Covid-19. Che cos’è un reddito di quarantena e come finanziarlo. Moratoria sugli interessi del debito e riforma radicale della tassazione
di Chiara Filoni e Giulia Heredia
Nonostante non sia sempre facile mantenere la giusta lucidità, molte sono le questioni che andrebbero affrontate alla luce della diffusione del Coronavirus e che non possono aspettare la fine di questa emergenza, oramai non solo sanitaria ma anche sociale ed economica.
L’obiettivo di quest’articolo è quello da un lato di ribadire qualche considerazione rispetto al perché il sistema sanitario italiano (come quello di altri paesi d’altronde) è stato cosi duramente piegato dalla pandemia e dall’altro di proporre qualche idea concreta- di ordine economico- su come gestire al meglio questo momento perché tutte e tutti possano affrontare la crisi economica derivante dal blocco della produzione con la necessaria tranquillità economica.
Lo smantellamento della sanità pubblica
La difficile situazione che vive attualmente il paese ha reso evidente che la scelta politica di tagliare e privatizzare un settore come quello della sanità pubblica é criminale. Oggi ci troviamo ad affrontare un’epidemia con carenze ospedaliere importanti. La situazione é drammatica. In Lombardia, cuore produttivo del paese, ventre della bestia del Coronavirus, il sistema sanitario è al collasso. Altissimo è il numero del personale sanitario contagiato, basse sono le misure di sicurezza per i/le medici/che, e alto il timore di non poter curare quanti hanno e avranno bisogno.
Dalla riforma che istituì il servizio sanitario nazionale nel 1978, basato su principi di universalità, equità e uguaglianza, nel corso degli anni, il SSN é stato pesantemente attaccato. Il costante definanziamento, la chiusura di ospedali, la soppressione di posti letto, una progressiva politica di privatizzazione e il mancato turn over di medici e infermieri mettendo hanno molto a che vedere con le difficoltà degli ospedali di far fronte all’emergenza.
Dagli anni ’90 in poi, cavalcando il leit motif del “privato é bello” si é proceduto a una privatizzazione crescente e all’aziendalizzazione della sanità per il tramite dell’introduzione di criteri gestionali di mercato nel settore in questione. Per di più, il principio della decentralizzazione, ha permesso alle regioni di gestire come ritenevano più opportuno le risorse pubbliche. Questo ha permesso ai privati di ricevere moltissime risorse pubbliche che sono state investite dai primi non in relazione ai bisogni della popolazione, ma lì dove era possibile ottimizzare i guadagni.
A completamento del quadro, dal 2008 in poi, le ricette di austerity hanno orientato le scelte politiche sia a livello nazionale che regionale verso progressivi tagli a tutti i servizi essenziali, compresa la sanità. Secondo quanto riportato dall’associazione Medicina democratica che ha elaborato dati forniti dalla Fondazione e dall’Istituto di Ricerca Gimbe, negli ultimi 10 anni sono stati tagliati un totale di circa 37 miliardi di euro al settore della sanità1. Ciò ha significato la perdita (tra il 2010 e il 2019) di 45.000 posti letto, di 43.386 dipendenti, di cui 7.625 i medici e 12.556 infermieri. E il progressivo sgretolamento -aggiungiamo noi- di uno dei migliori sistemi sanitari al mondo.
Negli anni abbiamo ascoltato -e in alcuni casi anche interiorizzato -il principio secondo cui era necessario tagliare sulla spesa pubblica perché i soldi non c’erano, perché era necessario mantenere i conti in ordine, perché l’Europa e il vincolo della parità di bilancio ce lo chiedevano.
E mentre si continuavano a pagare gli interessi su un debito per lo più in mano a banche, investitori esteri, assicurazioni e fondi, si procedeva a salvare le banche resposabili della crisi finanziaria e si aumentavano le spese militari, venivano tagliati sanità e servizi essenziali. Come sempre una questione di priorità economiche!
Le conseguenze di queste politiche non attenderanno il Coronavirus.
Come sempre accade, sono coloro che vivono nelle condizioni materiali peggiori a pagare il prezzo più alto.
Un articolo pubblicato nel 2018 dal sindacato Sial Cobas che recensisce il libro “Salute SPA” riporta in cifre una situazione pessima già prima della pandemia. Nel 2017, circa 12 milioni di persone hanno ritardato o addirittura rinunciato alle cure e la stragrande maggioranza della popolazione é ricorsa all’indebitamento privato per far fronte alle spese sanitarie2.
