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Scuola. Riprendersi le città è un gioco da ragazzi

Scuola. Bambini e maestri inventano o riscoprono i giochi a mezza distanza [Massimo Lauria e Checchino Antonini per Rsi]

 

Il 62% degli studenti italiani, specie i più piccoli, ha accusato stanchezza, deficit di attenzione e problemi di stress nei mesi di didattica a distanza. Una modalità, indotta dalla pandemia, che però ha escluso in partenza il 12% (dati Istat), bambine e bambini che non hanno avuto accesso a un pc o a un tablet. Un dato che al Sud schizza al 20%. Numeri da tenere a mente alla vigilia della riapertura delle scuole dove, intanto, sono stati ripensati spazi e arredi in funzione anti-covid (con il “giallo” della rimozione di 1 milione e 250 mila banchi biposto rimpiazzati dai monoposto) e si prospetta un’alternanza inquietante tra didattica a distanza e lezioni in presenza. «Nei mesi di lockdown noi abbiamo perso molti bambini, quelli fragili tecnologicamente e quelli fragili socialmente, li abbiamo rincorsi abbiamo fatto tutto il possibile per tenerli dentro un percorso e stare insieme anche se attraverso uno schermo ma sicuramente c’è stata una perdita – conferma Gianluca Gabrielli, maestro a Bologna nella scuola Fortuzzi – perciò dobbiamo cercare di riorganizzare la didattica rimanendo a scuola, ogni nuovo lockdown  significa immediatamente perdita dei bambini fragili nonostante tutta la buona volontà degli insegnanti».

 👉 rsi.ch/g/13348308

Ma per bambini e ragazzi è anche il tempo di riconquistare parchi, giardini, spiagge e ogni altro luogo aperto dove siano possibili sia il distanziamento che la relazione educativa. E’ da qui che nasce l’idea, rilanciata dal sito comune-info.net, dei “giochi a mezza distanza”, inventati o riscoperti da bambine, bambini e maestri in sintonia con il dibattito sulla costruzione di reti “ad alta densità educativa” e con varie esperienze di scuola all’aperto che coinvolge le reti dell’educazione popolare. Rsi News, partendo dallo spunto di comune-info.net ha incontrato alcuni di questi educatori, tra Roma, Bologna e la Lunigiana per raccontare come il gioco sia lo strumento migliore per restituire la tridimensionalità all’esperienza scolastica dei più giovani.

guarda il video di Massimo Lauria e Checchino Antonini

«La mezza distanza è intendere la distanza solo come la distanza fisica della sicurezza e non la distanza sociale della mancanza della relazione. Noi siamo uniti all’altro e insieme all’altro facciamo un’esperienza. In questo dobbiamo garantire la sicurezza ma non perdere quella vicinanza emotiva che ci fa fare un’esperienza insieme. In questo senso noi diciamo mezza distanza perché dobbiamo riunire, collegare il gruppo sociale in cui il bambino cresce, perché il bambino cresce dentro una dimensione collettiva, guardando gli altri e collegandosi a loro – ha spiegato Claudio Tosi, artigiano, autodidatta, educatore della Federazione Italiana dei CEMEA (Centri per l’Esercitazione ai Metodi dell’Educazione Attiva) – la scuola ha dovuto rispondere con la didattica a distanza e quindi ha azzerato la terza dimensione e quindi ognuno è diventato la sua immagine sullo schermo. La vita però è tridimensionale allora noi abbiamo bisogno di giochi a tutto volume, abbiamo bisogno che si ritorni a vivere in attrito con il resto del mondo, e quindi attraversando lo spazio e vivendo un’esperienza piena che è quella dello stare in un luogo, incarnare il gioco dentro i luoghi, per questo è importante collegarsi alla città perché la città è il contesto in cui il bambino vive».

