Perché se osservi da qui la sanità lombarda capisci che il lockdown era necessario, certo, ma solo per gettare la palla in calcio d’angolo (Francesco “baro” Barilli)
disegni di Lele Corvi
E’ un po’ che non mi faccio sentire. Scusa: è che ora tutto scorre… lentamente o velocemente dipende dai punti di vista, ma di sicuro inesorabilmente.Lentamente perché tutto sembra monotono e uguale, un perenne loop da “giorno della marmotta”, il film con Bill Murray e Andie MacDowell, dico. Velocemente, perché ciò che colpisce oggi il nostro interesse (non dico l’immaginazione: l’interesse) passa in secondo piano domani, per essere cancellato già il giorno successivo. E poi, in questa clausura forzata, oggi sono semplicemente “il più vecchio”; che non vuol dire il più esperto né il più autorevole.
L’ho già scritto e ne abbiamo parlato: davvero la mia testimonianza è ancora utile/interessante? Non è forse sovrapponibile a mille altre, ormai? Così mi sono detto che se volevo scriverti (che scrivere si deve, sennò la noia la vince facile e a quella stronza non vogliamo darla vinta, no?) dovevo farlo con qualcosa di diverso, un po’ più “pratico” e politico.
Perché la vera domanda che potresti farmi (che io vorrei tu mi facessi…) è: “ma tu che vivi in Lombardia cosa ne pensi di come è stata gestita la situazione? Dalle tue parti contate la metà dei morti dell’intero dato nazionale, avete la tragedia delle RSA…”. Bene.
Partiamo da una notizia apparentemente slegata. Secondo me la ricordi: è un lancio adnkronos del 23 agosto 2019, quindi di poco precedente l’epidemia. “Nei prossimi 5 anni mancheranno 45 mila medici di base, ma chi va più dal medico di base, senza offesa per i professionisti qui presenti?”. E’ quanto ha detto Giancarlo Giorgetti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, nel suo intervento oggi al Meeting di Rimini per l’incontro “Intergruppo sussidarietà: le riforme istituzionali”, scatenando la polemica. “Nel mio piccolo paese vanno a farsi fare la ricetta medica, ma chi ha almeno 50 anni va su internet e cerca lo specialista. Il mondo in cui ci si fidava del medico è finito”. (Tienila lì, ‘sta frase, come un nodo al fazzoletto. Dopo ci torniamo su…)
Non mi va di parlare dei miei problemi di salute, che già conosci. Cioè, non ci sarebbe nulla di male e a me non dà fastidio, ma creerebbe effetti e percezioni distorte in chi legge. Diciamo solo che la sanità lombarda, in questi ultimi anni, ho dovuto conoscerla. E, sì, è efficiente. Nel senso: se tu consideri la tua salute un bene NON nel senso filosofico/esistenziale, ma nell’accezione economica (qualcosa che produce reddito), la sanità lombarda funziona. Come qualsiasi filiera produttiva, capisci? E allora tu ti chiedi, come tutti, il perché dei numeri in Lombardia (te li confermo: qua è difficile trovare qualcuno che non abbia parenti o amici ammalati). E lascia stare la sfiga dell’avere avuto i primi casi e di averli compresi quando erano già dispersi in vari focolai, la densità di popolazione, la morfologia del territorio e le peculiarità urbanistiche delle città. Tutto vero; ma troppo poco per giustificare il “resti a casa, se la febbre sale prenda la tachipirina” come unica indicazione fino al “se proprio non respira chiami il 112” e i soccorsi ormai tardivi. Fino al ridicolo di lasciare o rimandare a casa gente che sta male (dimenticando l’alta percentuale di falsi negativi) e al ridicolo della “quarantena isolati in casa” per due settimane (che è un casino già se hai 120 metri quadri di casa e due bagni, figuriamoci per gli altri…).
Ora: questa mia lettera non ha ambizioni scientifiche, quindi lasciamo stare se il virus duri più o meno di due settimane. Il punto è che da qua partono le esigenze pratiche, della vita di tutti i giorni, dalla spesa ai farmaci, e tutti si sono arrangiati da sè. Certo: qualcosa c’era e c’è; assistenti sociali e/o volontari, reti solidali, Caritas, protezione civile ecc, spesa on line consegnata a domicilio… Ma la maggioranza, non contiamoci balle, si è arrangiata, uscendo o facendo uscire conoscenti, in coda a supermercati o farmacie, e la danza del contagio è andata avanti. E allora facciamo un gioco e torniamo a prima dell’apocalisse.
Come potremmo sintetizzare il mantra della sanità in Lombardia? Decentrare le risorse dalla periferia per dirigerle a grandi ospedali in grandi città. Abbandonando ospedali locali e ancor più i medici di famiglia. Basare la sanità su terapie consolidate e ben conosciute (anche su patologie complesse, intendiamoci), diagnosi avanzate, ospedalizzazione efficiente ecc, diventando un’eccellenza nazionale per le cure specialistiche e le macrostrutture. E, te l’ho già detto prima, posso testimoniare che il metodo funziona, se la tua malattia si inserisce in questa sorta di filiera standardizzata. Poi però arriva il granello di sabbia che inceppa il meccanismo. Magari un virus sconosciuto, dove hai bisogno di umiltà, sensibilità, etica, vicinanza ai microterritori e alle persone, elasticità nel ridiscutere in fretta i tuoi modelli prestabiliti (adatti ad altre situazioni, non adattabili all’emergenza)…
Perché allora, quando il meccanismo è inceppato dal granello, dovresti metterti a ragionare su cose per le quali la Regione Lombardia, nella sua maggioranza politica, non ha alcuna inclinazione. Dovresti essere capace di invertire un paradigma, riportare l’attenzione dalle grandi alle microstrutture, porre attenzione all’assistenza (“spicciola” e non solo sanitaria) domiciliare a chi ne ha bisogno, dal fare la spesa fino al fare da mangiare. Vedi che a Giorgetti ci tornavamo?! E, se ci pensi, ha una sua importanza anche dove disse quella frase (torna al lancio adnkronos di prima: il Meeting di Rimini, e non c’è bisogno che io ti spieghi cosa conta CL nella sanità lombarda…)
Io stesso ho ricordato la frase di Giorgetti solo all’inizio di questa epidemia, in un breve intervento su Facebook. Invece avrei dovuto farlo in ogni mio articolo. Perché spiega tutto: anche la “tattica” di Gallera e Fontana di buttarla in caciara, passando in pochi giorni da uscite drammatiche tipo “troppa gente per strada.. avanti così non ne usciamo!”, all’ottimismo sguaiato del “con le dovute precauzioni, riapriamo tutto, dai!”. Perché altrimenti, se non la butti in caciara, capisci tutto. Capisci che il lockdown era necessario, certo, ma solo per gettare la palla in calcio d’angolo, che va bene quando sei in difficoltà, ma mica ci puoi costruire una partita, figuriamoci un campionato. Capisci la spettacolarizzazione dell’inaugurazione di un ospedale vuoto. Capisci che le carenze della medicina preventiva sul territorio sono state scientificamente pensate (a poco serve riconoscere che le tragiche conseguenze erano impreviste e indesiderate). Capisci che non si può parlare di riapertura a Milano, né risolvere il dramma con i carri armati nelle strade a controllare i runners o i pisciatori di cani, se non si fanno prima riflessioni più profonde su quale sanità vogliamo (ri)costruire.