A guadagnare, li dove il pubblico viene meno, fondi assicurativi e assicurazioni che fanno profitti attraverso l’intermediazione finanziaria. Dunque ancora una volta la finanziarizzazione di un settore, in questo caso la sanità, produce disuguaglianze, aumento dei costi a carico di famiglie e Stato. Per di più, si alimenta il fenomeno di un consumismo sanitario attraverso la messa a disposizione di pacchetti di prestazioni sanitarie assolutamente inutili, tutto a vantaggio dei fondi speculativi3.
Se la diffusione dei virus é un evento naturale, la capacità di proteggerci e far fronte a eventi come questi, no; e la crisi generata dal coronovirus sta mettendo a nudo tutta la fragilità di una società che si é costruita sulla disuguaglianza sociale, la distruzione della natura, la produzione di beni e servizi per lo piu non rivolti ai bisogni.
Si tratta di una emergenza sanitaria, ecologica e sociale e come tale andrebbe affrontata, soprattutto a partire da come dovrebbero essere gestiti i finanziamenti per far fronte alla crisi. A pagare non dovranno essere gli ultimi come si è fatto finora!
Imparare dalle precedenti lezioni
L’Unione europea ha disposto un piano di salvataggio contro la crisi economica post-coronavirus che agli occhi dei più può sembrare generoso: 750 miliardi di euro di acquisto dei titoli di debito dei paesi in difficoltà.
Questo piano di salvataggio però non ha come obiettivo quello di risolvere i bisogni urgenti della popolazione e di dare una boccata d’aria al settore sanitario, no. Come per la recente crisi del debito, gli aiuti finanziari massivi delle banche centrali di Europa, Stati uniti e Giappone saranno diretti principalmente alla protezione delle grandi banche e dei loro azionisti4. E ricordiamo che l’ultima volta niente è cambiato sul fronte dei comportamenti delle banche.
Dopo il polverone scatenato dal salvataggio di Monte dei Paschi, Carige ecc. un silenzio tombale era caduto sullo stato di salute delle banche europee e mondiali negli ultimi mesi. Nonostante ciò, le considerazioni che avevamo sottolineato in merito alla salute delle banche italiane (e non solo) restano ancora valide.
Già perché la crisi finanziaria è ancora lì e un’altra si prepara già sullo sfondo. A partire dal mese di febbraio, gli indici di borsa delle maggiori banche e imprese europee sono crollati (con delle perdite tra il 30 e il 40%). Già alla fine dello scorso anno delle crisi di liquidità si erano succedute a partire dagli Stati Uniti.
E il coronavirus è stato il pretesto perfetto per i grandi detentori di capitali per chiedere nuovi finanziamenti. Il mantra della privatizzazione dei profitti e della socializzazione delle perdite è ancora e sempre operante…
Questi soldi andranno come dicevamo ancora una volta alle banche, mentre la popolazione si spartisce le briciole. Dopo quasi un mese di lockdown, le risorse messe a disposizione per la popolazione e le piccole imprese sono veramente esigue: pacchi alimentari e buoni da spendere in farmacia, qualche briciola per gli indipendenti, buoni babysitting ecc. In realtà molto si potrebbe fare, perché le risorse ci sono e sono davvero ingenti.
Quali misure economiche per far fronte alla crisi?
Prima di tutto partiamo con il dire che in una situazione di arresto della produzione la prima cosa che si dovrebbe fare è garantire di chè vivere a tutti/e.
In Italia (ma non solo), alcuni movimenti sociali e attori della sinistra radicale hanno già avanzato la richiesta di un reddito di quarantena. Se molti di noi sono d’accordo sull’idea, vale la pena discutere su come finanziarla in modo da essere pronti a difendere le nostre posizioni quando ci verrà chiesto e provare a dare un respiro almeno europeo a questa rivendicazione!
Che cos’è il reddito di quarantena?
Il reddito di quarantena è un reddito di base incondizionato. Si tratta di una misura generale dello Stato che ha come obiettivo quello di proteggere coloro che non lavorano o hanno perso il lavoro a causa dell’emergenza sanitaria. Questo potrebbe ammontare per esempio a circa 1500 euro netti/mese5.
Questa misura riguarderebbe tutti/e coloro che non possono lavorare a casa e che non sono impiegati/e in settori essenziali. Il reddito di quarantena deve essere fornito indipendentemente dallo status del/le beneficiario/a e dal tipo di contratto (lavoratori non dichiarati, lavoratori temporanei, stagisti, tirocinanti, lavoratori del sesso, disoccupati senza accesso al Rdc, piccoli lavoratori autonomi …).
