Il Vaticano fa valere i Patti Lateranensi e dice NO al DDL ZAN perché li «violerebbe». Oltre a essere del tutto infondata nel merito, la gravità di questa ingerenza è enorme. Inaccettabile in uno stato di diritto che – per inciso – dovrebbe essere LAICO! Il Vaticano pensi a risolvere i noti problemi di pedofilia al suo interno. Al DDL ZAN ci pensiamo noi!
Noto con curiosità che tutto ciò è stato reso noto proprio il giorno dell’anniversario del rapimento di Emanuela Orlandi (22 giugno 1983) nonché della abiura forzata di Galileo Galilei (22 giugno 1633). Almeno il passato dovrebbe suggerirci qualcosa…
Giugno, comunque, è in tutto il mondo il mese del Pride, durante il quale si svolgono manifestazioni promosse dai movimenti che difendono i diritti delle persone gay, lesbiche, bisessuali, transessuali, queer, intersessuali… Insomma ogni possibile identità di genere. Il Pride ricorda la rivolta di Stonewall, il famoso bar gay del Greenwich Village a NY, dove, tra il 27 e il 28 giugno del 1969, si scatenarono una serie di rivolte e manifestazioni di protesta contro l’irruzione violenta della polizia.
Quest’anno in Italia, il mese del Pride coincide con il faticoso iter legislativo del ddl zan, dal cognome del suo primo firmatario, il deputato Alessandro Zan, che è stato anche il suo relatore alla Camera, dove è stato approvato il 4 novembre scorso, prima di essere affossato dall’ostruzionismo in Senato.
Un dibattito surreale
Intorno al ddl Zan si è aperto un dibattito a volte surreale, intriso di odio e mistificato da propaganda di bassa lega. Un dibattito che ha finito per trasformarlo in una caricatura, disseminando disinformazione e allarmismo a piene mani. Un dibattito scandaloso e offensivo, che ignora la dignità e la sofferenza delle persone che subiscono l’omolesbotransfobia, tentando in modo ridicolo di far passare il vissuto di chi rivendica il passaggio da una identità di genere all’altra come una sorta di capriccio o addirittura di furbizia.
Il ddl Zan si propone di ampliare la legge Mancino del 1993, che ha come principi base la tutela delle minoranze etniche, linguistiche e religiose e ne contrasta le discriminazioni. Il ddl estende quella tutela alle persone Lgbt+, introducendo il reato di istigazione e propaganda di idee fondate sulla discriminazione per sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere o disabilità, sia da parte di singoli che di associazioni, prevedendo per simili reati delle specifiche aggravanti.
Quindi, principalmente, come estensione stessa della legge Mancino, ha carattere sanzionatorio, ma non esclusivamente. Il ddl chiede infatti anche l’istituzione del 17 maggio come Giornata nazionale contro l’omolesbotransfobia, al fine di promuovere la cultura del rispetto e dell’inclusione contro ogni forma di discriminazione. Il decreto stabilisce anche che l’osservatorio ISTAT sulle discriminazioni, già esistente, aggiunga alle motivazioni razziali, etniche, nazionali o religiose, quelle fondate sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere, così come stabilisce che questi temi si aggiungano ai compiti dell’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali.
Dopo essere passato alla Camera, come ho detto, è stato fermato in Senato, dove ora giace, seppellito da una montagna di audizioni, 170 per la precisione.
La destra ha forzatamente provato a condurre una campagna di disinformazione sostenendo che il ddl Zan, oltre a liberalizzare cose come la GPA o la stepchild adoption (ridicolo perché il ddl Zan non affronta affatto questi temi) porterebbe a limitare la libertà di espressione introducendo il reato di opinione. Cioè il leghista fascista omofobo di turno teme di non poter più dire che a lui gay, lesbiche o trans fanno schifo e sono contro natura.
In realtà non è così, perchè l’aggravante in caso di reato subentra quando simili opinioni si manifestano in atti discriminatori e violenti concreti, oggi puniti, solo come reati comuni, senza l’aggravante dell’odio omofobico.
