Cucchi, processo per i depistaggi. Il generale Luongo: «Sapevo che c’erano due annotazioni a firma di un carabiniere e due a firma di un altro. Io non vidi nessun atto»
«Mentre i Generali sfllano in udienza nel tentativo di giustificare, oltre ogni evidenza, il loro operato io non posso non pensare che 11 anni fa queste erano le ultime ore di vita di mio fratello. Domani all’alba, di 11 anni fa, Stefano è morto, nell’indifferenza generale di tutti coloro che lo hanno visto nei giorni del suo calvario. E nel quieto vivere di chi sapeva e non ha avuto il coraggio di parlare allora finché si era in tempo, forse, per poterlo salvare», così ha scritto Ilaria Cucchi dopo l’udienza fiume nell’aula bunker di Rebibbia, dove si sta tenendo il processo per il depistaggio alle indagini sulla morte di Stefano Cucchi. Dalle 10 alle 17, il generale dell’Arma dei carabinieri Raffaele Luongo, che all’epoca dei fatti era comandante provinciale dei carabinieri di Roma, ha ricostruito la vicenda vista dalla sua posizione di comandante. Otto dei carabinieri del suo Provinciale sono indagati a vario titolo per falso, favoreggiamento, omessa denuncia e calunnia relativamente a presunti depistaggi per tentare di nascondere le vere cause che portarono alla morte, sette giorni dopo l’arresto del 15 ottobre 2009, il 31enne romano.
Punto focale del processo sono, in questa fase del dibattimento, le doppie annotazioni di due dei carabinieri coinvolti e, di conseguenza, di due presunti atti falsi. L’ufficiale ha riferito di non averli visti materialmente e che se ciò fosse avvenuto, lo avrebbe segnalato all’autorità giudiziaria. Del resto lui era comandante nel 2015 quando la procura chiese di acquisire gli atti della vicenda che riguardava due compagnie, Montesacro e Casilina, e di aver messo insieme tutta la documentazione richiesta sottolineando che il loro «non era un incarico investigativo».
Luongo, ora a capo dell’ufficio legislativo del ministero della Difesa, all’epoca dei fatti era comandante provinciale dei carabinieri di Roma. «Noi non avevamo un compito investigativo – ha sottolineato Luongo – noi dovevamo mettere a disposizione della procura il materiale trovato. Le valutazioni spettavano a chi svolgeva le indagini. Ritenevo che il nostro lavoro fosse stato fatto bene. Avremmo potuto non trovare tutto». «Avevo ricevuto questa richiesta dal procuratore Pignatone e affidai l’esecuzione di questa attività – ha spiegato in aula il generale rispondendo alle domande del pm Giovanni Musarò – all’allora comandante del reparto operativo Sabatino. Era il mio braccio destro operativo, era la persona secondo me più adatta per coordinare questa attività, preciso e affidabile. Quando affidai questa attività, Sabatino venne da me e condividemmo le modalità: fare richiesta specifica a ogni comandante di compagnia per responsabilizzarli. Il capitano Testarmata venne incaricato a garanzia che le procedure fossero corrette». A fine attività «dissi a Sabatino di preparare una nota con i dettagli a sua firma e una a mia firma con cui trasmettere gli atti al procuratore». Prima che gli atti venissero consegnati nell’ufficio del procuratore «mi accertai che ci fosse corrispondenza con gli atti richiesti dal pm», ha spiegato. «Sabatino disse che a Tor Sapienza c’erano quattro annotazioni quasi identiche che avevano la stessa data ma si differenziavano in alcune parti. Mi raccomandai che tutto venisse trasmesso», ha detto. «Non affrontammo questa questione nel tecnicismo – ha proseguito Luongo – non entrai nel merito. Sapevo che c’erano due annotazioni a firma di un carabiniere e due a firma di un altro. Io non vidi nessun atto». E ha aggiunto: «Se mi ne fossi accorto di un falso avrei dovuto comunicarlo alla scala gerarchica e avrei dato detto al comandante del reparto operativo di fare un’annotazione da mandare all’autorità giudiziaria».
Per la terza udienza di fila salta la deposizione di Maria Rosati, moglie di Riccardo Casamassima, i due le cui testimonianze, hanno permesso di aprire uno squarcio sulla vicenda Cucchi. Prossima udienza fissata per il 28 ottobre.