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Arafet, non archiviare la sua morte

Un comunicato di Acad per l’opposizione all’archiviazione del caso sulla morte di Arafet Arfaoui. Oggi la decisione del Tribunale di Firenze

Con un comunicato «a tutti gli organi di stampa, a tutte le realtà politiche e sociali, a tutti i solidali», l’associazione contro gli abusi in divisa, Acad, fa sapere che stamattina, 16 gennaio, si terrà al Tribunale di Firenze l’udienza per l’opposizione all’archiviazione del caso riguardante la morte di Arafet Arfaoui, il trentunenne deceduto ad Empoli durante un fermo di polizia all’interno di un money transfer il 17 gennaio 2019. Due pattuglie, due agenti in divisa e tre in borghese, prima lo hanno circondato, legato e, forse ucciso. Aveva le manette ai polsi, Arafet, e i piedi legati con una corda quando “ha accusato un malore”, formula insapore con cui gli inquirenti riferirono alle agenzie i fatti, avvenuti “mentre era a terra contenuto dagli agenti”. Si chiamava Arafet Arfaoui, di origine tunisina, sposato con una donna italiana che afferma, alla vigilia dell’udienza, «l’unica cosa che voglio è la verità sulla morte di mio marito. Non voglio soldi, non voglio vendette, voglio solo verità e giustizia per il mio Arafet».

Arafet è morto nelle mani delle forze dell’ordine, come successo già tante, troppe altre volte – scrive Acad, fin dalle prime ore accanto ai familiari nella faticosa controinchiesta – Arafet è morto con le manette ai polsi e i piedi legati. È morto nelle mani degli agenti, i quali hanno dichiarato che Arafet fosse stato violento e non collaborativo, dicendo che per farsi consegnare i documenti ci sono voluti 20 minuti, ma questo fatto è smentito clamorosamente dalle telecamere presenti, in quanto dalle immagini è chiarito che dopo tre minuti avevano già il suo portafoglio. Come è chiarito che era agitato, aveva paura, ma non era violento.

È morto nelle mani di cinque agenti, due intervenuti subito, tre sopraggiunti successivamente sul posto, che si alternavano, in tre a turno, per contenere Arafet a terra, legato. È morto mentre cercava di spedire i soldi ai suoi cari lontani, accusato dal gestore del negozio di possedere 20 euro false, sosteneva di aver subito lui stesso una truffa, infatti Arafet è stato il primo ad invocare la chiamata delle forze dell’ordine per accertamenti al negozio. È morto dopo una colluttazione che possiamo solo immaginare nel bagno del locale privo di telecamere, ma scritta sui 23 segni di ecchimosi ed escoriazioni rilevate sul corpo di Arafet. È morto dopo 15 minuti di contenimento in posizione prona con i poliziotti che continuavano a tenerlo a terra nonostante avesse smesso ormai di muoversi, parlare e lamentarsi. Arafet è morto tra lancinanti gemiti di sofferenza registrati durante la telefonata fatta al 118 in quei tragici momenti. È morto con un consistente edema polmonare, tale da rendere un polmone grande il doppio dell’altro.

È morto tra paura, panico e patimenti.

È morto con gli operatori del 118 che non sono intervenuti sul corpo per ben 5 minuti dopo il loro arrivo. Perché? C’era forse qualcuno che continuava a dire che Arafet fosse “violento e pericoloso”, nonostante le immagini delle telecamere visionate e le dichiarazioni dei sanitari depositate al PM, descrivano una realtà diversa e siano concordi nel definire che in quei 5 minuti all’interno del money transfer non l’avessero “mai visto muoversi né parlare o emettere alcun tipo di suono”?

Come se fosse stato lasciato morire impedendo la possibilità di salvarlo. Di cosa è morto Arafet? Tutti, medici legali e consulenti scientifici di ambo le parti, concordano nell’affermare che Arafet è deceduto per “morte elettrica cardiaca”. Ma cosa ha causato la “morte elettrica cardiaca” di Arafet?

