Il 25 marzo del 1970 la disobbedienza via radio di Danilo Dolci: la radio dei poveri cristi. Una ricerca-azione ne ripercorre le orme
«Qui parlano i poveri cristi della Sicilia occidentale attraverso la radio della nuova resistenza».
E’ il 25 marzo del 1970. E’ sera, le 17.31 ad essere precisi, nella Valle del Belice stravolta due anni prima da un violento terremoto. 300 morti e 70mila sfollati per lo più attendati per tutti quei mesi o in baracche di lamiera, che poi diverranno casupole gonfie di eternit.
La voce giovane, un po’ stanca, è preceduta da un doppio segnale morse di Sos. … — … tre punti, tre linee, tre punti, ripetuti due volte. Così diversa dalla voce impostata della radio di stato, quella voce aveva aperto la prima radio libera d’Italia. Era la voce di un poeta, Danilo Dolci, classe 1924, nativo di un paese del triestino. La radio smetteva di essere un rumore di fondo, intrattenimento a basso costo, megafono di regime. E i poveri cristi erano le genti delle valli del Belice, dello Jato, del Carboi, ostaggio dell’alleanza tra democrazia cristiana e cosa nostra, due fra le più fameliche entità che siano mai venute al mondo.
«Siciliani italiani, uomini di tutto il mondo, avvisate immediatamente i vostri amici, i vostri vicini: ascoltate la voce del povero cristo che non vuole morire, ascoltate la voce della gente che soffre assurdamente. Siciliani italiani, uomini di tutto il mondo, non possiamo lasciar compiere questo delitto: le baracche non reggono, non si può vivere nelle baracche, non si vive di sole baracche. Lo Stato italiano ha sprecato miliardi in ricoveri affastellati fuori tempo, confusamente: ma a quest’ora tutta la zona poteva essere già ricostruita, con case vere, strade, scuole, ospedali…». La radio, finalmente, parlava e faceva parlare, denunciava, rivelava ai poveri cristi che erano proprio loro «gli uomini con la volontà di lavorare» e loro «le menti aperte a trasformare i lager della zona terremotata in una nuova città, viva nella campagna con i servizi necessari, per garantire una nuova vita».
«L’Italia, il settimo paese industriale del mondo, non è capace di garantire un tetto solido e una possibilità di vita ad una parte del proprio popolo». Cinquant’anni dopo, nel pieno del distanziamento sociale, dentro una crisi che è un groviglio di altre crisi – ambientale, climatica, economica, sociale, spirituale – l’appello è quanto mai attuale per valli di poveri cristi vittime di altri terremoti, reali o metaforici. «Questa è la radio della nuova resistenza: abbiamo il diritto di parlare e di farci sentire, abbiamo il dovere di farci sentire, dobbiamo essere ascoltati. La voce di chi è più sofferente, la voce di chi è in pericolo, di chi sta per naufragare, deve essere intesa e raccolta attivamente, subito, da tutti». Ancora quei segnali morse e poi «Qui si sta morendo».
Dolci era arrivato dieci anni prima a Partinico, dopo la guerra e la prigionia, dopo l’esperienza di Nomadelfia, in un ex lager in Maremma. Una delle sue raccolte si intitola “Il Limone lunare”. Ci piacciono questi versi:
“Chi avrebbe mai pensato/ sarei tornato a scrivere poesie/ tutta una notte/ stanco e felice come sopra un seno/ troppo lungo tempo desiderato.
Solo all’idea/ che sia possibile avere una radio/ della povera gente/ non ho vergogna a scrivere dei versi”.
E al Limone Lunare è stata intitolata una associazione coordinata da Francesca Traverso con sede in via della Maddalena, a Genova, altro luogo di poveri cristi attraversato da altri poeti. L’associazione ha prodotto un video documento per promuovere una ricerca azione nazionale che vuole coinvolgere e sviluppare relazioni nel territorio e in particolare nelle periferie, a partire da Genova, Napoli e Palermo, coinvolgendo università, associazioni e scuole.
