Lo sguardo femminile di Zehra Dogan riscrive il mito di Danae. A Villa Brandolini di Treviso la mostra Danae Revisited [Eliana Como]
La Fondazione Francesco Fabbri di Pieve di Soligo, in provincia di Treviso, ha riaperto le porte al pubblico, negli spazi di Villa Brandolini, con una mostra dedicata al mito di Danae, tra passato e presente. Si chiama Danae Revisited (dal 6 maggio al 25 giugno) e tra i diciannove artisti che espongono la propria interpretazione del mito, c’è Zehra Dogan, con una Danae potentissima, del tutto originale, che attende il suo destino non più sola.
Danae era la principessa di Argo, figlia del re Acrisio e di Euridice, madre di Perseo. Il mito racconta che fu imprigionata in una torre dal padre, a cui l’oracolo di Delfi aveva predetto che sarebbe stato ucciso dal nipote. Zeus, innamorato di lei, riuscì comunque a raggiungerla e a possederla sotto forma di una pioggia dorata. Quando nacque il bambino, Acrisio volle risparmiarli, li chiuse in una cassa e li gettò in mare. Superata una tempesta, raggiunsero l’isola di Ditti, dove furono salvati. Come predetto, più tardi, Perseo uccise il nonno Acrisio.
Il mito di Danae fu oggetto di rappresentazione artistica fin dal V secolo a.c. Ripreso nel Rinascimento, diventò uno dei soggetti preferiti nella storia dell’arte, amato da molti dei più famosi pittori. Tra gli altri, dipinsero Danae, Tiziano, Correggio, Rembrandt, Artemisia e Orazio Gentileschi, Chantron, Klimt.
Il mito richiama il tema religioso della Annunciazione, con la giovane che attende il Dio che la feconderà senza possederla fisicamente. Nel rappresentare la principessa nell’attesa della pioggia d’oro, l’immaginario si caricò tuttavia nel tempo di un carattere sempre più erotico, diventando la giustificazione per la rappresentazione di una giovane donne nuda, nel massimo della sua bellezza e sensualità, dal corpo candido e invitante, stesa su un letto, pronta ad accogliere il suo amante. La pioggia dorata fu d’altronde spesso trasformata esplicitamente in monete d’oro, particolare che traslò il mito verso una scena di prostituzione, tanto che, a volte, accanto a Danae, viene rappresentata una vecchia sensale, messa lì a contrattare il prezzo della giovane.
Nell’iconografia occidentale, Danae è stata soprattutto questo: il corpo di una bellissima donna, messo a disposizione dello sguardo maschile che la osserva, languida e sensuale, mentre aspetta di essere posseduta dal suo Dio, dal suo amante o dal denaro. Klimt, nella sua atmosfera rarefatta e onirica, arriva a rappresentare la sua giovanissima Dane, a labbra dischiuse, nel momento stesso in cui la pioggia d’oro delicatamente la penetra.
L’opera che Zehra Dogan ha scelto per rappresentare Danae è diversa da tutte le altre. Il suo sguardo femminile ci racconta un corpo diverso da quello da sempre dipinto a uso e consumo del piacere maschile. Senza i capelli, con il seno cadente e il corpo imperfetto, Danae non è più la bellissima e sensuale donna che la storia dell’arte e lo sguardo maschile che da sempre la domina ci ha mostrato, stesa in un letto, in attesa di essere amata, posseduta, violata o comprata.
Ma soprattutto la Danae di Zehra è diversa perché non è da sola, ma insieme a un’altra donna (il titolo infatti è Unity). Non è la vecchia sensale, ma un’altra Danae. Non so cosa Zehra volesse da questa opera e non pretendo di conoscere le sue intenzioni. Ma provo a immaginare che per empatia, o meglio per sorellanza, Zehra abbia scelto questa opera da esporre con le altre Danae, perché ha capito il timore di questa giovane donna nell’attesa del prodigio, molto più fedele, in questo, all’Annunciazione e a quel primo istante in cui Maria vede l’arcangelo e, prima di consegnarsi devotamente al suo destino, ne ha timore.
Zehra ha finalmente interpretato il mito con uno sguardo femminile, ha capito la paura di Danae e in un atto artistico di sorellanza, le ha regalato una amica, per farsi vicendevolmente coraggio. Sono lì, sul tappeto, entrambe rannicchiate in attesa del loro destino. Ma non sono più sole.