Confinamento, la bomba sociale specie al Sud anche se è meno colpito dal virus. Le distribuzioni di cibo non sono sufficienti. Il governo sta creando un “reddito d’emergenza” (Cécile Debarge)
C’è una coppia il cui ristorante ha chiuso durante la notte, un padre che manteneva la sua famiglia di quattro persone con lavori occasionali al mercato nero, venditori al mercato informale dell’Albergheria, un quartiere popolare di Palermo, abituati a guadagnare circa venti euro al giorno vendendo cose vecchie da cantine e soffitte.
Tutti loro ora mangiano grazie agli aiuti alimentari distribuiti dalle associazioni palermitane intervistate, che da circa metà marzo distribuiscono buoni pasto del valore di dieci euro o pacchi di pasta, olio e salsa di pomodoro. “La situazione è diventata critica dalla seconda settimana di reclusione”, spiega Giulia Di Martino dell’associazione Arci Porco Rosso, che è in regolare contatto con circa 60 venditori dell’Albergheria: “Alcuni dipendono interamente dai pacchi che portiamo loro, chi ha una piccola pensione ci dice di non portare niente a loro e di darlo a chi non ha niente. “Chi prima aveva i negozi di alimentari mangia quello che non può più vendere, ma quando riaprirà, non potrà permettersi di pagare il primo ordine”, aggiunge Alessandra Cannizzo, assistente sociale dell’associazione Ikenga, che segue quasi 120 famiglie nel centro storico di Palermo.
Nel capoluogo siciliano, come in gran parte del Mezzogiorno, l’impatto sociale delle misure per fermare la diffusione di Covid-19 è pesante. Nelle ultime settimane sono fiorite diverse iniziative di solidarietà basate sul principio del “caffè sospeso”, la cui idea è nata a Napoli diversi anni fa. Un cliente offre un caffè al bar per un futuro cliente che non potrebbe permetterselo. Il principio è stato esteso per includere i beni di prima necessità in molti negozi.
A Napoli, i cestini della solidarietà invitano chi se lo può permettere a lasciare la spesa a chi non se la può più permettere. A fine marzo, infatti, uno scenario particolarmente evidente per l’Italia. In uno dei più grandi negozi Lidl di Palermo, lungo viale Regione, una quindicina di persone hanno cercato di uscire dal negozio senza pagare il carrello completo. La polizia è intervenuta, ma la loro richiesta di aiuto ha attirato l’attenzione. L’operazione era stata organizzata all’interno di un gruppo di Facebook chiamato “Rivoluzione Nazionale” che conta più di 2.650 membri. Era previsto un secondo incontro, che alla fine non ha avuto luogo: “Chi è pronto per la guerra entro il 3 aprile, lo scriva qui e metteremo su un gruppo. Per far sì che la gente ci ascolti, dobbiamo saccheggiare i supermercati. Questa è la vera rivolta, così capiranno a che punto siamo! »
Sulla scia di ciò, uno dei sindacati del settore del commercio, del turismo e dei servizi, la Filcams CGIL, ha diffuso un comunicato stampa per segnalare le tensioni nella provincia di Catania, in Sicilia: “I cassieri, e in generale i dipendenti dei supermercati della provincia, sono soggetti quotidianamente ad aggressioni verbali e a fortissime pressioni da parte di chi non può più permettersi di fare acquisti, […] soprattutto durante le ormai banali ma non meno drammatiche scene di disperazione alla cassa da parte dei nuovi poveri, da parte di chi ha già esaurito il proprio reddito a causa del coronavirus».
In Campania, la Banca alimentare ha registrato un aumento del 45% delle richieste di assistenza per il mese di marzo. Il sindacato agricolo della Coldiretti stima che mezzo milione di persone hanno bisogno di aiuti alimentari d’emergenza a causa del contenimento. Il quotidiano economico Il Sole-24 Ore, nell’edizione del 27 marzo, stima che in due mesi di quarantena oltre 260.000 famiglie italiane potrebbero scendere sotto la soglia di povertà.
Dall’inizio del confino, però, il governo italiano ha annunciato diverse misure di sostegno per i privati: rinvio delle rate del mutuo, pagamento di alcune tasse, un bonus di 600 euro per i lavoratori autonomi, 15 giorni di congedo parentale per i genitori costretti a badare ai figli dopo la chiusura delle scuole, blocco delle espulsioni fino al 30 giugno, buoni per pagare i servizi di una baby-sitter, estensione della speciale carta famiglia ai genitori di un solo figlio per poter beneficiare delle riduzioni, e così via. Circa 400 milioni di euro sono stati distribuiti ai comuni per aiuti alimentari d’emergenza. Sono stati stanziati 5,1 milioni di euro a favore del Comune di Palermo. I servizi sociali della città hanno ricevuto una prima serie di 15.026 richieste di aiuti alimentari d’emergenza e poi, da lunedì, quasi 12.893 richieste in 48 ore.
