La Molisana lancia le Abissine rigate, un tipo di pasta che rievoca il passato coloniale. Bufera in rete, poi l’impegno a «revisionare il nome»
«Ci scusiamo per il riferimento riguardante il formato di pasta ‘Abissine rigate’ che ha rievocato in maniera inaccettabile una pagina drammatica della storia». Così, all’ANSA, i responsabili del pastificio ‘La Molisana’ di Campobasso. «Cancellare l’errore non è possibile, ci impegniamo a revisionare il nome del formato in questione attingendo alla sua forma naturale».
Le ‘Abissine rigate’ sono finite sotto i riflettori della critica per la descrizione fornita dal sito dell’azienda che «riporta a tempi passati», dice sobriamente l’ANSA. Io avrei scelto parole diverse, tipo “Che esalta il sapore del passato coloniale e fascista di questo paese. Un passato fatto di genocidi di popolazioni civili, usurpazione delle terre e delle risorse, guerra, leggi razziali, privazione delle libertà politiche, collusione con le gerarchie vaticane, confindustriali e con altri regimi ugualmente feroci”.
Torniamo alle abissine rigate: poche parole dal sapore ‘littorio’ in un contesto più ampio, che non sono passate inosservate sollevando polemiche. Un post su Facebook del giornalista Niccolò Vecchia, conduttore del programma ‘C’è di Buono su Radio Popolare’. «Sul sito dell’azienda parlano di un ‘formato dal nome che è già storytelling… Negli anni Trenta l’Italia celebra la stagione del colonialismo con nuovi formati di pasta: Tripoline, Bengasine, Assabesi e Abissine. La pasta di semola diventa elemento aggregante? Perché no!… Di sicuro sapore littorio, il nome delle Abissine Rigate all’estero si trasforma in ‘shells’, ovvero conchiglie». Scheda descrittiva del prodotto immediatamente cambiata dall’azienda che ha riconosciuto l’errore probabilmente riconducibile ad una ‘svista’ da parte dell’agenzia di comunicazione. «Per chi conosce la storia della famiglia titolare del Pastificio ‘La Molisanà – commenta all’ANSA Michele Petraroia dell’Anpi Molise – non possono sorgere incomprensioni su un tema così delicato. I nazifascisti ritirandosi da Campobasso distrussero la loro azienda e nel dopoguerra come spesso ricordava l’on. Alfredo Marraffini del Pci, il capostipite della famiglia Ferro partecipava alle sottoscrizioni della Festa de L’Unità. In tutti i casi è opportuno che ‘La Molisana’ chiarisca, se necessario anche in modo più fermo, la propria totale estraneità ad ogni riferimento col fascismo».
Il chiarimento, così pare, è avvenuto ma con uno strascico di polemiche in rete. Prevedibile, e sacrosanta, l’indignazione negli ambiti dell’antifascismo e dell’antirazzismo. Gli stessi in cui è maturata una coscienza anticolonialista in simultanea con i movimenti di massa che, in Usa, Regno Unito e Francia, soprattutto, hanno abbattuto statue di trafficanti di schiavi e altri simboli del colonialismo. In molti, invece, hanno provato a smorzare la polemica salutando «l’eccellenza italiana» declassando l’orrore per il colonialismo (l’Italia fu la prima a usare i gas contro i civili proprio nel Corno d’Africa) a ossessione del politically correct. Un noto sito per gourmet spendaccioni intima di chiedere scusa al pastificio. I toni dei giustificazionisti hanno ricordato molto le castronerie scritte e dette quando le menti e i cuori di persone simili furono scosse da una secchiata di vernice sulla statua di un famoso pennivendolo sospettato di pedofilia e inventore della retorica sugli “italiani brava gente”. Esulta la destra sedicente sociale, “Usano grano Italiano. Danno lavoro in Italia (Flag of Italy). Non Rinnegano la storia”. Si legge seguendo l’hashtag #lamolisana. Il tema che in fondo la Molisana dà lavoro si legge anche su commenti sicuramente non provenienti da fascisti. Nessuno suggerisce che potrebbero essere proprio quei lavoratori, e i loro sindacati, a rifiutarsi di impacchettare porcherie dal sapore littorio.
Noi, come Alessio Lega, cantautore libertario, lanciamo la palla avanti: «Facciamo un passo avanti rispetto alla Molisana, proponiamo nuovi formati di pasta che celebrano i fasti democratici: i manganelli al ragù di piazza, le celerine ai pomodori schiacciati, i camioncini alla genovese con crema di estintore… E per portare sempre nel cuore gli anni d’oro del Boom (no, non quello del ’63, ma quello delle bombe del ’69) finestrelle alla calabresi, a dispetto del nome una specialità meneghina».