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Le attese e i desideri dell’Età dell’Ansia. Gli anni ’20 si mostrano

Gli anni Venti in Italia. L’età dell’incertezza, fino al 1° marzo in mostra nell’Appartamento del Doge di Palazzo Ducale a Genova

Inquieti, incerti, ambigui, spaesati eppure effervescenti, sghembi eppure amanti dell’ordine, ripiegati sulla tradizione eppure proiettati in un futuro tecnologico. Straniti, eppure glamour e affascinanti. E ancora: traumatizzati dal massacro di una guerra mondiale dalle cui trincee l’Europa si era risollevata a fatica, eppure affascinati da un’estetica della violenza. A loro modo profetici, nel loro essere sospesi sull’orlo di una crisi finanziaria devastante.  In due parole, “l’età dell’ansia”, come sintetizzò il poeta inglese Wystan Hugh Auden. Sono – stati  e/o    saranno –  gli Anni Venti. Si ma appunto,  quali esattamente? Quelli del terzo millennio che stanno per aprirsi tra una manciata di settimane o quelli di cent’anni fa?  Domanda legittima, perché anche su questa suggestione gioca parte del suo appeal la mostra  Gli anni Venti in Italia. L’età dell’incertezza, che fino al prossimo 1° marzo  sarà allestita nell’Appartamento del Doge di Palazzo Ducale a Genova. Curata da Matteo Fochessati e Gianni Franzone, l’esposizione si snoda in un percorso di un centinaio di opere provenienti da collezioni pubbliche e private, articolato in nove sezioni che sono altrettante stazioni di  un’indagine della complessità storica, politica, sociale e culturale di quel decennio così lontano, così vicino:

PROLOGO Volti del tempo

Una sequenza di ritratti apre, come un prologo, la mostra.
Una  lunga galleria – con opere di Gino Severini, Giorgio de Chirico, Felice Casorati, Achille Funi, Baccio Maria Bacci, Ubaldo Oppi, Carlo Levi, Alberto Savinio, Fillia, Pippo Rizzo – i volti e le pose dei personaggi raffigurati offrono una diretta e variegata proiezione della società del tempo. E a  volti di anonimi personaggi  si accompagnano a ritratti di alcuni dei principali esponenti del mondo culturale, artistico e imprenditoriale del periodo.

Fausto Pirandello, Siesta rustica

PRELUDIO Il trauma della guerra

Il concetto di “vittoria mutilata” contribuì a trasferire sul corpo della nazione le ferite dei reduci: furono quasi mezzo milione gli invalidi che tornarono dal fronte. La retorica propagandistica che per anni ispirò l’edificazione di sacrari, cimiteri e monumenti in memoria dei combattenti,  privilegiò la celebrazione dell’eroe. Molte opere dell’epoca mostrano tuttavia, in maniera più o meno scoperta, come fosse impossibile cancellare dall’immaginario collettivo il ricordo dell’evento bellico e la constatazione delle sue tragiche ricadute sociali. In questa sezione i dipinti di Carlo Potente e Pierangelo Stefani, densi di atmosfere pacate e quasi sacrali, si accompagnano all’intensa espressività delle opere di Eugenio Baroni, Ardengo Soffici e Lorenzo Viani. 

ATTESE Sospensione. Malinconia. Inquietudine.

Molti dipinti degli anni venti presentano, sotto il comune tema dell’attesa, una pittura di silenzio, incanto e stupore. Vi domina un’inedita nozione del tempo: un’aspirazione all’eternità, a una dimensione cristallizzata del fluire dell’esistenza. Le visioni enigmatiche di Carlo Carrà, Antonio Donghi, Felice Casorati, Virgilio Guidi, Piero Marussig, Ottone Rosai, Cagnaccio di San Pietro, Arturo Martini rivelano spesso una sotterranea tensione che lascia presagire un senso di sospensione e aspettativa.

L’UOMO DELLA FOLLA Disagio. Violenza. Alienazione.

Il clima di disagio psicologico e di tensione sociale, determinati anche dalle trasformazioni tecnologiche drammaticamente sperimentate durante il recente conflitto, si manifestò in particolare nelle grandi città – come esemplificato dalle vedute metropolitane di Mario Sironi o nel dipinto Il caduto di Leonardo Dudreville – e diede vita in alcuni casi a una visione distopica del reale, che si può ritrovare, a cavallo tra anni dieci e venti, nei dipinti di Sexto Canegallo e Domingo Motta.

LE SUGGESTIONI DELL’IRRAZIONALE Angoscia. Incubo. Ossessione.