Io non sono una giurista, ma mi pare proprio chiaro: il reato di opinione che la destra agita contro il ddl Zan è pretestuoso. Il punto non è penalizzare l’omolesbotransfobia come opinione, ma quando essa diventa il movente di un reato. Quel che si otterrebbe con l’approvazione del Ddl Zan sarebbe il minimo sindacale che molte altre democrazie hanno già, cioè l’aggravante in caso di reato.
Omofobici di tutta Italia, quindi, tranquilli: il ddl Zan non produrrà nemmeno a volerlo la fantomatica dittatura del gender che voi stupidamente annunciate. E non verrà impedita la vostra libertà di dire cose ignoranti e odiose sulla natura delle persone Lgbt+.
Quella della destra è bieca propaganda. A noi resta, casomai, il compito e l’intelligenza di renderci conto che, se anche il ddl Zan fosse approvato, quei commenti omofobi li subiremo ancora e quindi dobbiamo interrogarci da subito su cosa fare oltre il ddl Zan, non tanto per vietare opinioni omofobiche, ma per contrastare alla base l’intolleranza e l’omofobia, nella scuola prima di tutto, nella società e nei posti di lavoro anche, lo dico da sindacalista. Cioè il punto è cosa fare per battere l’omofobia prima che diventi il movente di un reato e si traduca in episodi di odio e violenza.
Il ddl Zan, purtroppo, non contiene un solo articolo che possa davvero risolvere la marginalizzazione e le discriminazioni di persone Lgbt+. Tuttavia, riconoscere l’aggravante omofobica nei reati di violenza è un primo passo, importante e necessario. Per questo sostengo convintamente il ddl fin dall’inizio. Certo, non sarebbe un traguardo, esso non rappresenta un ampliamento delle libertà civili, ma “solo” una tutela penale finalizzata a reprimere i discorsi e i comportamenti di odio contro di loro. Credo che si faccia una operazione di onestà e di chiarezza intellettuale e politica nel dire che non chiediamo al ddl Zan di sopperire a tutte le mancanze sociali che esistono su questo tema, ma di interpretare e aiutare una trasformazione, ponendo delle prime – indispensabili – basi giuridiche. È importante, quindi, sostenere il ddl Zan, avendo piena consapevolezza che servirà poi andare oltre esso e chiedere molto di più.
La discussione feroce intorno ad esso da parte della destra è d’altro canto la più evidente dimostrazione di quanto la sua approvazione sia necessaria. Il fatto su una tutela minima si sia scatenato tanto odio ha reso evidente quello che gay lesbiche trans e anche disabili vivono sulla loro pelle da sempre, tirando fuori tutti quei pregiudizi culturali e quella mentalità retrograda e bigotta, che soffoca questo paese, a volte ahimé anche a sinistra. Di fronte a questo, non è possibile voltarsi dall’altra parte o dire con sufficienza: il ddl Zan non serve, è troppo poco.
È innegabile che negli ultimi anni siano cambiate moltissime cose, sia sul piano sociale che su quello giuridico, compresa una legge, seppure imperfetta e parziale, sulle unioni civili. Lo stigma sociale sulle persone Lgbt+ probabilmente è meno opprimente e sistematico che in passato. Ma il tema inquietante, è appunto che la destra reazionaria e familista sta giocando con il fuoco, cavalcando, come ha fatto per il razzismo, l’avversione e l’odio nei confronti di ogni identità di genere giudicata non conforme e trasformandolo in uno dei suoi cavalli di battaglia, fomentando rabbia e odio nei social e nella vita reale come se non ci fosse un domani. È una ricetta facile e la destra è capacissima a usarla: per evitare che tu ti ribellari finalmente a chi ti sfrutta e ti opprime, ti fornisco un facile capro espiatorio, dandoti in pasto lesbiche, trans, gay (come i migranti, d’altra parte).
