista – non sarebbero indolori per Erdogan. Ma è evidente che il nostro governo e tutta l’UE non vogliono creare problemi alle proprie imprese. Continuiamo la mobilitazione per imporre ai governi di usare tutti i mezzi per fermare Erdogan», conclude Acerbo.
La diaspora curda, le reti di solidarietà e internazionaliste sono al lavoro per una manifestazione nazionale a Roma il primo novembre.
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