Gabrielli racconta come il gioco sia stato al centro della riflessione con i suoi alunni fino a diventare il tema di un giornalino autoprodotto.

leggi qui il giornalino dei bambini e delle bambine della scuola Fortuzzi

«La fase uno era stare a casa – spiega – per cui il problema era raggiungere i bambini con tutti gli strumenti possibili  e tirare fuori le loro emozioni, le loro paure. Poi, il passaggio alla fase due è stato un passaggio importante perché ovviamente noi continuavamo a fare didattica a distanza ma questi bambini potevano ricominciare a uscire a entrare nel mondo dopo due mesi e mezzo chiusi in casa. C’erano alcuni che avevano una voglia incredibile che ormai non si trattenevano più e altri che erano terrorizzati. E c’era anche il problema di ricominciare a giocare e quindi, nelle nostre riunioni di didattica a distanza abbiamo cominciato a parlare dei giochi, di come ricominciare a giocare ma in sicurezza, di come poter ritornare a uscire nella città, nei giardini.  Poi all’inizio erano i giardini ma rimanendo a distanza e ritornando a divertirsi senza rischiare la salute e questa cosa per me è servita molto per ritornare a uscire, per avere dei parametri per muoversi. Penso che fossero più attrezzati della popolazione italiana in generale, perché loro ragionavano proprio come se fosse il prossimo passo che dovevano fare nel loro percorso scolastico quasi quindi grandi discussioni e abbiamo pensato di fare un numero speciale del giornalino che noi tenevamo per mantenere il contatto quotidiano con i bambini».

In copertina spicca la staffetta del 2020 «perché nel 2020 si può fare una staffetta soltanto con uno spruzzino per lavarsi le mani – riprende Gabrielli – per cui a ogni passaggio ci si lava le mani poi si riparte. Ovviamente i bambini, quando si comincia a ragionare su queste cose di sicurezza, sono estremamente rigidi.  Ma si doveva ricominciare a giocare e a divertirsi nella società, però in una società che si era trasformata e quindi questo parametro della sicurezza era fondamentale, e son venuti fuori molti giochi insomma e giochi classici, il giro d’Italia a basket, igienizzando la palla quando passava da uno all’altro oppure avere tante palle come tanti giocatori e si poteva fare…».

Sorride spesso Gabrielli mentre illustra il giornalino alla troupe della tv svizzera dentro Salaborsa Ragazzi, la grande biblioteca specializzata in Piazza Maggiore, affrescata da fumettisti come Giardino, Scozzari, Ghermandi e altri. «Nina a un certo punto si è posta il problema che non ci si riconosceva più tanto con queste mascherine però allora potevamo trasformarlo in un gioco e indovinare quale espressione stava sotto la mascherina perché anche con gli occhi si riesce a esprimere dei sentimenti anche soltanto con gli occhi ma bisogna esercitarsi».

«Questo primo ragionamento su come giocare in un’epoca diversa ovviamente rimane fondamentale – dice ancora Gabrielli – anche nell’anno che sta per iniziare, che sarà  estremamente difficile perché cambia tutto, cambiano le aule ma cambia anche la modalità di stare a scuola, è importante che questo ragionamento su come stare di nuovo insieme sia gestito in maniera comune con i bambini. E’ un nuovo percorso di socialità scolastica che inizia, e speriamo finisca abbastanza presto con un vaccino, con una soluzione, ma che ugualmente in questo periodo deve ricostruire una socialità di una qualità simile a quella che c’era prima nonostante la distanza e quindi dev’essere inventato dai bambini e dalle bambine insieme agli insegnanti. La scuola, quando riaprirà diventerà non solo una fatica ma anche un laboratorio per forza di cose sperimentale come dovrebbe essere sempre perché i bambini cambiano, le maestre cambiano e quindi l’insieme delle relazioni si trasforma continuamente però in questa situazione ancora di più: tutta la socialità, tutto il gioco, deve riorganizzarsi e ricostruirsi su parametri diversi dove la sicurezza è il punto di partenza. Perché il gioco, il gioco, non è soltanto il momento della ricreazione, non è l’interruzione della socialità è proprio il centro della socialità soprattutto a questa età nell’età della scuola dell’infanzia, nella scuola primaria, il gioco è il centro della socialità dei bambini. I bambini vengono a scuola perché possono giocare durante la ricreazione, ma allo stesso modo gli insegnanti organizzano la maggior parte delle attività didattiche in forma di gioco proprio per questo, per la motivazione fortissima che il gioco porta con sé e quindi il problema sarà anche degli insegnanti di ricostruire una didattica con modalità di gioco però avendo il vincolo dei banchi separati e della distanza».

