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Alessia Martusciello, la fumettista dell’Area 2

C’era in Disney l’Area 1, con Topolino, e l’Area 2, considerata femminile, che si occupava “Minni”, “Sirenetta”, Giovani Marmotte e “Bambi”. (Intervista di Enrico Testino)

Quale è stato l’episodio della tua vita che ha dato inizio …a tutto e che ti ha fatto innamorare del fumetto?
Anche se ho sempre disegnato e immaginato storie, Il mio arrivo al fumetto è un pochettino travagliato. Ho sempre amato soprattutto molto l’animazione e l’illustrazione. L’approccio ai fumetti è stato casuale, a 21 anni, quando ho conosciuto e sono entrata nel giro di Giulio Chierchini,  GB Carpi, Luciano Bottaro, Romano Scarpa e nel mondo del fumetto Disney. Ma io, poco prima, volevo fare l’illustratrice in stile classico realistico.
Tramite amicizie avevo saputo che lui, Chierchini, collaborava e cercava ragazzi per disegnare il fumetto “Tiramolla”, ed oltre ad essere principalmente un autore Disney, aveva creato Nonna Abelarda in Soldino (con Carpi), aveva disegnato Geppo  e faceva animazione. Era una persona vulcanica, sia come disegnatore sia come sceneggiatore. Era anche un appassionato di immagini e di fotografia. Raccoglieva intorno a sé gruppi di giovani con cui collaborava. Aveva sviluppato anche nuove tecniche, per l’epoca. Per il fumetto la sua tecnica di allora era fare i fondi dipinti e i personaggi da “metterci sopra” tipo cartone animato. Dopo averli disegnati su carta, venivano fotocopiati su acetato e colorati. Alla fine lui faceva le pellicole delle pagine complete, per poi farle pubblicate su Topolino.
Era una tecnica innovativa, Chierchini è sempre stato un curioso, è stato uno dei primi a far utilizzare il computer. Aveva fatto fare addirittura illustrazioni in 3d al pc per Topolino 2000 come sfondi! Un vero pioniere.
Ho cominciato a collaborare con lui in quella fase, quando faceva le storie dipinte, come ad esempio Paperin Pestello (la storia di Cristoforo Colombo interpretata dalla compagnia dei noti paperi), da sua sceneggiatura….


All’epoca di quella scelta eri già grandicella, ma ancora prima, la passione quando è arrivata?

Come tanti fumettisti sono anche io appassionata di cinema e, come tutti, appassionata delle storie.
Raccontare e immaginare storie è una  vera passione! Dalla metà degli anni ’90 e la fine, son riuscita a scrivere delle sceneggiature. Il fumettista è un po’ un regista. E molti registi sono appassionati di fumetto e magari anche disegnatori “mancati”. Un esempio clamoroso è Tim Burton, in questo caso neanche “mancato” poiché disegna molto bene i suoi personaggi e gli storyboard.


 
Quale è stata la storia alla quale hai lavorato che ti ha divertito di più (non la più bella)?

Devo dire che una storia che mi è piaciuta tantissimo fare è quella di “Amelia e le due numero uno” (Antonella Pandini) uscita su Topolino 2318 (maggio 2000), una storia particolarmente fantasiosa con Amelie di diverse dimensioni. Amelia, tra l’altro è un uno dei  personaggi che amo disegnare, è passionale e graficamente si presta molto. Però il personaggio che mi piace di più è proprio Topolino, specialmente quello degli anni ’30, poi Pluto ed Eta Beta. Quest’ultimo, l’alieno di Topolinia, è un personaggio caratteristico che ha una grande personalità. Da qualche tempo è stato messo un po’ in disparte.
Oltre a Minni, Amelia è uno dei personaggi che disegnavamo spesso  in ”Area 2” della Disney Italia.


Area 2? Ma cos’è? Un film di fantascienza?

Il settore “Area 2”, formato alla fine degli anni ’90, era il risultato di una divisione interna. C’era l’Area 1 con Topolino e tutto ciò che ruotava intorno a lui e l’Area 2, che era l’area considerata femminile, che si occupava delle testate principali  di “Minni” (con molte storie di mistero e indagini con Minni e Topolino), “Sirenetta”, le “GM” (Giovani Marmotte) e “Bambi”.
Nell’Area 2 ho avuto una delle più belle esperienze in assoluto alla Disney. Era un’area creata da e per Elisa Penna lei, persona entusiasta e instancabile, ex vice-direttore di Topolino, avrebbe anche potuto diventare direttore di Topolino a tutti gli effetti. Elisa Mi ha dato la possibilità di scrivere le storie. Con lei ci accomunava la passione per gli animali, per i cavalli. La stessa comune passione che mi ha spronato e divertito a immaginare e scrivere storie sulle Giovani Marmotte (Le GM e la leggenda di Pegaso).


Scusa la domanda…magari scema ma all’Area 2 c’erano soprattutto autrici donne?

