Le ragioni di chi scenderà in piazza il 9 novembre per l’abolizione delle leggi Minniti-Orlando-Salvini
Nella sua rincorsa alla compressione dei salari e alla privatizzazione dei servizi e dei beni comuni, la governance neoliberista ha bisogno di comprimere gli spazi di agibilità del conflitto sociale e di frammentare le classi subalterne inventando conflitti “orizzontali”: nativi contro migranti, fuorisede contro residenti, giovani contro vecchi, abusivi contro regolari. La guerra fra i poveri, l’odio dei penultimi contro gli ultimi, per depistare rispetto alla vera linea di frattura, quella tra sfruttati e sfruttatori. La regola aurea è che alla massima velocità delle transazioni finanziarie e alla libertà di movimento per le merci debba corrispondere la minima libertà possibile, di scelta e di movimento, per i corpi e per i soggetti collettivi antagonisti. Per dirla in soldoni: il capitalismo ha bisogno di criminalizzare l’anticapitalismo e, prima ancora le sua forme più elementari, antagoniste in nuce: la povertà e la solidarietà. Fin dai tempi delle leggi contro il vagabondaggio dell’Inghilterra della prima rivoluzione industriale. Poi ha necessità di banalizzare le istanze sociali cooptandone una parte degli attori nei riti inconcludenti dei tavoli istituzionali e marginalizzando i più coriacei con le buone o con le cattive. Ha bisogno di inventare, il liberismo, mostri da sbattere in prima pagina: clandestini, musulmani, zingari, squatter, raver, occupanti e ogni altro tipo di alieni che disturbino con i loro segnali di autogestione e mutualismo conflittuale la piena disponibilità e il via vai delle merci e dei capitali.
A questo servono i decreti sicurezza, eredità di Salvini votata come un sol uomo dai cinque stelle e di cui il Pd e suoi derivati non intendono sbarazzarsi in ossequio alle tracce consistenti, in quelle leggi, del loro stesso dna, dei geni di Minniti. La mancata abrogazione dei due decreti, perfino nelle forme blande suggerite dal Quirinale, e il rinnovo dell’accordo con la Libia sono la controprova che in una manciata di settimane sgretola le speranze di chi attendeva, e purtroppo attende ancora, segnali di discontinuità dal governo che è succeduto al Salvini-Di Maio. No, il Pd e i Cinque stelle non sono un porto sicuro. E la lotta alla repressione si configura, soprattutto in questa fase, come un pezzo dei compiti della lotta di classe. Quelle norme sono scritte non solo per criminalizzare chi fugge per mare e chi li tenta di salvare, ma per sbattere in galera, dopo averli manganellati, i facchini della logistica o i pastori sardi, gli operai di fabbriche in crisi o gli studenti se solo si azzardano a picchettare un luogo di lavoro, una scuola, una stazione e fare un blocco stradale. Non basta: i decreti sicurezza servono a minare quelle esperienze di proletariato meticcio che sono visibili nelle occupazioni di case, nei campi o in molti comparti di fabbrica, vogliono individuare e colpire le avanguardie prevedendo per loro il doppio della galera per i vecchi e nuovi reati legati al conflitto sociale.
Il corteo del 9 novembre è un passaggio importante perché intreccia i percorsi dell’antirazzismo con quelli dei movimenti per il diritto all’abitare e della difesa degli spazi occupati e autogestiti. E tanto più sarà utile quanto più saprà rimandare a mobilitazioni diffuse e articolate capaci di saldarsi con i conflitti in corso nei luoghi di lavoro e di stimolare la visibilità di un’opposizione di classe a ogni versione di governo liberista. Per questo ne facciamo nostra la piattaforma che, per noi, è “indivisibile” dalle campagne contro gli abusi in divisa così come da quelle contro la precarietà, per i contratti, per il tempo di vita e un salario degno: l’abolizione delle leggi Minniti-Orlando-Salvini, e con esse leggi nazionali, circolari e accordi transnazionali precedenti che, dalle coste della Libia allo sfruttamento sui luoghi di lavoro e di vita, contribuiscono ogni giorno a mettere a repentaglio vite umane, dignità e diritti sociali irrinunciabili; la chiusura immediata di CPR e lager di Stato, la riapertura dei porti per continuare a salvare vite; per l’accoglienza incondizionata per tutte e tutti, la regolarizzazione generalizzata e permanente dei migranti attualmente senza documenti; la nostra libertà di movimento: dalla possibilità di attraversare i confini senza vedersi opposti visibili ed invisibili muri, alla possibilità di mobilitarsi ed esprimere dissenso contro chi comprime i diritti sul lavoro, nega il diritto alla casa, fomenta l’esclusione sociale e impone come norma il razzismo nella vita quotidiana; la solidarietà con chi rischia la propria vita in mare perché, aldilà delle norme giuridiche, compiere questa scelta non può essere considerata reato.
L’antirazzismo senza lotta di classe e internazionalismo, nel migliore dei casi, è compassionismo caritatevole, una forma più sottile di segregazione.
[questo articolo è tratto dal n.ro 13 di L’Anticapitalista, in distribuzione nelle piazze e nei circoli di Sinistra Anticapitalista dal 9 novembre]
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