«La cosa bella – riprende Tosi – è che quando il bambino impara a leggere il terreno di gioco, lo spazio fisico, lui sta preparandosi a una seconda lettura che è quella del territorio come spazio sociale. Un bambino che sa giocare, che sa interpretare il luogo dove sta, è un bambino che saprà – più grande, cresciuto – stare nella relazione sociale con il territorio a cui appartiene. Quindi è propedeutico a una partecipazione, è un bambino che fa un’esperienza fisica oggi e civica domani, si prepara a stare nel suo territorio. Per questo ritornare alla tridimensionalità dell’esperienza è importante, per questo gli adulti devono rischiare quella sua libertà di interpretare, quindi devono perdere il controllo sul bambino e permettergli di fare questa sperimentazione, questa ricerca, questa esperienza che lo porta a comprendere anche con prove ed errori quella che è la sua capacità di governo dello spazio in cui vive».

«La lettura animata e l’arte giocata possono essere funzionali alla distanza – spiega anche Catia Castellani, perché lo spazio fisico è immaginato quindi noi possiamo fare delle cose nella giusta distanza». Castellani, che insegna disegno e storia dell’arte a La Spezia di sé dice che «si occupa di gatti, alberi, segni, parole, persone speciali, silenzio, gioco, utopia, boschi, cuore e rivoluzione». Nei mesi a cavallo della pandemia  ha lavorato anche con la lettura animata con un gruppo di ragazzi in difficoltà della sua scuola. «La definizione di arte giocata l’ho appresa grazie all’incontro con Bruno Munari, partiamo dal presupposto che il gioco è una cosa seria, con il gioco immaginiamo il mondo e quindi si parte da lì. E il gioco è la possibilità di poter vedere tutto da un altro punto di vista e quindi anche le forme, i segni, gli oggetti, possiamo rimanipolarli, riguardarli anche da un altro punto di vista e diventano sempre una storia diversa che non ha mai un inizio e mai una fine perché cambia e si integra con quello che incontra di volta in volta. Munari diceva “se noi guardiamo un legno non fermiamoci solo a quello che ci appare” allora se questo legnetto lo guardiamo in questo modo può essere un animale feroce con una bocca aperta ma se lo capovolgiamo può essere un veliero bellissimo che solca mari impossibili, se lo mettiamo in alto può essere un ramo di un albero o un albero senza foglie e quindi partendo da questo presupposto si incominciano a narrare storie e i bambini lo sanno fare benissimo.

Credo che sia dentro le cose riscoprire anche i tempi lenti dei bambini che spesso sono spinti dentro l’accelerazione del fare. Allora anche in questa situazione di difficoltà della relazione fermarci nei tempi lenti del gioco è una grossa opportunità». I laboratori di arte giocata come quelli di lettura animata sono condivisi, «ognuno mette il proprio segno», continua Castellani raccontando esperienze di lettura animata davanti alla telecamera. «Ho una grande valigia da teatro dentro la quale ci sono tantissime forme destrutturate, come usava dire Bruno Munari ma anche Rodari, pezzi di carta, ritagli, piccoli oggetti ma anche tante piccole storie che i bambini hanno depositato dentro questa valigia.  C’è un coinvolgimento, quasi una piccola piece teatrale dove tutti poi si scambiano i soggetti della storia e poi alla fine di questa lettura animata i bambini creano dei libricini, a fisarmonica, con i buchi, fatto a scatola, libricini portatili che si mettono in tasca così al bisogno quando uno è a fare la spesa con sua madre, oppure in treno che si annoia, tira fuori il libricino magico e ricomincia a ripartire con questa lettura che è stata animata assieme ad altri bambini».

«Quando noi giochiamo rimettiamo in gioco tutte le dimensioni dell’esistenza- avverte Tosi – nella vita noi proviamo la gioia ma anche il dolore, il gioco è ludico quindi è piacevole, è leggero ma richiama in un cerchio magico tutte le dimensioni dell’esistenza. Nella campana, uno dei giochi più semplici, le linee tracciate per terra portano dalla partenza al paradiso, quindi fanno attraversare la vita. Nel saltare, se si tocca l linea la parola è “brucio”, il bambino brucia se tocca la linea, mette a rischio la sua capacità di governare lo spazio e di governare la sua presenza in quello spazio, per cui il bambino sta facendo la sua esperienza che nella vita quotidiana non ha una pericolosità ma nella vita emotiva, nella vita spirituale del bambino ha invece un’importanza costitutiva perché lo guida a fare tutte le esperienze che nella vita ci sono, anche il dolore, anche la perdita, e quindi è importante ridare al bambino l’occasione di giocare».

 

 

 

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