Si è chiusa la carriera da calciatore di Aritz Aduriz Zubeldia, attaccante di 39 anni in forza ai baschi dell’Athletic Club di Bilbao
Alla fine ha dovuto fare punto e a capo. Si è chiusa la carriera da calciatore di Aritz Aduriz Zubeldia, attaccante di 39 anni in forza ai baschi dell’Athletic Club di Bilbao. L’anno scorso, nonostante le noie fisiche, aveva prolungato di un altro anno il contratto che lo legava alla squadra bianco-rossa, che nelle ultime otto stagioni ha potuto contare su una valanga di gol del centravanti nato a San Sebastian.
Ha chiuso a malincuore, perché la voglia di continuare c’era, ma un intervento di artroprotesi all’anca non era ormai più rinviabile. Amaro in bocca doppio, visto che attendeva di giocare una finale di Copa del rey, che caso voleva fosse anche un derby coi cugini della Real Sociedad. Il Coronavirus ha rinviato la finale e le due squadre si sono accordate per non giocarla finché non sarà possibile farlo a porte aperte.
Aduriz in carriera ha raccolto meno di quello che avrebbe meritato. Quando pochi giorni fa, in una conferenza stampa tenuta in uno stadio San Mames vuoto, gli venne chiesto se avesse rimpianti a non aver giocato nelle squadre in odor di trofeo che lo cercarono come Chelsea o Manchester United, l’attaccante ha ribadito che l’Athletic è una squadra con una filosofia unica, che non cambierebbe nulla delle scelte fatte, tantomeno quella di aver giocato tanti anni in biancorosso.
Eppure, oscurato da campioni di altra fama, Aritz Aduriz in Spagna non ha riscosso i giusti apprezzamenti. Pure in casa ha dovuto sudare le proverbiali sette camicie per convincere la dirigenza delle sue doti, visto che ad inizio carriera venne ceduto per ben due volte. L’esplosione definitiva avvenne solo nel 2012, quando venne nuovamente ingaggiato dopo quattro stagioni con Maiorca e Valencia. Chiamato ad affiancare l’ormai calcisticamente maturo Fernando Llorente in aria di addio, l’allenatore dell’epoca, el loco Marcelo Bielsa, gli disse chiaramente che non era convinto del suo acquisto. Dovette ricredersi, avendo prova del fatto che anche nel calcio non è mai troppo tardi per dimostrare ciò che si vale.
Come il buon vino, Aduriz invecchiando è migliorato e molto. Dopo esser tornato all’età di 31 anni a Bilbao, l’attaccante ha messo insieme numeri da capogiro: 149 gol in 313 partite tra Campionato, Copa del rey e Coppe europee. 0,48 gol a partita, una media a cui anche Lionel Messi e Cristiano Ronaldo faticano a tener testa. E reti di gran fattura, con entrambi i piedi e di testa, di forza o di precisione. O in acrobazia, come l’ultima rete della carriera (nella foto in evidenza), quella segnata ad agosto contro il Barcellona, quando il vecchio leone entrò all’89esimo minuto e subito dopo in rovesciata stese i catalani per una di quelle vittorie che mandano in visibilio tutta Bilbao, la città che è un tutt’uno con la sua squadra.
Ma come ha dichiarato in diverse occasioni, il gol a cui Zorro è più affezionato, è un gol brutto, segnato anch’esso al Barcellona, durante la finale di ritorno di Supercoppa nel 2015. Tre giorni prima a Bilbao nella partita di andata trafisse i catalani tre volte per un rotondo 4-0 che con certe squadre non da mai garanzie: al Camp Nou però rispose nel secondo tempo al gol di Messi con un tap-in oggettivamente sgraziato ma liberatorio. Era da 31 anni che un trofeo non finiva nelle bacheche dell’Athletic.
Il calciatore stakanovista Aduriz a più riprese ha dimostrato di essere anche uomo tutto d’un pezzo, dai saldi principi. In diverse interviste ha cantato la responsabilità che un calciatore, come ogni persona in vista nella società, dovrebbe assumersi nel veicolare messaggi positivi. Per questo motivo in alcune occasioni ha manifestato il suo supporto alla causa ecologista, anche attraverso i comportamenti individuali. Solo un paio di settimane fa l’ariete basco ha realizzato un divertente meeting social-videofonico con Josu, un giovane calciatore affetto da sindrome di down. Un paio di anni fa, assieme a Miguel Indurain ed altri sportivi baschi, si è fatto promotore di un’iniziativa in collaborazione con l’associazione delle famiglie con minori transgender. Aduriz si rese disponibile direttamente al presidente dell’associazione dopo aver conosciuto la famiglia di Ane, una giovanissima tifosa che aveva da poco cambiato sesso.
Aduriz, recordman di realizzazioni con la selezione calcistica dei Paesi Baschi, ha anche all’attivo tredici presenze con la nazionale spagnola e due gol, uno dei quali segnato all’Italia. Nonostante questo le sua presunte simpatie indipendentiste sono state più volte chiacchierate, sia all’inizio della sua carriera, sia nelle occasioni in cui ha ribadito il suo sostegno alla promozione dell’euskera, la lingua basca o, banalmente, quando nella finale di Supercoppa venne “pizzicato” a sorridere (dovendo poi giustificarsi) mentre il pubblico per metà catalano e metà basco ricoprì sonoramente di fischi l’inno spagnolo. In Euskal Herria è una questione eterna e dannatamente scomoda. Da questo punto di vista l’attaccante ha sempre glissato non allineandosi ai percorsi portati avanti da altri calciatori celebri del passato come Kortabarria e Iribar.
Per Aduriz in questi anni hanno parlato soprattutto i tanti gol. Da quelli segnati da bambino quando giocava nella spiaggia di Donostia, a quelli segnati nei vari stadi della penisola iberica, passando per i campi trafitti in mezza Europa. Maestro nell’impegno e nel culto della perenne ricerca del miglioramento, dannato in campo nel difendere palloni e scagliarli contro le porte avversarie. Aduriz ha incarnato lo spirito da leone che il focoso pubblico di Bilbao chiede ai suoi beniamini, un barlume di essenzialità in un calcio sempre più ostinatamente danaroso, bomberistico e fighetto. Il culto della fatica e del sacrificio che trasuda nelle zone operaie di una città che non aspetta altro che arrivi il fine settimana per riempire uno stadio, i bar e le tabernas, per unirsi ad una squadra unica al mondo, una specie di trasposizione calcistica di una città.
Come nella metafora del libro di Osvaldo Soriano, Aduriz è uno di quelli che “pensa coi piedi”, un romantico eroe profeta nella patria dalla quale si è allontanato e alla quale ha fatto ritorno, sancendo un legame che neppure la tristezza di un paio di scarpe appese al chiodo può sciogliere.