“La Radio della nuova Resistenza” racconta proprio la storia della prima radio libera d’Italia, 26 ore di mezzo secolo fa nell’etere di Partinico, «un chiaro esempio di mobilitazione e di presa di coscienza della società civile – spiega Francesca Traverso – nonché di precisa costituzione di un bene pubblico. L’impegno di Dolci e dei suoi collaboratori pertanto deve essere inteso in primo luogo come fondamentale processo di costruzione della società civile».
Il narratore che struttura il filo conduttore del documentario, Pino Lombardo, fu protagonista dei fatti e ne resta uno degli ultimi testimoni, assieme alla moglie Maria, agli amici, alla comunità di cui fa parte e che custodisce la memoria di quelle vicende. La realizzazione del documentario è stata possibile grazie alla collaborazione, fra gli altri, di Amico Dolci, figlio di Danilo, il Centro Sviluppo Creativo di Palermo, lo SPI CGIL Genova e Nazionale, che ha contribuito con un finanziamento. Rocco Chiarella, insieme a Traverso, ha curato la regia mentreAndrea Perdicca è stato l’intensa voce narrante. Nelle intenzioni dell’Associazione Il limone lunare, il documentario deve diventare uno spunto per riaprire la riflessione collettiva sul significato e il valore delle lotte sociali non violente, passate e presenti. «A partire dalla scuola – contina Traverso – luogo dove sempre più vitale diventa comunicare la memoria non solo come “ricordo”, ma come spunto di un rinnovato impegno di cittadinanza attiva».
Nell’atelier alla Maddalena, l’associazione crea gruppi di studio e di ricerca-azione che approfondiscono e intrecciano temi inerenti l’arte, il sociale e l’ambiente riconoscendo la complessità delle domande che provengono dall’urgenza sociale, «dando loro voce – spiega la coordinatrice – e costruendo alternative alla banalizzazione e alla strumentalizzazione delle fragilità umane e sociali». Principio ispiratore della ricerca-azione è la Maieutica Reciproca di Danilo Dolci, che prende forma attraverso la Teoria delle cinque pelli di Hundertwasser. L’Atelier genovese è gemellato con “Casa Memoria Peppino e Felicia Impastato” di Cinisi (Palermo) e sviluppa connessioni nazionali e internazionali come scambi di buone pratiche sociali, educative e civili..
Partendo dalle città di Genova, Napoli e Palermo, la ricerca-azione “Dal trasmettere al comunicare” si propone di recuperare e esplicitare il valore della domanda maieutica che Danilo Dolci sviluppò negli anni ‘50 con l’avvio di processi pedagogici, di analisi sociale e di sviluppo di nuove forme di lotta partecipate, creative e nonviolente, ispirandosi a educatori del passato e contemporanei che, «partendo dalla domanda maieutica – dice ancora Traverso – diventano riferimenti per riattivare sensibilità ed intuizioni personali radicate nel presente».
Le lotte che Dolci condusse (per l’acqua pubblica, per il lavoro, per l’istruzione) furono sempre accompagnate da esperienze di costruzione, come ad esempio la nascita della scuola di Mirto, la costruzione del Centro Studi, la progettazione e la realizzazione della diga sul fiume Iato. Uno dei suoi versi più famosi allude proprio all’urgenza di costruzione e reinvenzione: “Se l’uomo non immagina si spegne”.
«Per Dolci non si trattava solo di dare voce ai poveri, ai disoccupati, agli anziani, ai migranti, ma di articolare, attraverso la “domanda maieutica”, un discorso sul senso e il contenuto dei diritti, tenendo ben presente che la riduzione e lo svuotamento dei diritti colpisce tutti, non solo quelli che ne sono esplicitamente vittime», conclude Francesca Traverso. Il progetto si sviluppa su due piani interconnessi: da un lato lo studio teorico e l’approfondimento dei contributi su questo tema, dall’altro un agire concreto e comunicativo ad esso strettamente legato. Attraverso una visione planetaria e una “sociologia dal basso” si intende costituire e rafforzare comunità pensanti e attive.