Zan e il transfemminismo
Questa è anche una delle ragioni per cui resto attonita e francamente atterrita dal dibattito che pure una parte del femminismo ha alimentato contro il ddl Zan, di fatto accodandosi nei fatti alla destra omofoba reazionaria e cattolica.
Sono le femministe trans escludenti (cosidette TERF) e hanno la pretesa arrogante di presentarsi come LE femministe e di parlare per l’intero movimento, che invece è sempre stato molteplice e plurale. Peraltro, di parlare per tutte gli riesce molto più di quanto non meriterebbe la loro effettiva diffusione nei movimenti, perché godono di una sovrarappresentazione mediatica mainstream.
Principalmente contestano il fatto che il ddl Zan equipara l’identità di genere alle altre condizioni discriminatorie: sostengono che l’utilizzo di questa espressione possa annullare il dato biologico e comportare la cancellazione o l’appiattimento della differenza fra i sessi, finendo – secondo loro – per pregiudicare alcuni diritti civili e sociali faticosamente conquistati dalle donne in decenni di battaglie.
Sostengono, inoltre, che sia sbagliato e offensivo per il femminismo finire, attraverso il concetto di “identità di genere”, dentro un decreto che espressamente ha il compito di tutelare le minoranze, perché le donne non sono una minoranza ma almeno la metà del genere umano.
Per rispondere nel merito: inserire nel ddl Zan il concetto di “identità di genere” è strategico e per questo la sua cancellazione è giustamente considerata irricevibile dal mondo Lgbt+: l’odio di matrice transfobica non si esaurisce nelle caratteristiche anatomiche e biologiche delle persone. Se la legge non prevedesse questa estensione si verificherebbe un vuoto normativo che priverebbe di copertura le persone transgender, vittime di odio non per il loro sesso biologico e non necessariamente per il loro orientamento sessuale, ma proprio per la loro identità di genere, cioè per il fatto di non riconoscersi nel sesso con il quale sono nate, indipendentemente dal fatto che abbiano fatto, stiano facendo o non vogliano affatto fare percorsi medici o amministrativi di transizione. Sostenere, come fanno alcune TERF, che questo porterebbe qualsiasi uomo a dichiararsi donna per ottenere quote a noi riservate o ottenere un vantaggio per esempio in campo sportivo sfiora, anzi supera, il ridicolo. Oltre a ignorare e svilire il dolore e le difficoltà emotive, mediche e economiche di chi affronta un percorso di transizione. Peraltro, tutto questo non c’entra niente con il ddl Zan.
Anche la critica sul concetto di minoranza è francamente imbarazzante. Intanto perchè la minoranza non è (solo) un fatto numerico e proprio per le donne, ovunque nel mondo, è determinata piuttosto da uno squilibrio nei rapporti di potere. Ma poi, a monte è davvero poco comprensibile la critica delle femministe TERF al ddl Zan. Come non capire che la matrice di quello squilibrio di potere che assoggetta le donne è esattamente la stessa che determina i fenomeni di odio omolesbotransfobico. Il problema è il patriarcato, o meglio l’eteropatriarcato, e per millenni se ne è fregato di dominare le donne, discriminarle, controllare le loro scelte e i loro corpi nonostante fossero la metà della popolazione.
Per questa ragione, io che sono una donna, eterosessuale, cisgender (cioè sono nata donna e tale mi sento) non mi sogno nemmeno lontanamente di sentirmi privata di qualche diritto se finalmente le persone Lgbt+ ne conquistano per loro. Peraltro, ho passato una vita intera a ribellarmi al fatto che un dato biologico (cioè l’essere donna, avere un utero e una vagina) determinasse come dovevo essere, cosa dovevo pensare, chi dovevo amare, come dovevo vestirmi, che lavoro dovevo fare, quanto potevo guadagnare, se dovevo per forza sposarmi, avere figli e via dicendo…. e ora dovrei ritrovarmi a sventolare proprio quel dato biologico per dividere o sentirmi minacciata da persone trans?