Le persone che hanno già un reddito sostitutivo (RDC, malattia, disoccupazione, cassa integrazione), ma inferiore a questo importo, dovrebbero godere dell’integrazione.
Dalla misura sarebbero esclusi:
– Persone (in lock-down) che possono beneficiare di uno stipendio finanziato dalla società (per esempio con i dividendi degli azionisti)
– Persone con un patrimonio netto (patrimonio netto = patrimonio meno debiti vari) superiore a 75.000€ (esclusa la prima casa)
Perché un reddito di quarantena?
A seguito della crisi causata dal COVID-19 alcuni/e hanno potuto continuare a prestare i loro servizi tramite lo smartworking, altri/e sono in prima linea perché il loro lavoro è essenziale per la società (personale ospitaliero, addetti al supermercato, farmacisti, ecc.). Altri continuano a lavorare perché il governo non ha concesso loro il “privilegio” del lock down. Altri ancora, i più precari, come i lavoratori non dichiarati o i lavoratori del settore socio-culturale, non lavorano più perché hanno perso il lavoro. Altri ancora “beneficiano” della cassa integrazione che resta insufficiente a garantire un reddito dignitoso.
I media e gli esperti ci dicono che il coronavirus colpisce tutti e tutte allo stesso modo, ma questo non è del tutto vero, almeno non nelle sue conseguenze socio-economiche: i settori più precari saranno ancora più precari a causa del calo dell’attività economica, i lavoratori autonomi, i lavoratori socio-culturali hanno perso o perderanno in parte il loro reddito. Per non parlare di chi è rimasto in prima linea, a ragione (medici, infermieri/e ecc.) o a torto (lavoratori/trici).
Se partiamo dal principio (costituzionale) che tutti hanno diritto a un adeguato tenore di vita e a un reddito dignitoso, il sistema economico in cui viviamo non lo garantisce per definizione.
Allora perché non approfittare di questa crisi sanitaria per rimettere una volta per tutte le lancette dell’orologio al loro posto e chiedere un reddito per tutti e tutte?
Lo scopo di questo articolo non è quello di dare una soluzione esaustiva e definitiva su come finanziare questo reddito, ma di fornire qualche idea concreta da discutere e integrare ad altre.
Come finanziare il reddito di quarantena?
Nell’immediato
– L’uscita dal Patto di stabilità europeo
La Commissione europea, Mario Draghi in persona e altri responsabili europei/e hanno già annunciato che l’eccezione per i disavanzi pubblici è più che incoraggiata. Il problema è che questa decisione ci costerà altro disavanzo pubblico e debiti che dovranno essere pagati attraverso l’austerità (anche se sono spese essenziali). Per questo motivo il “Patto di stabilità” non dovrebbe essere sospeso solo per un breve periodo. Non si tratta di fare un’eccezione “ad hoc”, a causa di una crisi sanitaria, ma piuttosto di rimettere sul tavolo queste illegittime regole europee e l’austerità che le accompagna. In un lucido articolo di Attac Italia si rimette ordine alle cose: sono proprio queste regole austeritarie che ci hanno portato nella situazione di crisi sanitaria che viviamo oggi, salvo ora dirci che non sono giuste e vanno derogate??
– L’introduzione di un’imposta di crisi
Il reddito di quarantena potrebbe essere finanziato da un’imposta di crisi sulle aziende con i profitti più alti (“niente dividendi per i profitti del 2019 nel 2020”, ebbene si!) e sulle famiglie con il patrimonio e il reddito più alti.
– Introduzione di una moratoria sugli interessi del debito pubblico
L’Italia paga ogni anno tra gli 80 e i 90 miliardi di euro di interessi sul debito pubblico. Soldi che non fanno altro che arricchire i creditori. Questa massa di miliardi da sola basterebbe a rimettere in piedi degli ospedali pubblici, a ingaggiare medici/che e investire sul materiale ospedaliero.
Non ci sembra normale che in tempi di crisi da coronavirus lo Stato continui a pagare gli interessi sul debito quando allo stesso tempo i/le medici/che si trovano costretti/e a scegliere quali vite salvare, non si hanno abbastanza tamponi per tutti/e, non abbastanza medici/che, strutture, mezzi…
– Misure strutturali a medio termine
Istituire un audit (un’indagine approfondita) del debito pubblico italiano, sotto controllo popolare, per poter cancellare la parte illegale, illegittima e insostenibile di questo debito. La cancellazione del debito pubblico non dovrebbe riguardare i piccoli detentori di titoli che partecipano agli investimenti dei loro fondi pensione, delle compagnie di assicurazione. Queste cancellazioni consentirebbero di riorientare il bilancio dello Stato e di aumentare in modo molto netto la spesa pubblica sanitaria e sociale in generale.
