Marco Bersani del Cadtm: le contraddizioni di Sassoli, l’urgenza di cambiare modello. Appuntamento sabato 21, nelle piazze e sul web
Cancellazione dei debiti accumulati dai governi per rispondere al Covid, Eurobond permanenti, nuovo Mes gestito direttamente dalle istituzioni europee e riforma dei trattati per eliminare il diritto di veto dei singoli stati in tutti gli ambiti della politica dell’Unione. La ricetta anticrisi che il presidente dell’Europarlamento, David Sassoli (Pd), ha illustrato in un’intervista al quotidiano la Repubblica non è nulla di rivoluzionario. Lui stesso la precisa in relazione al dogma dell’austerità: cancellare i debiti contratti dai governi per rispondere al Covid “è un’ipotesi di lavoro interessante, da conciliare con il principio cardine della sostenibilità del debito” ma quelle parole hanno sollevato un discreto vespaio anche nel suo mondo, da Bonomi, capo di Confindustria, a Gentiloni commissario Ue per agli Affari economici, e fino al vicepresidente della Bce Luis de Guindos, hanno detto con accenti diversi che non è il caso, che non ci sarebbero le basi giuridiche ecc…
Tuttavia «le contraddizioni sistemiche, finalmente, toccano anche i livelli alti, a livello europo. Ovviamente, chi rappresenta questi livelli alti si avvita su se stesso – dice a Popoffquotidiano, Marco Bersani di Attac Italia e di Cadtm, il comitato per l’annullamento del debito – per cui non potendo affrontare strutturalmente il problema del debito e il problema dei vincoli finanziari tira fuori ossimori per cui da una parte dice “bisogna cancellare il debito” e dall’altra dice “però i Paesi devono garantire la sostenibilità del debito”. Ovviamente le due cose sono in contraddizione, segnalano solo il fatto che, dopo la crisi pandemica e dentro la crisi climatica e sociale, l’unica strada possibile è quella di una svolta radicale. O la si fa fino in fondo oppure si rischia di fare del chiacchiericcio che alla fine non ha nemmeno un senso logico». Secondo Bersani, Sassoli dice, «giustamente, che la Bce deve essere trasformata in una banca centrale pubblica, dice giustamente che il debito contratto in seguito all’emergenza Covid va cancellato. Noi diciamo che il passo conseguente è che dovrebbe dire anche “guardate, da Maastricht in avanti, abbiamo sbagliato tutto e quindi dobbiamo rimettere in discussione tutto per intraprendere un’altra strada. Cosa che ovviamente Sassoli non può fare e finisce per avvitarsi su sé stesso».
Insomma è una piccola crepa dentro un inseguimento dell’insostenibile normalità di prima della pandemia da parte del ceto politico dirigente in Italia e in Europa. Eppure nella prima ondata s’erano aperti molti osservatori politici e sociali a partire dall’evidenza che nulla potesse tornare a essere come prima. Nell’intervallo tra la prima e la seconda ondata l’ansia di normalità è diventata spasmodica per poi schiantarsi sulla montagna di morti, di ricoveri e contagi, sull’evidenza di aree di disperazione e miseria sempre più vaste.
E’ possibile, in questo contesto, che si divarichi quella crepa e riprenda a discutere a livello di massa di alternative possibili? Bersani crede di sì, «perché cinque mesi e 120 miliardi dopo (perché non va mai dimenticato che il governo ha speso quella cifra per farci ritrovare, come nel gioco dell’oca, al punto di partenza) siamo nel pieno dell’emergenza ma nel frattempo abbiamo inseguito, con quei soldi, la narrazione proposta da Confindustria del rilancio dell’economia a prescindere. Oggi la dimostrazione è ancora più evidente del fallimento dell’idea che le faglie aperte dalla pandemia si possano rapidamente richiudere e ricominciare tutto come prima, allora proprio in questo momento è fondamentale che, dal basso, quelle faglie divengano fratture sistemiche. Occorre che tutti quanti si rendano conto e comincino a mobilitarsi per dire che la pandemia non è stata un episodio ma la dimostrazione dell’insostenibilità di questo modello capitalistico. Quindi non solo bisogna difendere i diritti, ma bisogna cominciare a mettere in campo un’alternativa di società. Noi la chiamiamo la “società della cura”, di sé, dell’altro, del pianeta, che antepone il noi alla solitudine competitiva. Prima la cura, insomma, e poi viene la produzione. Non possiamo più pensarci in una gigantesca Taranto, come sta avvenendo adesso, dove le persone sono costrette a scegliere la salute e non avere il reddito oppure scegliere il reddito, nel senso di essere costretti a lavorare, ma a dispetto della salute. Una dicotomia non più accettabile, non possiamo continuare a vivere in una società che quotidianamente pretende una dimensione alienante per ogni persona in cui diritti e bisogni vengono messi uno contro l’altro. Ogni persona ha diritto a tutto, reddito, salute, cura. Abbiamo bisogno di una società che ragioni».
Il Manifesto “Per la società della cura” è un percorso nato durante il lockdown, coinvolgendo gruppi, associazioni, reti sociali co l’obiettivo di «non sprecare le lezioni della pandemia, affrontare il collasso climatico e l’ingiustizia sociale ripudiando la gerarchia di valori e poteri che governa il mondo». Oltre al Manifesto valoriale, la rete sta raccogliendo le priorità concrete per un proprio“Recovery plan”, un processo permanente. Una prima giornata di mobilitazione nazionale – nel pieno rispetto delle norme anti-contagio – il 21 novembre con queste parole d’ordine: Reddito e aiuti per tutt* / Sicurezza in tutti i luoghi di lavoro e di cura / Investimenti e assunzioni per sanità, scuola, sociale, accoglienza, casa, trasporti / Un grande piano a tutela di salute, vita, beni comuni e territorio.
A Roma si scenderà in piazza al mattino, qui tutti gli appuntamenti aggiornati. Il Coordinamento Nazionale per il Diritto alla Salute, che aveva in programma la sua manifestazione sulla sanità a ottobre, la farà dentro quella di convergenza, a fianco di tante altre vertenze e soggetti: «nessuno rinuncia o annacqua i suoi contenuti – li mette insieme a tanti altri e altre», aggiunge Bersani.
Passaggio successivo alla manifestazione del 21 sarà, per questa rete molto ampia, la costruzione di una piattaforma della Società della cura di rivendicazioni da recapitare a tutte le istituzioni «attraverso mobilitazioni dal basso e azioni comuni – conclude Bersani – tenendo conto dei limiti alla libertà di movimento a causa dell’emergenza. L’obiettivo è dire non solo che ci siamo ma indicare cosa fare, dove prendere le risorse e quali diritti vanno garantiti in modo che si ragioni su un grande piano di riconversione ecologica, sociale, culturale, democratica, della società. Poi democraticamente decideremo insieme come andare avanti».