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Cucchi, al processo si cerca l’origine dei depistaggi

Il processo sui depistaggi prova a mettere a fuoco le fasi in cui è scattata la macchina del fango contro la vittima e la famiglia Cucchi

Mentre l’ineffabile Giovanardi continua a battersi dalle colonne di un noto quotidiano di estrema destra per contraddire le evidenze del processo sull’omicidio di Stefano Cucchi, al processo scaturito da quello – sui depistaggi e gli insabbiamenti della catena di comando dei carabinieri a proposito del pestaggio che portò alla morte del detenuto – Giovanni Musarò, il pm di Roma, ha interrogato il generale Casarsa, all’epoca colonnello comandante del Gruppo di Roma e imputato assieme ad altri sette carabinieri. In diretta dall’aula bunker di Rebibbia, Ilaria Cucchi ha annotato su fb che quell’interrogatorio «sta portando alla luce non solo l’origine dei depistaggi delle indagini ma anche della macchina del fango contro Stefano ed i miei genitori quando, fin da subito dopo la sua uccisione, è stato definito in atti ufficiali firmati dall’alto ufficiale, tossicodipendente in fase avanzata, anoressico e sieropositivo».

Il copione di oggi non sembra scostarsi da quello delle udienze precedenti. «Il Generale Casarsa non è in grado di spiegare l’origine di queste informazioni. E comunque secondo lui è tutta colpa del Colonnello Cavallo. Che triste spettacolo. Quanta rabbia che provo. Quanto dolore inflitto a tutti noi. Quanta arroganza impunita», ha scritto la sorella di Stefano.

«Non ho mai dato indicazioni di aggiungere o modificare le relazioni – ha detto Casarsa – ho iniziato a occuparmi della vicenda di Stefano Cucchi la mattina del 27 ottobre quando ho ricevuto la disposizione da parte di Vittorio Tomasone (all’epoca numero uno del Comando provinciale di Roma) che mi chiamò e mi chiese di raccogliere le relazioni di servizio dei militari che, a vario titolo, avevano avuto a che fare con il detenuto. Serviva ricostruire la filiera degli eventi, capire cosa era successo nelle varie fasi». Casarsa ha fatto riferimento alle annotazioni di servizio degli appuntati Francesco Di Sano e Gianluca Colicchio in servizio, nell’ottobre del 2009, alla stazione di Tor Sapienza dove Cucchi fu trattenuto nella camera di sicurezza. «Sia tramite Francesco Cavallo – ha aggiunto Casarsa – che tramite i comandanti chiesi le relazioni ai militari che avevano avuto contatto con Cucchi senza indicare da quale momento non ho dato termini temporali, a me serviva ricostruire l’evento. Noi volevamo ripercorrere tutti i passaggi che c’erano stati per poi fare una relazione da inviare al comando provinciale. Non sapevo che c’era un’interrogazione parlamentare», ha ribattuto Casarsa quando Musarò cita l’agenzia Ansa uscita subito dopo la morte di Cucchi nella quale Patrizio Gonnella di Antigone e l’allora senatore Manconi affermavano che Cucchi arrivò segnato alla udienza di convalida dell’arresto. «Ricordo la vicenda Marrazzo con il trasferimento di un intero reparto. Il fatto che ci fossero stati degli arresti era doloroso ma non c’era fibrillazione», ha insisito l’imputato a proposito del clima nell’Arma di Roma con l’arresto dei carabinieri per la vicenda dell’allora governatore Piero Marazzo e con le notizie sul caso Cucchi.

«Dopo la richiesta di Tomasone ho detto a Soligo di farsi dire quello che era successo. Non ho mai dato indicazioni sui contenuti, non scendevo nel dettaglio delle relazioni, io ho preso atto del loro contenuto solo quando le ho trasmesso al comando provinciale. Dissi che non mi servivano considerazioni mediche, le avremmo acquisite dal 118 ma sapere cosa avevano fatto i nostri militari. A me interessavano i fatti e non i riferiti, ho dato solo indicazioni sui principi guida», ha concluso Casarsa.

Prossima udienza l’11 marzo.

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