Se la nostalgia per un passato mitico portò spesso la cultura del tempo a sconfinare nell’irrazionale, la perdita di attaccamento alla realtà contribuì ad aprire spiragli verso la dimensione dell’angoscia e dell’incubo o verso l’ossessiva reiterazione di esperienze traumatiche, direttamente vissute o semplicemente intuite durante la recente esperienza bellica: ne offrono testimonianza i dipinti di Primo Conti, Gigiotti Zanini e Scipione, come pure le opere di Alberto Martini e Dario Wolf.

Depero, Arazzo Cavalieri

LA REIFICAZIONE DELL’INDIVIDUO Maschera. Marionetta. Uomo meccanico.

Il movimento futurista diede un fondamentale contributo alla creazione dell’immagine di un uomo nuovo, improntato alla cultura del macchinismo: dal superuomo incarnato dal Mafarka il futurista di Filippo Tommaso Marinetti all’uomo meccanico celebrato dal manifesto L’arte meccanica di Enrico Prampolini, Ivo Pannaggi e Vinicio Paladini (1922), si approdò ben presto, tuttavia, a L’angoscia delle macchine di Ruggero Vasari (1925), premonizione di un controllo dell’umanità attraverso le macchine.  Nell’arte del decennio – a partire dalle inquietanti raffigurazioni metafisiche del manichino e della maschera – venne affermandosi una rappresentazione di un’umanità che, nella graduale perdita della soggettività, si trasforma in marionetta o in macchina: una visione che nelle opere di Gino Severini, Gian Emilio Malerba, Adolfo Wildt, Mario Sironi per arrivare a Fortunato Depero, Nicolaj Diulgheroff, Mino Rosso, Thayaht.

EVASIONI Nostalgia. Mistero. Magia

L’eterno presente cui rimandano le atmosfere sospese di molte opere dell’epoca e il senso circolare del tempo, che il clima di ritorno all’ordine oppose al moto progressivo e lineare del tempo imposto dalle avanguardie, rappresentarono spesso lo sfondo per la fuga da una realtà quotidiana che disturbava. Numerose le direttrici dell’evasione: la nostalgia per il passato, la tradizione e la classicità come nel caso di Achille Funi e Felice Carena, ma anche il fascino di ricerche mistiche, magiche e misteriose, come, pur nelle differenze, per Tullio Garbari, Mario Sironi, Ferruccio Ferrazzi.

Pippo Rizzo, Il nomade

IDENTITÀ E DIFFERENZE Stereotipo. Ambiguità. Desiderio

La sensazione della perdita della propria consapevolezza identitaria, così come i segnali dell’emergente massificazione, ebbero rilevanti contraccolpi sul tessuto sociale degli anni venti e, anche se gli austeri precetti morali della tradizione continuarono a imporre un consolidato sistema di regole di comportamento, è proprio in questi anni che iniziano a manifestarsi i segni di una nuova libertà sessuale e di genere, come documentato dal manichino androgino di Ferruccio Ferrazzi, dal bacio saffico di Alimondo Ciampi, dall’ambiguità delle statuine di Giovanni Grande e Sandro Vacchetti, dalla morbosità, ora ironica ora aggressiva, di Scipione.

 

IL DÉCO IN SCENA Eleganza. Lusso. Edonismo.

Come già sottolineato, si fa spesso riferimento a quest’epoca come ai “ruggenti anni venti”, mettendo in evidenza quei caratteri di spensieratezza, bellezza e edonismo che, alimentati dall’immaginario culturale d’oltreoceano, connotarono la frenesia vissuta nelle principali capitali europee prima del tracollo. Dopo aver indagato i lati più oscuri e ambigui del decennio, la mostra intende quindi proporre in chiusura, con le opere di Anselmo Bucci, Ubaldo Oppi e Libero Andreotti, l’esplosione di eleganza e lusso, voglia di divertimento e evasione, che improntò quegli anni e che, proprio nella sua dimensione effimera, rappresentò l’altra faccia dell’“età dell’incertezza”.

Il percorso espositivo si chiude sulle forme morbide e materne  di una donna addormentata nella scultura La Pisana,  di Arturo Martini. Niente di più rassicurante, niente di più illusorio: fu, quello di Europa, un sonno della ragione che generò i mostri del totalitarismo e della seconda guerra mondiale, progenie feroce che la straziò come e più del primo conflitto, appena conclusasi. Qualcosa di più simile alla La Lupa ferita dello stesso autore, che sta subito lì accanto.

Ciampi, Il bacio

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