Ex Ilva. Il 29 novembre sciopero generale di Usb a Taranto. Intanto la Gdf perquisisce gli uffici di Arcelor Mittal
Distruzione di mezzi di produzione, appropriazione indebita, aggiotaggio informativo, ossia alle false comunicazioni al mercato per la sua manipolazione, distrazione di beni dal fallimento, omessa dichiarazione fiscale. C’è tutto questo nelle inchieste a Milano e Taranto sull’addio di ArcelorMittal all’ex Ilva, un mostro climatico al 42esimo posto in Europa – quarto in Italia – nella classifica delle principali fonti di emissione di CO2 (4.700.000/tonn/anno), secondo le statistiche della Commissione Europea. Sommandoci anche le due centrali termoelettriche CET2 e CET3 asservite al suo ciclo siderurgico, le tonnellate/anno diventano 10.688.650 e l’Ilva balza al primo posto in Italia ed entra nella top ten continentale. Almeno 90 all’anno i morti direttamente attribuibili all’inquinamento prodotto dall’impianto siderurgico, molti dei quali lavoratori dell’azienda, che si ammalano tanto dentro la fabbrica, quanto dentro le proprie case nei quartieri a ridosso dell’impianto. E muoiono i bambini, in percentuali superiori del 54% rispetto alla media. Ma confederali, alcune istituzioni e certa politica sembrano compatte a voler garantire l’acciaio a ogni costo, senza alcun ripensamento delle scelte fin qui compiute. Intanto la multinazionale compie la sua rapina di vite e di futuro commettendo anche una montagna di reati. «L’impianto non è sostenibile, andrebbe chiuso in sicurezza e l’intera area dovrebbe essere coinvolta in un progetto di bonifica e di riconversione produttiva, in grado di garantire occupazione e reddito a tutti gli attuali lavoratori», ha scritto di recente Marco Bersani del Cadtm. Un progetto del genere potrebbe finanziarlo lo stato se solo non fosse nella morsa della trappola del debito che ogni succhia 60 miliardi di interessi, «quando ne basterebbero tre per ridare un futuro ai bambini di Taranto», ricorda Bersani denunciando «il meccanismo delle regole di Maastricht, che impediscono al pubblico di perseguire l’interesse generale, costringendolo a fare il vigile urbano degli interessi finanziari privati e multinazionali».
Le inchieste
Gli inquirenti anche oggi stanno sentendo alcuni testimoni nell’indagine e sono previste anche acquisizioni di documenti da parte degli investigatori. Allo stato il fascicolo con ipotesi di reato è a carico di ignoti.
Il procuratore aggiunto Maurizio Romanelli e i pm Stefano Civardi e Mauro Clerici, nel fascicolo aperto nei giorni scorsi, contestano presunte false comunicazioni al mercato, ossia l’aggiotaggio informativo, e anche il reato previsto dall’articolo 232 della legge fallimentare, ossia la distrazione di beni e risorse senza il concorso del fallito e dopo un fallimento, quello in questo caso che ha riguardato l’Ilva negli anni scorsi. Le legge, infatti, punisce «con la reclusione da uno a cinque anni chiunque, dopo la dichiarazione di fallimento, fuori dei casi di concorso in bancarotta o di favoreggiamento, sottrae, distrae, ricetta ovvero in pubbliche o private dichiarazioni dissimula beni del fallito». In sostanza, gli inquirenti puntano a verificare se dirigenti e manager del gruppo con le loro condotte abbiano sottratto e distratto beni e risorse dall’Ilva fallita, dopo che hanno iniziato a gestirla col contratto d’affitto, contratto da cui hanno chiesto di recedere dando anche l’avvio alla causa civile. La contestazione di aggiotaggio informativo, invece, si concentra su alcuni comunicati stampa diffusi da ArcelorMittal e che avrebbe avuto effetti sul mercato, effetti in questo caso sui mercati esteri dove la capogruppo dell’azienda franco indiana è quotata. Intanto, nell’ufficio del pm Civardi gli inquirenti stanno ascoltando persone informate sui fatti, proseguendo l’attività già iniziata ieri con l’ascolto di dirigenti dell’amministrazione straordinaria dell’ex Ilva. Nelle indagini, condotte dal Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf di Milano, nelle prossime ore potrebbero esserci anche acquisizioni di documenti utili alle indagini. E c’è anche l’accusa di omessa dichiarazione dei redditi. La Guardia di Finanza, al momento negli uffici milanesi del gruppo franco-indiano, sta effettuando non solo acquisizioni ma anche perquisizioni con i sequestri di documenti e supporti informatici. L’indagine si concentra sull’operatività di ArcelorMittal. L’accusa di «omessa dichiarazione dei redditi», contestata nell’inchiesta milanese su ArcelorMittal, assieme a quelle di aggiotaggio informativo e distrazione di beni dal fallimento dell’Ilva, riguarderebbe, da quanto si è appreso, le attività di una società olandese del gruppo franco indiano e i suoi rapporti commerciali con la filiale italiana, che vuole recedere il contratto d’affitto dell’ex Ilva. Dalla società olandese dello stesso gruppo, infatti, ArcelorMittal si servirebbe per l’approvvigionamento di materiali. Società che, oltre a vendere all’ex Ilva a prezzi che sembrerebbero più alti rispetto a quelli di mercato, godrebbe di un regime fiscale più vantaggioso. Da qui le indagini anche sul fronte tributario.