Ora le cose sono cambiate, ma allora nel settore fumetti gli uomini erano davvero la maggioranza. Anzi, allora le donne si contavano sulle dita. Quando sono entrata in Disney, c’erano Silvia Ziche, Lara Molinari, la mitica Maria Luisa Uggetti. E tra l’altro loro erano tutte in area 1!


A tuo parere perché esistevano poche disegnatrici donne?

Anche se negli ultimi anni, come dicevo, i numeri sono cambiati, ho una mia teoria che nulla ha a che fare con la discriminazione. Le donne hanno un approccio più naturale per il colore, quindi, credo che siano più predisposte per l’illustrazione.
Una mia impressione è che il fumetto è più di azione, istintivo. La donna è più per il dettaglio, per quei “leziosismi” che non sempre vanno bene per un certo tipo di narrazione.
Di conseguenza, sempre come mia ipotesi, forse diventa più difficile per le donne fare fumetti di azione come, per esempio, Bonelli o Marvel. Per quelli va meglio un tratto più dinamico, spigoloso rispetto a quello morbido e tondeggiante.
Chierchini diceva che le donne venivano utilizzate tantissimo per l’illustrazione ma anche nel fumetto classico Disney dove le rotondità erano importanti, soprattutto per l’inchiostrazione, perché riuscivano a dare la giusta morbidezza che nello stile Disney è fondamentale. 


Parlaci di un personaggio che hai disegnato, cosa ti piace, cosa rappresenta per te e nell’immaginario collettivo.
E, aggiungo, che messaggio profondo hai voluto dare in quella storia?

Devo ammettere che i personaggi che ho creato recentemente per la nuova serie in uscita nei paesi francofoni, sono quelli che sento maggiormente.
Spero trasmetteranno i sentimenti e l’amicizia che ho vissuto insieme a loro, pagina dopo pagina.
Sono particolarmente legata al protagonista perchè, non so dire per quale meccanismo strano nella mia memoria visiva, i personaggi pseudo realistici di bambini/adolescenti somigliano tutti a mio nipote!
Penso che un personaggio debba essere “vivo” per rappresentare qualcosa.
Lo sforzo che ho sempre cercato di fare è proprio questo. Non sopporto molto i personaggi inespressivi!
Sono cresciuta in un quartiere dove c’erano tanti ragazzi di età che variava dagli 8 ai 14 anni.
Ero tra i più grandi. I più piccoli, senza che io lo volessi, mi avevano eletta “capo banda”.
Sono sempre stata un “maschiaccio”, dietro al mio aspetto tranquillo. Disegnavo, anche con loro.
Eravamo un bel gruppo, affiatato, che si aiutava, ma alcuni avevano per un motivo o per un altro problemi personali anche gravi di salute, di solitudine, disagio, di genitori assenti o situazioni difficili.
Ci si spalleggiava, confidava, difendeva, nonostante l’età acerba. Come nei progetti in cantiere…
Io sono del parere che quando si riesce a trasmettere questo, del sentimento, unire attraverso un fumetto, anche raccontando situazioni terribili, è il miglior risultato che si possa ottenere.
Come  per  le “Witch”, che ormai sono diventate una leggenda per le tante teenegers degli anni 2000 che si sono immedesimate in loro.

Alessia Martusciello

La tua storia a fumetti preferita?

Per quanto riguarda quelle Disney, diverse, ma ne cito una di Tito Faraci disegnata da Giorgio Cavazzano che parlava di Gancio e della sua bizzarra famiglia del sud. Dove Gancio raccontava la sua infanzia (storia nella mia memoria… indimenticabile)
Poi molte divertenti storie di Nino Russo, uno dei più prolifici disegnatori della Disney, quello per cui ho disegnato di più. Come le tante storie che ho letto e disegnato, dei viaggi memorabili di zio paperone e parentado, scritte da Rodolfo Cimino.

Il tuo fumetto da “cazzeggio” preferito?

Quelli Disney, degli autori “immortali”.
Evangelion, Death Note, Saga, Zombillenium, Gung Oh… troppi!

I tuoi autori preferiti?
Per la Disney, se ne devo mettere 3, soprattutto Gottfredson poi Carpi e Bottaro. Loro sono stati i miei primi riferimenti.
Chierchini  il mio maestro. Cavazzano,Scarpa, Mastantuono e via dicendo.
Chierchini, che ricordo sempre con affetto, mi diceva: “Non seguire me, segui il disegno di Carpi”.
E poi…
Per quanto riguarda altri tipi di autori che sto seguendo ora, ce ne sono troppi, contemporanei e non.
Albert Uderzo, Paul Campani, Osamu Tezuka, Jamie Hewlett.
Arthur De Pins, Miki Montllò, Gigi Cavenago, Bilal, Fabrice Parme!