Questa tipologia di morte può avere tre cause, lo dice il nostro medico legale e la letteratura scientifica internazionale: -intossicazione letale acuta da sostanze d’abuso (overdose da droghe pesanti); -infarto acuto del miocardio; -insufficienza respiratoria per impedimento degli arti respiratori (asfissia posizionale).

Arafet aveva assunto cocaina, ma in piccola quantità, ben lontana dalla dose indicata scientificamente come letale , infatti entrambi i tossicologi assunti per questa verifica, (sia dal medico legale nominato dal pubblico ministero, sia quello nominato dalla moglie di Arafet), escludono che la causa di morte sia stata determinata direttamente all’assunzione della sostanza.

Arafet non ha avuto un’overdose quindi e non ha avuto neanche un infarto al miocardio, lo dice l’autopsia. Nonostante questo, il medico legale del PM e di conseguenza il Pubblico Ministero stesso, senza spiegazioni causali, ha concluso che la morte è sopraggiunta per : ” arresto cardiaco dovuto a morte elettrica cardiaca in corso di intossicazione acuta da sostanza stupefacenti assunte circa un’ora prima del decesso. Purtroppo nonostante il tempestivo intervento (??? 5 minuti tempestivo???)del medico e del personale para medico già presenti al suo fianco al momento dell’arresto cardiaco, non fu possibile riportarlo in vita”. La conclusione pare priva di una specifica analisi logica e scientifica del processo causale.

Cosa che invece è stata ampiamente data e dimostrata da tutti gli accertamenti fatti dal medico legale della moglie di Arafet, che nella sua relazione tecnica allegata alla dettagliatissima opposizione all’archiviazione prodotta dall’avvocato Giovanni Conticelli, dimostra perfettamente come il corpo stesso di Arafet e tutte le risposte ricavate meticolosamente dalla lunga autopsia chiariscono che la morte elettrica sarebbe stata concausata da insufficienza respiratoria acuta per impedimento degli arti respiratori (asfissia posizionale) in soggetto in stato di agitazione e sotto effetto di cocaina.

«Non si concorda né sulle considerazioni relative alla condotta degli agenti di Polizia
e del personale medico del 118 intervenuti né, tantomeno, sull’individuazione delle cause che hanno determinato il decesso di Arafet Arfaoui». Così inizia l’opposizione all’archiviazione depositata dall’avvocato Conticelli. Ci opporremo con tutte le forze possibili affinché il procedimento penale prosegua, la morte di Arafet non può essere archiviata, non si può archiviare la verità di fronte alla morte di un uomo.

Dopo Riccardo Magherini schiacciato e soffocato sull’asfalto a Firenze, dopo la lunga lista di morti di Stato e impunità, ne abbiamo abbastanza di lacrime e delusioni, ne abbiamo abbastanza di uno Stato che continua a negare le proprie responsabilità e continua ad autoassolversi lasciando impuniti i suoi uomini in divisa.

L’avvocato Giovanni Conticelli e il medico legale Valentina Bugelli hanno lavorato duramente e con la massima serietà e professionalità per preparare l’opposizione alla richiesta di archiviazione avanzata dal Pubblico Ministero, noi con loro ci aspettiamo che tutto ciò non venga ignorato.

Il 17 gennaio sarà l’anniversario della morte.

Un anno fianco a fianco alla moglie di Arafet, un anno di notti insonni a visionare immagini e testimonianze, un anno di solidarietà e sforzi economici per pagare le tante consulenze.
Un anno senza Arafet.

Vogliamo nuove indagini e un processo serio.

Vogliamo l’immediata iscrizione nel registro degli indagati dei 5 agenti coinvolti per omicidio colposo.

Vogliamo rispetto per la vita delle persone.

Non lasciamo che Arafet muoia due volte e con lui, per l’ennesima volta, la giustizia.

Invitiamo chiunque voglia essere presente per sostenere questa causa ad essere giovedì 16 gennaio dalle ore 12.30 fuori dal Tribunale di Firenze.

 

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