– Finanziare lo Stato a un tasso dello 0%
Fino agli inizi degli anni ’80, il governo si finanziava attraverso la Banca d’Italia. Oggi i trattati UE non lo consentono più e gli Stati si indebitano sui mercati finanziari per far fronte alle proprie spese. Le banche, gli altri settori particolarmente lucrativi e le famiglie più ricche devono concedere prestiti alla collettività a tasso zero (o addirittura a tasso negativo) per organizzare una redistribuzione indiretta della ricchezza.
– Realizzare una riforma radicale della tassazione
È necessaria una riforma fiscale veramente progressiva che tenga conto sia del reddito che del patrimonio. Si dovrebbe :
– Abolire l’IVA su beni e servizi essenziali – come cibo, elettricità, gas e acqua – fino a un certo livello di consumo;
– Aumentare radicalmente l’IVA su beni di lusso;
– Aumentare l’imposta sulle fasce patrimoniali più alte e applicarla effettivamente.
– Lottare contro l’evasione fiscale da parte delle grandi imprese italiane, la frode fiscale e le donazioni fiscali alle grandi e ricche imprese negli ultimi 30 anni;
-rialzare l’imposta sul reddito delle società e farla effettivamente rispettare;
– Aumentare i contributi previdenziali;
– Fissare una tassa speciale per Gafams (Google, Amazon, Facebook, Apple e Microsoft) in collaborazione con gli altri Stati;
– Attuare controlli sui movimenti di capitale al di sopra di un certo importo per scoraggiare la speculazione;
– Aumentare la tassazione sulle operazioni finanziarie fiscali (tutte!);
– Introdurre una moratoria (che dovrebbe poi diventare una cancellazione) sulla spesa militare e procedere alla riconversione e la riqualificazione dei lavoratori del settore.
Il contributo dei ricchi alla crisi attuale deve andare ben oltre le donazioni che le grandi aziende o le famiglie ricche fanno per tenere la coscienza pulita (che a noi sembrano gigantesche, ma a loro sembrano ridicole). È il caso della famiglia Agnelli che ha donato 10 milioni di euro per l’acquisto di 150 apparecchi respiratori e altra attrezzatura medica. Non solo queste donazioni sono esentasse, ma consentiranno alla famiglia Agnelli di essere parzialmente esentata dal pagamento delle tasse negli anni a venire.
Un piccolo chiarimento è necessario: in questo articolo sono state analizzate esclusivamente le misure economiche capaci di liberare risorse significative per fermare la produzione non essenziale e finanziare il reddito di quarantena. È ovvio che queste misure sono lungi dall’essere esaustive per far fronte alla crisi che stiamo vivendo. Ad esempio, un importante rifinanziamento del settore sanitario è più che necessario, cosi come altre iniziative di ordine economico come la requisizione delle attrezzature mediche, un blocco dei prezzi delle medicine di base (analgesici, antivirali ecc.), la socializzazione dell’industria farmaceutica (e eventualmente altri settori).
Ancora una volta, non c’è motivo che questa crisi sia pagata dalla maggioranza della popolazione. Spetta ai ricchi pagare il reddito di quarantena e rifinanziare la salute pubblica! Facciamo nostra la lezione che ci viene dalla crisi odierna per rimettere in piedi i servizi distrutti dall’ondata nera del neoliberismo, per ritornare a parlare di reddito garantito, salario minimo, riduzione dell’orario di lavoro (a parità di salario), giustizia sociale, ambiente, autosufficienza alimentare, socializzazione dei settori produttivi, frontiere aperte, ecc. Questa crisi, grave nelle sue caratteristiche e conseguenze, ci manda un segnale forte e al tempo stesso apre uno spiraglio di opportunità che i settori della sinistra dovrebbero cogliere al più presto allo scopo di indurre la trasformazione della nostra società tanto agognata da tempo!
1 Medicina democratica e l’emergenza COVID-19
2 Salute spa, il nuovo libro che racconta il “delitto perfetto” in atto sulla sanità pubblica tra politica e assicurazioni
3 Gimbe, La sanità integrativa
4 Un articolo utile su questo argomento di Cristina Quintavalla
5 Tra l’altro questa proposta ci offrirebbe l’opportunità di iniziare seriamente a discutere di salario minimo in Italia