Attivisti, avvocati, giornalisti spiati con strumenti informatici: la denuncia delle associazioni
Poco più di un paio di mesi fa WhatsApp ha fatto sapere che circa 1.400 utenti in 20 paesi del mondo erano stati infettati attraverso lo spyware Pegasus, il prodotto di punta della Nso Group, la società di cyber intelligence israeliana. Il gruppo dichiara di aver venduto questo strumento solo a governi e agenzie governative, che dovrebbero dunque utilizzarlo per la protezione dei propri cittadini. Spesso, però, è stato documentato come Pegasus sia stato utilizzato anche contro giornalisti, avvocati e difensori dei diritti in genere. Come avvenuto, per esempio, in Arabia Saudita, Emirati Arabi, Marocco, Messico, Ruanda.
La denuncia. Amnesty International e altre organizzazioni hanno rivelato come queste tecnologie siano spesso nelle mani di governi autoritari. Per esempio, Pegasus è stato usato tra aprile e maggio dello scorso anno in India per controllare circa venti tra giornalisti e attivisti. Tra loro, Nihal Singh Rathod, avvocato che ha seguito un caso di violenza tra caste avvenuto nel 2018. “I difensori dei diritti umani nel mondo sono sempre più minacciati da una vasta gamma di strumenti e tecniche. A ciò si aggiunge la minaccia rappresentata dai nuovi potenti attori sulla scena: le compagnie di sorveglianza private. I governi stanno sempre più esternalizzando la sorveglianza digitale ad aziende del settore privato che sviluppano tecnologie insidiose per il controllo mirato di attivisti per i diritti umani”, ha scritto Likhita Banerji, del Tech Team di Amnesty International.
La posizione di WhatsApp. La società di proprietà di Facebook Inc. aveva dichiarato nel maggio scorso di avere bloccato un attacco che era stato lanciato a causa di una mancanza nella funzione delle videochiamate. Il caso era emerso anche grazie a una indagine del Citizen Lab, un laboratorio dell’Università di Toronto specializzato proprio nell’analisi dei punti di contatto tra tecnologia, sorveglianza e diritti umani. Dopo questo episodio, e con l’aiuto dello stesso Citizen Lab, WhatsApp ha approfondito quanto accaduto e a ottobre 2019 ha accusato la Nso per la sua attività. La causa è stata intentata alla Corte Federale americana di San Francisco e l’attacco è stato definito “un inconfondibile modello di abuso”. Da canto suo, l’Nso ha negato a più riprese qualunque responsabilità.
I dati di Citizen Lab. Il laboratorio canadese ha raccolto più di 100 casi di violazioni che hanno coinvolto attivisti, avvocati e giornalisti in mezzo mondo. In seguito all’acquisizione della maggioranza della Nso da parte della Novalpina Capital, ricostruisce ancora Citizen Lab, la società avrebbe cercato di diffondere l’idea che da quel momento in avanti le violazioni erano terminate, anche se il think-tank di Toronto è convinto del contrario. Negli anni scorsi, il gruppo israeliano era finito sotto accusa per aver fornito le proprie tecnologie anche a regimi. Per esempio, due anni fa, ad essere attaccato era stato il telefono di un confidente di Jamal Khashoggi, il giornalista saudita poi ucciso in Turchia. Ad oggi si stima che sono 45 i paesi nel mondo che stanno utilizzando Pegasus.
L’articolo integrale di Maria Tavernini, “Sicurezza e privacy: il sottile confine dove vengono spiati gli attivisti”, può essere letta su Osservatorio Diritti.