Hai un “fumetto” nel cassetto che sogni di realizzare?
Tanti già in cantiere. Quello che posso confermare è che, finalmente, da più di un annetto stiamo lavorando a una serie che mi appassiona tantissimo. Con la casa editrice belga Dupuis, fianco a fianco ad uno giovane e prolifico sceneggiatore belga di nome Kid Toussaint. Il tomo 1 uscirà a brevissimo! Era previsto per fine giugno.
In questa serie abbiamo creato tutto il mondo grafico, io e il mio consorte Alberto Aurelio Pizzetti.
I personaggi, l’ambientazione, lo stile. Un’esperienza bellissima e gratificante.
Questa storia è un sogno non più nel cassetto, il titolo è: “Absolument Normal” (uscirà prima in francese e sucessivamente in inglese).  E’ una storia di fantascienza, per ragazzi, sui temi dell’adolescenza e, in qualche modo, si affronta anche il tema della discriminazione.
Poi ho, e abbiamo, anche altri nuovi progetti su stile manga europeo, tipo WITCH, ma più realistico e per adulti, quello che ho sempre amato fare. E’ il massimo della soddisfazione creare, dalle basi, un intero mondo fumettistico.
Storie che, chissà, un giorno potrebbero diventare un film d’animazione…

Perché è importante il fumetto oggi, nel mondo e in Italia? Quale futuro?
Il fumetto è una storia che viene raccontata dove tu ti immedesimi e, tramite questo meccanismo puoi capire i tuoi problemi, il tuo carattere, te stesso. L’approccio al fumetto è una procedura profonda. Alla base, chi fa fumetto veramente, si immedesima in ciò che fa e se “va bene”, se questa empatia si sviluppa al meglio, la si trasmettere anche ai lettori. Il pubblico, se è coinvolto, capisce e rivive quello che l’autore ha vissuto in prima persona.
Per i racconti disneyani, ad esempio, rimaniamo in un classico, in una identificazione profonda ma generalizzata, che difficilmente avrà grandi mutazioni. Nelle WITCH, invece, anche da lettrice oltre che disegnatrice, mi sono interessata e identificata tantissimo nei personaggi che avevano i loro problemi legati alla loro  età, e alle varie situazioni. E questo il pubblico l’ha percepito. Ed è per questo che Witch è stato un successo!
E’ un po’ la stessa cosa ma contemporaneamente diversa con Paperino e Topolino. Sono un classico, siamo tutti un po’ come loro. Nelle WITCH invece, prese sempre come esempio di successo, ti identifichi di più, in modo più profondo, potente, perché rispecchia le tue caratteristiche specifiche, individuali, non generali.
Quando, come autore, lettore, entri in una storia “sei” quel personaggio.
Un piccolo aneddoto è che quando disegnavo per esempio Pippo e “sentivo” la sua voce “vedevo” la sua camminata, “interpretavo” il personaggio!
Tutti noi abbiamo immagazzinato nel nostro cervello i personaggi dei Cartoons classici, è un processo di identificazione  istintivo che ti aiuta a immaginare, disegnare, interpretare e far vivere al meglio personaggi che conosciamo.
L’identificazione ti serve sia nella fase creativa che esecutiva della storia.
Attraverso questo si dovrebbe continuare a rappresentare il fumetto, per autori e lettori, oggi e nel futuro. Un mondo dove potersi immedesimare, rifugiare ancora, capire e vivere storie, più o meno complesse, che fanno riflettere.

Dicci un po’: affrontando personaggi e mondi stilisticamente diversi, come Amelia e Nathan Never, come si fa il passaggio da una dimensione fumettistica e l’altra?
Intanto bisogna disintossicarsi un po’ di giorni, è come se tu cambiassi canale, devi dimenticare quello che hai fatto, ad esempio, nel “registro” comico e sintonizzarsi sul nuovo “tipo”.
Io parto, come autrice, dall’approccio realistico, poi ho lavorato, per anni, in quello comico. Per me è diventato un atteggiamento normale variare da uno stile ad un altro.
In un secondo momento devi assimilare la struttura del personaggio nuovo su cui devi lavorare e farlo “vivere”.
Cosa faccio? Inizio a leggermi un po’ di fumetti, guardarli per capire ed entrare meglio nel nuovo mondo da rappresentare. Poi, inizio a disegnare.
Su Nathan Never, per la domanda specifica, ho avuto una grossa mano dal mio consorte che mi ha aiutato a sintonizzarmi sul mondo fantascientifico, essendo lui un grande appassionato di fantascienza!
Quando un lavoro mi appassiona non ho particolari preferenze per i protagonisti. Per citare il mio Maestro Chierchini, tra l’altro, è meglio imparare a fare tutto, anche per opportunità di lavoro.
Dare forma e vita a un personaggio è anche dare forma al suo mondo. Pensate a Topolino, la bellezza dei personaggi sullo sfondo, quello buffo che porta a spasso il cagnolino, il traffico, i panorami…
Per finire l’autore e il disegnatore sono i registi di un fumetto ma sono, e a me piace molto questa fase, anche gli attori, rendono il personaggio vivo e se non lo vivessi in questo modo come potrei avere il privilegio di sentire la voce di Pippo.
…Incontestabile

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