Col Recovery Plan l’Unione europea tenta di riproporre la gabbia liberista. La Società della Cura prova a forzare quella gabbia
“Per il raggiungimento degli obiettivi citati è indispensabile accompagnare i progetti di investimento con un’azione di riforma che rafforzi e affianchi la governance del servizio idrico integrato, affidando il servizio a gestori efficienti nelle aree del paese in cui questo non è ancora avvenuto e, ove necessario, affiancando gli enti interessati con adeguate capacità industriali per la messa a terra degli interventi programmati”. Parola del PNNR, Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, meglio conosciuto come Recovery Plan.
Ha spiegato Marco Bersani di Attac che «per affrontare adeguatamente la discussione sul PNNR, occorre collocarlo nel contesto più complessivo dell’Unione Europea in questa fase». Altrimenti «si rischia di credere alla narrazione mainstream di un’Unione europea improvvisamente passata dall’austerità a politiche economiche espansive, e all’arrivo di un bastimento carico di miliardi, rispetto ai quali occorre solo deciderne la destinazione». Bersani ha parlato venerdì scorso in una riunione ad hoc della Società della cura, la coalizione intorno al manifesto frutto di un percorso nato durante il lockdown, tra gruppi, associazioni, reti sociali con l’obiettivo di «non sprecare le lezioni della pandemia, affrontare il collasso climatico e l’ingiustizia sociale ripudiando la gerarchia di valori e poteri che governa il mondo».
Una discussione quanto mai urgente che prova a incunearsi nella fase in cui si appronta la destinazione di ingenti quantitativi di denaro e debito che condizionerà il futuro di questo paese. Per esempio sul MES, il Meccanismo Europeo di Stabilità, che mette a disposizione un fondo per le spese sanitarie (per l’Italia, sono 36 miliardi).
«I 36 miliardi del Mes non sono risorse aggiuntive – ripete Bersani – il Mes è una delle modalità di reperimento di risorse per coprire le spese previste nel comparto sanitario, spese già approvate con la legge di bilancio, e il cui ammontare è indipendente dalle modalità con cui le si finanzia. Non ci sono 36 miliardi in più, c’è solo la possibilità di finanziare una parte della spesa deliberata per il Servizio Sanitario Nazionale (121,37 mld per il 2021) attraverso il Mes, invece che con l’ordinaria emissione di titoli di Stato. Il “vantaggio” sarebbe nei tassi di interesse leggermente inferiori per quella parte; lo svantaggio, ben più considerevole, sono le condizionalità (leggi: politiche di austerità), inscritte nel Trattato e mai modificate, nonostante le dichiarazioni del Gentiloni di turno».
Per esempio il Next Generation Ue, una serie di fondi europei con in testa il cosiddetto Recovery Fund. Il governo ha approvato il Recovery Plan, ovvero l’insieme dei progetti per accedere a questi fondi. Spiega Bersani che «la prima cosa da sottolineare è che, mentre i fondi assegnati all’Italia corrispondono a 196,5 miliardi, il governo ha predisposto un piano per 209,9 miliardi. Di questa cifra, 68,9 mld sono trasferimenti e 141 sono prestiti. Sono tutte risorse aggiuntive? No, le risorse aggiuntive sono i 68,9 mld di trasferimenti e 53,5 della quota prestiti, perché gli altri 87,5 mld di quota prestiti vanno a coprire spese già deliberate (cambia solo, come per il Mes, la modalità di finanziamento). Risultato: non stanno arrivando 209,9 miliardi, ma solo 122,4 mld (di cui 68,9 senza interessi e 53,5 con tassi d’interesse leggermente inferiori) nell’arco di un periodo di sei anni (2021-2026). Si tratta dunque di 20 miliardi all’anno e anche questi soggetti alle “Raccomandazioni Ue specifiche per paese”, ovvero le cosiddette “riforme strutturali” liberiste, che, proprio in questi giorni, vengono costantemente ricordate come adempimenti obbligatori per poter ottenere i fondi assegnati». E’ in questo senso che va letta la citazione nell’attacco di questo articolo, uno schiaffo alla volontà referendaria espressa dieci anni fa da una schiacciante maggioranza, 27 milioni di Sì, su cui una forza al governo ormai da tre anni, M5s, ha costruito buona parte delle sue fortune elettorali ma l’ha presa a schiaffi in faccia sia dalle istituzioni romane – governo e parlamento – sia dalle giunte locali in cui comanda, Roma e Torino in primo luogo.