Da femminista io ho una granitica certezza: odio e combatto il patriarcato, in ogni sua forma, quando è contro di me in quanto donna, come quando è contro chiunque non si riconosca per orientamento sessuale o per identità di genere nel mondo meschino e bigotto che il patriarcato impone a tutte e tutti noi. Una o un trans sono mie alleate, perché combattiamo un’unica battaglia. Ammetto casomai che mi sento privilegiata rispetto a loro, perchè subisco tante discriminazioni in quanto donna, vero, ma “posso solo immaginare” quelle che subiscono loro.
Non solo, io sono una donna bianca, subisco tante discriminazioni, vero, ma “posso solo immaginare” quelle che subiscono le donne nere e in generale le migranti. “Posso solo immaginare” significa che sono accanto a loro, le considero sorelle, lottiamo contro lo stesso patriarcato, ma non mi arrogo il diritto di parlare a nome loro, come mi arrabbio se un maschio lo fa a nome mio. Perchè appunto, “posso solo immaginare”.
Per questo, da qualche tempo, anche continuando a definirmi orgogliosamente femminista, il termine mi sta stretto, soprattutto se altre lo sventolano per escludere soggettività Lgbt+. Nudm ha avuto il merito in questi ultimi anni di accogliere e rendere comune nel movimento il termine transfemminismo, inteso come l’apertura del femminismo a tutti i generi che sono oppressi dall’etero-patriarcato.
Il femminismo per me è anche anticapitalista nel senso che non puoi scorporare il capitalismo dal sessismo e al tempo stesso dal razzismo. Il nesso tra gli elementi di classe, razza e genere è strutturale e in questo senso ogni movimento che voglia opporsi a questo deve saper essere ricomporre le lotte ed essere quindi anche “intersezionale.” Significa capire l’interazione delle diverse forme di oppressione e provare a costruire pratiche, pensieri e lotte comuni, invece che mettere avanti una cosa lasciando indietro le altre. Solo se teniamo insieme tutti gli aspetti delle oppressioni che il sistema capitalistico e eteropatriarcale ci impone, possiamo pensare di superarle. Il femminismo deve essere includente. Oltre che accogliente e gioioso, non certo giudicante, moralista e escludente.
Considerare, invece, il transfemminismo un tentativo di impadronirsi delle attuali istituzioni femministe non solo non è vero, ma soprattutto ci rende più deboli. Al contrario, allargare il campo in una grande alleanza, dove donne con storie, percorsi e identitità di genere diverse si sostengono a vicenda contro il patriarcato, ben aldilà di avere o non avere una vagina, ci rende più forti.
Un’altra cosa che non capisco, è che trovo davvero fuorviante, è l’atteggiamento di quei compagni duri e puri, “comunisti tuttodunpezzo” che appena sostieni istanze e lotte per i diritti civili, contrappongono ad essi quelli sociali e economici. Avete presente: “e allora il Jobs act? E allora le pensioni? Mobilitatevi per i salari non per i diritti delle persone Lgbt+”.
Primo: ma pensate che le persone Lgbt+ non siano anche loro lavoratori e lavoratrici, che spesso, soprattutto se trans faticano ad avere un lavoro proprio per la loro identità di genere? Anche se un lavoro ce l’hanno già ma decidono di affrontare la transizione, con tutte le difficoltà che essa comporta.
Secondo: ma davvero pensate che ci sia una gerarchia dei diritti? Cioè che metterne davanti uno e dietro un’altro ci renda più forti invece che drammaticamente più deboli? Non sarà invece che sotto sotto non volete ammetterlo ma siete un po’ omofobi pure voi?
Terzo: “è allora le carestie, le innondazioni e la fame in Africa?”
Insomma, ridicoli. La più bella risposta a questo atteggiamento, l’hanno data i compagni portuali del CALP di Napoli: quando pubblicavamo le foto con scritto sulla mano DDL ZAN ORA mi hanno mandato quella del loro guanto da lavoro, sudicio di olio fatica e fabbrica. Su quel guanto c’era scritto: DDL ZAN. ORA!