Perquisizioni e sequestri da parte della guardia di finanza sono in corso anche negli uffici di Taranto di Arcelor Mittal. L’intervento è stato disposto su delega della procura di Taranto nell’ambito dell’inchiesta avviata dopo l’esposto presentato dai commissari dell’ex Ilva in amministrazione straordinaria. Tra i documenti contabili che la Gdf sta acquisendo negli uffici dello stabilimento siderurgico ci sono quelli che riguardano l’acquisto delle materie prime e la vendita dei prodotti finiti, considerando le ingenti perdite segnalate dalla multinazionale rispetto alla gestione commissariale. L’inchiesta è coordinata dal procuratore di Taranto, Carlo Maria Capristo, con l’aggiunto Maurizio Carbone e il pm Mariano Buccoliero. L’inchiesta, tutt’ora contro ignoti, riguarda presunte condotte illecite di ArcelorMittal in particolare in merito alle ipotesi di reati di distruzione di mezzi di produzione e di appropriazione indebita. Quest’ultima ipotesi fa riferimento al fatto che i commissari di Ilva nella denuncia sostengono che il magazzino del siderurgico sia stato svuotato rispetto alla merce che vi era al momento della consegna.
L’indagine punta ad appurare se sia in corso o meno un «depauperamento» del ramo d’azienda che la multinazionale franco-indiana vuole retrocedere. Nel ricorso presentato dai commissari di Ilva in amministrazione straordinaria si evidenzia che la situazione di impianti, magazzini e portafoglio clienti non è più uguale a quella di quando il polo siderurgico è stato consegnato ad ArcelorMittal. E le modalità affrettate di restituzione rischiano di causare danni irreparabili al ciclo produttivo e di distruggere l’azienda, anche se proprio ieri sera la multinazionale ha comunicato la sospensione della procedura di fermata degli impianti in attesa della sentenza del tribunale di Milano. Le verifiche degli inquirenti riguardano anche le comunicazioni date dall’azienda a partire dallo scorso 4 novembre e l’impatto che possono aver avuto sull’andamento del mercato internazionale dell’acciaio.
Intanto, sono tre giovani impiegati genovesi che lavorano nell’ufficio acquisti e logistica dello stabilimento Arcelor Mittal di Cornigliano i primi a pagare la decisione dell’azienda di recedere dal contratto di affitto degli stabilimenti Ilva. Lisa Salis e Silvia Peroni erano entrate in Mittal tramite l’agenzia interinale Adecco solo due mesi fa: «Eravamo certe del rinnovo – raccontano – ma improvvisamente è cambiato tutto: il nostro contratto scade domani e ci è stato detto che non sarà rinnovato». Claudio Scalise invece era stato assunto ad aprile: «Avevo già avuto il primo rinnovo – spiega – ed ero certo che ce ne sarebbero stati altri anche perché di lavoro ce n’è tanto e i nostri superiori erano molto contenti. Fra l’altro nel nostro ufficio siamo cinque e senza noi tre sarà praticamente svuotato». È un altro segno della smobilitazione in atto – dice il coordinatore dell’rsu Armando Palombo – e la colpa è tutta di uno governo di apprendisti stregoni che ha messo Mittal nelle condizioni di andarsene». Per quanto riguarda Genova intanto la mobilitazione è al momento sospesa, quantomeno in attesa dell’udienza davanti tribunale di Milano sul ricorso d’urgenza presentato dai commissari che si terrà il 27 novembre. Poi si vedrà: «Il clima resta tesissimo – aggiunge Palombo – e siamo pronti a scendere in piazza non appena ci ritroveremo con un lavoratore in cassa in più perché non ci sarà più lavoro».
Le lotte
Prosegue a Taranto il presidio degli autotrasportatori dell’indotto ex Ilva davanti a portineria C, varco di ingresso ovest e varco di ingresso merci dello stabilimento siderurgico. Da ieri è iniziato lo sciopero della categoria, che rivendica – così come tutte le altre aziende dell’indotto – il pagamento delle fatture in sospeso. Il credito complessivo maturato da 150 aziende dell’appalto ammonta a circa 60 milioni di euro. Confindustria ha convocato per questa mattina le organizzazioni sindacali. L’incontro si terrà nella sede dell’associazione degli industriali ed è previsto un sit-in dei lavoratori. Molte aziende dell’indotto hanno avviato le procedure di cassa integrazione e ritirato gli operai dai cantieri. La mancanza di liquidità sta comportando la sospensione del pagamento degli stipendi.