Anche il Forum Italiano dei movimenti per l’acqua legge la cosiddetta “riforma” del settore idrico contenuta nel Recovery Plan come una strategia di rilancio dei processi di privatizzazione «che si incentra sull’allargamento del territorio di competenza di alcune grandi aziende multiservizio quotate in Borsa che gestiscono i fondamentali servizi pubblici a rete (acqua, rifiuti, luce e gas) assumendo un ruolo monopolistico in dimensioni territoriali significativamente ampie. Nello specifico, il Sud Italia viene individuato come la “nuova frontiera” per l’espansione di questa tipologia di aziende che di norma vengono identificate come gestori “efficienti” ma che in realtà risultano tali solo nel garantire la massimizzazione dei profitti mediante processi finanziari», spiegano al Forum sottolineando che i 4 mld di investimenti aggiuntivi dedicati alla risorsa idrica e agli interventi per il riassetto idrogeologico sono del tutto insufficienti. I movimenti per l’acqua rilanciano la vertenza per la ripubblicizzazione del servizio idrico proponendo un grande piano nazionale per investire su reti idriche-fognatura-depurazione e per contrastare il dissesto idrogeologico con investimenti pubblici da finanziare col Recovery Plan e con l’applicazione più onerosa del principio “chi inquina paga”; aggiungendo una quota ad hoc del canone di concessione per il prelievo delle acque minerali e di sorgente destinate all’imbottigliamento; ovviamente con la patrimoniale e con l’eliminazione dei sussidi ambientalmente dannosi (SAD).
Insomma, solo l’esempio sull’acqua, ma potremmo farlo anche sul Tav, dimostra come l’Unione europea non ha cambiato pelle ma sta solo pensando di ripristinare la “normalità”, allentando appena i vincoli per contrastare la pandemia e rilanciare l’economia, «in attesa di ripristinarli non appena l’emergenza sarà stata superata», chiarisce Bersani che è anche uno degli animatori del Cadtm Italia, il Comitato per l’annullamento del debito. Patto di stabilità, pareggio di bilancio e fiscal compact, infatti, sono stati solo sospesi fino al 2022. La Società della Cura prova a impostare la battaglia sul Recovery Plan dentro una strategia più ampia che rompa la gabbia liberista dell’Ue agendo sulla trappola del debito, rivendicando che la Bce diventi una banca centrale a tutti gli effetti (è un caso unico al mondo a essere indipendente dagli stati), cancellando gli accordi di Maastricht per costruire dal basso un nuovo patto costituente fra i popoli dell’Europa.
Prima della pandemia, dei 2.400 miliardi di debito pubblico italiano, solo 266 corrispondevano a spesa in deficit, il resto era frutto del sistema perverso degli interessi sul debito, per i quali attualmente paghiamo 60 miliardi all’anno. Si tratta della terza voce di bilancio, dopo sanità e previdenza. «Rivendichiamo la cancellazione del debito (le forme tecniche esistono) accumulato per le spese necessarie al contrasto della crisi prodotta dalla pandemia e occorre rivendicare il principio giuridico delle “circostanze significativamente mutate” per applicare una drastica riduzione degli interessi sul debito storicamente contratto», spiega Bersani citando una recente sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea.
«Se la Bce divenisse una banca centrale a tutti gli effetti, non ci sarebbe alcun bisogno di inventare meccanismi come il Recovery Fund, il Mes e quant’altro, poiché sarebbe la Banca Centrale Europea stessa a garantire il debito degli Stati membri», ha ricordato Bersani. «Il Recovery plan è costruito intorno all’idea che la pandemia sia un incidente di percorso, un evento esogeno al modello socio-economico, un accadimento estraneo, superato il quale il sistema potrà riprendere il proprio ordinario cammino. E’ figlio della cultura liberista, basata sull’idea della trinità religiosa di competitività-concorrenza-crescita e sull’assunto che il benessere della società si fondi sul benessere delle imprese. E’ un piano – conclude Bersani – che prova a stabilizzare e rivitalizzare il modello economico-sociale sui filoni dell’innovazione digitale e degli investimenti nel settore ambientale, prefigurando così una nuova fase di capitalismo digitale e verde».
Ma la pandemia è tutt’altro che un incidente di percorso e una lettura del Recovery Plan su queste premesse è la sfida di chi ha l’ambizione di lavorare per “la società della cura” che prova a crescere nella convergenza delle esperienze necessaria per avviare un’ampia mobilitazione sociale.
La riunione di venerdì scorso ha avviato il lavoro verso la costruzione collettiva della nostra alternativa al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza: «scriveremo insieme il Piano Nazionale di Transizione verso la società della cura – il nostro Recovery PlanET – spiegano i promotori – non ci costringeremo a lavorare dentro le gabbie dei fondi del PNRR: indicheremo invece quali sono per noi i primi passi necessari e indispensabili per cambiare radicalmente rotta. E useremo ovviamente tutti i materiali e le idee che già tante reti, organizzazioni e movimenti hanno già prodotto e stanno producendo. La prossima plenaria è in programma per venerdì prossimo, 29 gennaio alle 17:30. Intanto, fino al 10 febbraio, si realizzerà, a livello nazionale e sui territori, il lavoro tematico con l’obiettivo di produrre proposte su Approccio di genere; Agricoltura e allevamento; Ambiente, energia, rifiuti, acqua, dissesto idrogeologico; Debito; Democrazia e autonomia differenziata; Digitalizzazione; Infrastrutture sociali, politiche sociali, welfare, terzo settore; Lavoro; Migrazioni; Pace, disarmo, giustizia globale; Salute; Scuola, formazione, ricerca e cultura; Territori, città, aree interne, abitare, turismo; Trasporti.