Omicidio di Willy, la nota influencer si associa alla denuncia della “cultura fascista” ma il filo diretto di Radio3 inventa il fenomeno delle aggressioni alla polizia
Apprendiamo da Repubblica che la nota influencer Chiara Ferragni ha appena condiviso, con i 20 milioni di follower che ha su Instagram, una spiegazione dell’omicidio di Willy Monteiro pubblicata dal profilo Instagram @spaghettipolitics (Wtf Is Going On In Italy? To learn and understand what the fuck is going on in Italy and in the world 🇮🇹🌎🍝in 🇮🇹 and 🇬🇧, le notizie principali dell’Italia in italiano e inglese). “Due giorni fa è stato ucciso Willy Monteiro, italiano 21enne dalla pelle nera”, si legge, “da un gruppi di quattro fasci che l’hanno ammazzato a calci.” Per Repubblica «sono parole straordinariamente radicali per i suoi standard, quelle condivise dall’imprenditrice»: “Il problema lo risolvi cambiando e cancellando la cultura fascista e sempre resistente in questo paese, non cancellando il mezzo tramite il cui i fasci hanno fatto violenza. Il problema non lo risolve nascondendolo sotto al tappeto, lo si risolve con la cultura e l’istruzione”.
E così era intervenuto ieri Lapo Elkann, sul suo profilo twitter, sempre a proposito del delitto di Colleferro stigmatizzando gli haters razzisti accorsi a sostegno dei quattro picchiatori. «’Solo un immigrato’, ‘scimpanzé’. Per Willy Monteiro dobbiamo far sentire la nostra voce. In Italia non c’è spazio per razzisti e fascisti. Qualcuno da tempo soffia sul disagio e strizza l’occhio ai più violenti. Parlo a voi leader, Siate uomini. Fermatevi».
Due simboli della frivolezza della jet society che non temono di chiamare per nome il razzismo e il fascismo di cui il linciaggio di Colleferro sono l’ennesima espressione in un Paese in cui l’ex ministro degli Interni si fa fotografare accanto a simboli nazisti e con pluripregiudicati per reati di odio. E un Paese in cui il servizio pubblico radiofonico, il giorno appresso all’omicidio di Willy ha dedicato un filo diretto (Tutta la città ne parla di Radio3, lunedì 7 settembre) scegliendo una chiave, come dire, intimista se non riluttante: “troppa droga, troppo alcol, troppo vuoto in queste notti dove il disagio giovanile prende spesso la forma di una violenza incontrollata”. Come se la violenza non fosse da contestualizzare. Ma la ciliegina su una torta lacrimosa è stata sconcertante, a intervenire è stato chiamato Giordano Biserni, presidente dell’Asaps, associazione sostenitori e amici della polizia stradale, per riferire i dati dell’osservatorio “Sbirri pikkiati”. Tra le malefatte di uno dei picchiatori c’è anche l’aggressione a un vigile urbano. A stare a sentire l’amico della stradale viene fuori che, nel lockdown, sarebbero aumentati del 20,6% i casi di aggressione nei confronti di vigili, agenti e carabinieri. 1414 attacchi refertati, «8 attacchi al giorno, uno ogni 3 ore», contava l’amico della stradale lamentandosi di quanto fosse «in picchiata il concetto di autorità e di autorevolezza». Un festival di luoghi comuni in cui non poteva mancare l’idea che in Italia nessuno pagherebbe il conto, che le forze dell’ordine sarebbero «sempre meno tutelate e che il 40% di quelle aggressioni verrebbero da migranti».
Una maniera eccentrica, e certo depistante, di leggere un omicidio feroce che nasce dentro il dilatarsi di un senso comune sempre più razzistoide, elementare, violento. Ossia fascista, ossia la stessa subcultura egemone in vasti settori di forze armate e forze dell’ordine stando alle esternazioni di singoli uomini in divisa e di parecchi sindacati e sindacatini di categoria. E alla luce delle risultanze dei processi di “malapolizia”: da quelli genovesi (Diaz, Bolzaneto, Giuliani ecc…) fino ai processi Aldrovandi e Cucchi da cui quella estraneità ai valori costituzionali emerge con forza dal contegno e dall’operato del personale coinvolto e di chi lo difende a spada tratta nelle stanze dei bottoni o nelle aule parlamentari. Anche l’Osservatorio Repressione e Acad, l’associazione contro gli abusi in divisa, hanno documentato un aumento esponenziale, durante questa emergenza, delle segnalazioni degli abusi da parte di sceriffi di ogni ordine e grado. Lo stesso accade in altri paesi dove prendono corpo progetti per disarmare e definanziare le polizie.
Ora, della penetrazione di note organizzazioni filantropiche come Casapound nella galassia delle arti marziali, in particolare delle MMA (la disciplina in cui si distinguono almeno due degli aggressori di Willy) si sa da tempo, così come si sa dello strabismo e dell’inaffidabilità delle statistiche sulle violenze sulla polizia, della facilità nel farsi refertare, dell’uso di quei referti per supportare denunce di resistenza contro malcapitati che quasi sempre hanno la peggio dal confronto con persone armate e in divisa, della retorica sui servitori dello stato malpagati e incompresi convinti di fare il “lavoro sporco” a nome e per conto della cittadinanza. Bulli con o senza la divisa. Le vittime sono altre: sono i morti, le loro famiglie, i territori sconvolti dalle scorribande delle squadracce, delle ronde, dei bulli, dei racket. E la violenza ha correlazioni precise con il contesto in cui si manifesta. Un servizio pubblico radio televisivo dovrebbe servire a comprendere quelle correlazioni. Invece, stavolta, le hanno capite meglio gli influencer.