La scelta, che al momento pare irreversibile, del colosso indiano dell’acciaio di revocare l’investimento in Italia «ha messo il Governo, Cgil Cisl Uil e Confindustria davanti alla necessità di dare una risposta alternativa, che non avevano mai davvero preso in considerazione, alla questione del gruppo siderurgico – scrivono Sergio Bellavita e Francesco Rizzo di Usb – l’orientamento che accomuna tutti questi soggetti è quello di garantire la produzione dell’acciaio a prescindere. Non solo non c’è nessun ripensamento autocritico rispetto alla disastrosa scelta politica di svendere il gruppo ai privati dopo la tragica esperienza della famiglia Riva. ArcelorMittal è stato accolto da Cgil Cisl Uil, da Confindustria, governo Gentiloni e dall’ex ministro Calenda come il salvatore della patria, come il miglior produttore di acciaio al mondo, come colui che avrebbe coniugato lavoro e diritto alla salute. Appare inutile sottolineare come in poco più di un anno tali scellerate certezze si siano sciolte come neve al sole. Eppure, nonostante l’evidenza dei fatti, il disegno criminoso contro i lavoratori ex Ilva e i cittadini di Taranto trova nuova linfa nel tentativo di garantire la continuità della produzione dello stabilimento. In un moto di particolare e del tutto inconsueta combattività, Fim Fiom Uilm hanno infatti annunciato lo sciopero alla rovescia, ovvero l’insubordinazione alle disposizioni di ArcelorMittal ai dipendenti per evitare il progressivo spegnimento degli impianti.
Un annuncio tanto sovversivo quanto solo mediatico. In primo luogo perché ArcelorMittal non ha mai dichiarato, se si esclude l’AFO2 sul quale pende, giustamente, l’obbligo di fermo della magistratura, di voler spegnere tutti gli altoforni ma semplicemente di volerli portare al minimo tecnico per la loro riconsegna all’amministrazione straordinaria. In secondo luogo Fim Fiom Uilm sanno bene che senza approvvigionamento costante delle materie prime l’insubordinazione declamata è uno zero al quadrato. Tutto serve a creare la drammatizzazione necessaria per disfarsi dei diritti, derogare alle leggi dello Stato e imporre la primazia dell’acciaio sopra uomini, donne e ambiente».
«Tutti pronti a evocare anche la tanto vituperata ipotesi della nazionalizzazione ma solo in funzione di diverse ipotesi societarie, con un punto in comune però: lo Stato si deve accollare i costi ma i profitti dovranno essere solo dei privati. Una visione dell’intervento pubblico del tutto particolare che ovviamente piace molto ai padroni ma clamorosamente piace tanto anche ai segretari confederali Landini, Barbagallo e Furlan», sottolinea Bellavita.
Taranto gioca oggi la sua partita più difficile di sempre. Lo stabilimento siderurgico potrà forse vedere un allungamento della sua lenta agonia a costi economici, sociali e umani rilevantissimi ma è destinato inevitabilmente a spegnersi senza alcuna programmazione, senza un piano strategico di politica ambientale ed industriale che garantisca davvero il diritto alla salute, l’occupazione e il reddito. «I difensori dell’acciaio a ogni costo si sono organizzati e hanno un peso preponderante ma la partita è aperta. Occorre dare forma e sostanza all’altro punto di vista, quello che non può godere di appoggi nelle alte sfere dei palazzi romani ma che è certamente maggioritario tra i cittadini di Taranto e tra i lavoratori ex Ilva. Occorre una mobilitazione straordinaria di tutti e tutte coloro che chiedono di eliminare le fonti inquinanti della fabbrica di morte. Se non riuscissimo a bloccare ogni ipotesi di prosecuzione delle produzioni a caldo avremmo ancora anni di veleni, di risorse sprecate e di ingenti danni all’ambiente. Occorre mobilitarsi da subito a livello cittadino», concludono Rizzo e Bellavita annunciando uno sciopero generale per il prossimo 29 novembre con manifestazione nazionale a Taranto. «È un’iniziativa di lotta a disposizione di tutti coloro che rivendicano il diritto ad un’esistenza dignitosa e contro chi pretende di impedirci di aprire le finestre nelle giornate di vento. La città, i lavoratori, la politica e il mondo dell’associazionismo sono chiamati a schierarsi. Diamo gambe alla mobilitazione, liberiamo Taranto».