In effetti, la cifra potrebbe essere molto più alta. “Molte famiglie palermitane non hanno la carta d’identità o il codice fiscale e non possono registrarsi presso la Protezione Civile per richiedere aiuti alimentari”, dice Vittoria Aricò, presidente dell’associazione Naka, che ha sede nel centro storico della città. “La procedura è troppo complessa per molte persone, la convocazione viene inviata via e-mail, non è possibile fare domanda con moduli cartacei; negli ultimi giorni, su una media di cinquanta persone convocate per mezza giornata per finalizzare la domanda, solo una decina si stava spostando”, aggiunge Alessandra Cannizzo, che ha aiutato molti richiedenti a compilare i moduli. Come lei, Vittoria Aricò deplora le procedure macchinose che rallentano la concessione degli aiuti. “Dall’inizio di aprile abbiamo un altro grosso problema, ovvero il pagamento dell’affitto. Diversi inquilini incapaci di pagare sono stati minacciati di sfratto, mentre altri hanno visto arrivare a casa loro una squadra di delinquenti inviati dal padrone di casa. Non sempre sono informati dei loro diritti”, dice Alessandra Cannizzo.
Ma entrambi sottolineano l’effetto positivo del reddito di cittadinanza, introdotto in Italia un anno fa, che ha agito da vero e proprio ammortizzatore sociale: “Molte famiglie sarebbero davvero finite in assoluta povertà. “Il presidente della fondazione Con il Sud, Carlo Borgomeo, è ampiamente d’accordo: “Il modo più semplice e rapido sarebbe quello di estendere il reddito di cittadinanza e, allo stesso tempo, di smettere di usarlo come strumento per accompagnare un ritorno al lavoro, che prima era già complesso e ora è completamente inutile. Chiamiamolo per quello che è: uno strumento per aiutare chi non ha un reddito”. “È assolutamente necessario intervenire con i più deboli, nel sud del Paese c’è un numero impressionante di lavoratori non dichiarati e le famiglie con più di un reddito sono rare”, continua.
Il Sud Italia è molto meno colpito dalla crisi sanitaria rispetto al Nord, dove si concentrano più di due terzi dei casi di Covid-19, ma gli effetti sociali del confinamento sono devastanti. “Siamo entrati in questa crisi essendo già il Paese europeo con le maggiori disuguaglianze”, ha riconosciuto il Ministro del Sud, Peppe Provenzano, sulle colonne del quotidiano romano La Repubblica. Secondo uno studio dell’Istituto Nazionale di Statistica Istat, 3,7 milioni di persone lavorano senza essere dichiarati in Italia. Quasi il 45% di loro si trova nel Mezzogiorno.
Per affrontare l’emergenza sociale, nei prossimi giorni è previsto un altro decreto. Il ministro del Lavoro Nunzia Catalfo ha già annunciato l’introduzione di un “reddito d’emergenza”, al quale sarebbero stati destinati tre miliardi di euro per tre milioni di potenziali beneficiari, tra cui i lavoratori non dichiarati, come ha implicitamente riconosciuto: “Purtroppo il lavoro nero è una piaga che esiste”. È ovvio che dobbiamo pensare a tutte le persone che, per motivi diversi, si trovano in una situazione di emergenza”. Il provvedimento è un tentativo di rispondere alle tante voci che, ormai da diverse settimane, mettono in guardia contro la recrudescenza delle organizzazioni criminali sulla scia di una crisi sociale. “A Napoli e Palermo, vediamo i supermercati prendere d’assalto i supermercati, sono eventi organizzati per creare un clima in cui la diffidenza dello Stato porta ad affidarsi ad altre realtà locali”, dice Pietro Grasso, senatore del gruppo parlamentare di sinistra Leu. Se riusciremo a dare ai cittadini ciò di cui hanno bisogno per sopravvivere, credo che potremo superare questa situazione per sempre. »
In uno dei quartieri più difficili di Palermo, Zen, il fratello di un padrino della droga, anch’egli noto per essere vicino ai boss della mafia, ha distribuito borse della spesa ai residenti del quartiere. Scandalizzato dal fatto che la stampa locale lo abbia riportato in un articolo, ha commentato sul suo profilo Facebook: “Per aiutare la gente e dare loro da mangiare, sono orgoglioso di essere un mafioso”. Il capo della polizia Franco Gabrielli ha detto all’Interpol che sono state organizzate distribuzioni simili in diverse regioni del sud del Paese.
Già poco dopo l’inizio del confino, in un’intervista all’agenzia di stampa italiana AGI, il pubblico ministero e membro della commissione parlamentare antimafia Roberto Tartaglia ha avvertito: “Al momento i quattro ‘classici’ presupposti, direi, che hanno sempre arricchito la criminalità organizzata, stanno prendendo perfettamente forma: una terribile mancanza di liquidità, una vera e propria “bomba sociale” che potrebbe esplodere da un momento all’altro, soprattutto nelle regioni meridionali, la prospettiva di grandi investimenti pubblici in infrastrutture e settori strategici e, infine, il fatto che questi rischi sono potenzialmente sottovalutati, agevolati da una comprensibile ma inaccettabile distrazione secondo la quale è assolutamente necessario ricominciare da capo, in qualsiasi modo e ad ogni costo».