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Morte di Arafet: archiviazione respinta, sette indagati

Sette indagati, conque poliziotti, un medico e un’infermiera per la morte a Empoli di Arafet Arfaoui

«Tutti iscritti nel registro degli indagati per omicidio colposo (reato 589 c.p.) i 5 poliziotti, il medico e l’infermiera intervenuti su Arafet Arfaoui quel maledetto 17 gennaio 2019 che lo portò alla morte». Acad, l’associazione contro gli abusi in divisa, annuncia con un post sui social che oggi è stata accettata dal Tribunale di Firenze la richiesta d’opposizione contro l’archiviazione della morte di Arafet Arfaoui chiesta dal pm che segue il caso. Nei prossimi sei mesi si svolgeranno le indagini suppletive necessarie. La dettagliatissima ordinanza del giudice Mancuso, che tiene conto di tutte le specifiche di Giovanni Conticelli, legale della famiglia, dispone in sintesi che «i predetti accertamenti dovranno essere compiuti previa iscrizione nel registro degli indagati di tutti i poliziotti intervenuti e dei due sanitari citati, al fine di garantire la loro partecipazione agli ulteriori accertamenti che il pm vorrà svolgere». In particolare la pubblica accusa è chiamata a  «disporre un maggior approfondimento in ordine all’individuazione della causa della morte di Arfaoui Arafet che tenga conto dell’incidenza causale che può aver rivestito nel suo determinismo il mantenimento dello stesso in posizione prona per circa quindici minuti, ammanettato alle mani e legato alle gambe, e tenuto fermo da tre poliziotti; in particolare dovrà accertarsi se le specifiche circostanze di fatto (posizione nella quale Arfaoui Arafet è stato tenuto e stato di agitazione nel quale versava, assunzione di cocaina e alcol) sopra descritte possano aver determinato la morte per una carenza di ossigeno rispetto al fabbisogno cardiaco». Accogliendo integralmente tutte le richieste di indagini suppletive proposte dalla difesa, oltre alla perizia medico legale, il giudice ha disposto inoltre il compimento di ulteriori indagini relative all’utilizzo della corda con la quale sono state legate le gambe ad Arafet e alla condotta del medico e dell’infermiere del 118.

Acad, che segue il caso fin dalle prime ore, ringrazia  Conticelli e Valentina Bugelli, medico legale, per essere riusciti a conseguire «questo primo vitale risultato» per la battaglia di verità e giustizia della moglie di Arafet «e della collettività tutta. È solo l’inizio ma è un grande inizio, una conquista fondamentale che va a scalfire quel muro di impunità troppo spesso invalicabile.  Grazie ai tanti che hanno contribuito a questa battaglia, grazie a chi continuerà a farlo. L’importanza della lotta collettiva agli abusi è scolpita nelle parole della moglie: “Grazie, grazie, grazie. Senza di voi Arafet l’avrebbero fatto morire per droga”. A futura memoria.

Arafet Arfaoui, è il trentunenne, di origine tunisina e sposato con una donna italiana, deceduto ad Empoli durante un fermo di polizia all’interno di un negozio di money transfer il 17 gennaio 2019. Due pattuglie, due agenti in divisa e tre in borghese, prima lo hanno circondato, legato e, forse ucciso. Aveva le manette ai polsi, Arafet, e i piedi legati con una corda quando “ha accusato un malore”, formula insapore con cui gli inquirenti riferirono alle agenzie i fatti, avvenuti “mentre era a terra contenuto dagli agenti”, i quali hanno dichiarato che Arafet era stato violento e non collaborativo, che per farsi consegnare i documenti ci sarebbero voluti 20 minuti. Un fatto smentito clamorosamente dalle telecamere: dopo tre minuti i poliziotti avevano già il suo portafoglio. Era agitato, aveva paura, ma non era violento. Gli agenti, due intervenuti subito, tre sopraggiunti successivamente, si alternavano, in tre per volta, per contenere Arafet a terra, legato. È morto mentre cercava di spedire i soldi ai suoi cari lontani, accusato dal gestore del negozio di possedere 20 euro false, sosteneva di aver subito lui stesso una truffa. Arafet è stato il primo ad invocare la chiamata delle forze dell’ordine per accertamenti al negozio. «È morto – sostiene Acad – dopo una colluttazione che possiamo solo immaginare nel bagno del locale privo di telecamere, ma scritta sui 23 segni di ecchimosi ed escoriazioni rilevate sul suo corpo, dopo 15 minuti di contenimento in posizione prona con i poliziotti che continuavano a tenerlo a terra nonostante avesse smesso ormai di muoversi, parlare e lamentarsi. Arafet è morto tra lancinanti gemiti di sofferenza registrati durante la telefonata fatta al 118 in quei tragici momenti. È morto con un consistente edema polmonare, tale da rendere un polmone grande il doppio dell’altro». Le domande a cui dovranno rispondere le indagini suppletive sono anche sui cinque lunghissimi minuti in cui gli operatori del 118 non sono intervenuti dopo il loro arrivo nel negozio. «E perché si continua a dire che Arafet fosse “violento e pericoloso”, nonostante le immagini  visionate e le dichiarazioni dei sanitari depositate al pm, descrivano una realtà diversa e siano concordi nel definire che in quei 5 minuti all’interno del money transfer non l’avessero “mai visto muoversi né parlare o emettere alcun tipo di suono?».

Questa tipologia di morte, secondo il medico legale di parte, può avere tre cause: intossicazione letale acuta da sostanze d’abuso (overdose da droghe pesanti); infarto acuto del miocardio; insufficienza respiratoria per impedimento degli arti respiratori (asfissia posizionale). Arafet aveva assunto cocaina, ma in piccola quantità, ben lontana dalla dose indicata scientificamente come letale, come avrebbe riconosciuto anche il medico legale nominato dal pubblico ministero. Dunque niente overdose. E neanche un infarto al miocardio, lo dice l’autopsia. Però, il medico legale del pm e di conseguenza la pubblica accusa hanno concluso che la morte è sopraggiunta per “arresto cardiaco dovuto a morte elettrica cardiaca in corso di intossicazione acuta da sostanza stupefacenti assunte circa un’ora prima del decesso. Purtroppo nonostante il tempestivo intervento del medico e del personale para medico già presenti al suo fianco al momento dell’arresto cardiaco, non fu possibile riportarlo in vita”. Tutte le risposte ricavate dalla lunga autopsia di parte civile chiariscono che la morte elettrica sarebbe stata concausata da insufficienza respiratoria acuta per impedimento degli arti respiratori (asfissia posizionale) in soggetto in stato di agitazione. La battaglia è solo all’inizio.

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