Nicoletta Dosio condannata per le “evasioni” dai domiciliari. La storica No Tav rivendica tutto e il movimento prepara il suo 8 dicembre
«Rivendico tutto quello che ho fatto. Se sono pronta a rifarlo? Io sono sempre io». Nessun rimorso. Nicoletta Dosio, 75 anni, di Bussoleno, storica attivista No Tav della valle di Susa, commenta la sentenza con cui un giudice del Tribunale di Torino, Paola Fogliati, le ha inflitto un anno e un mese per evasione dagli arresti domiciliari. La donna, insegnante di greco in pensione, nel 2020 – a seguito di una condanna definitiva per un altro procedimento – era stata portata in carcere dopo aver rifiutato qualsiasi misura alternativa. Per un altro episodio rubricato come evasione, risalente al 3 novembre 2016, è stata condannata in appello a 8 mesi. Il 21 giugno 2016 la Dosio fu sottoposta all’obbligo di presentazione alle forze di polizia in qualità di indagata per un episodio avvenuto nel corso di una manifestazione nei pressi del cantiere della Tav in Valle Susa, e subito annunciò che per protesta non avrebbe rispettato la disposizione. A settembre le furono imposti i domiciliari, ma cominciò a partecipare a eventi iniziative pubbliche in diverse località italiane. Il 3 novembre, durante un presidio No Tav davanti al Palagiustizia di Torino, fu bloccata dalla polizia. Il caso al vaglio del processo terminato oggi si riferisce a quanto avvenuto nel periodo compreso tra il 4 novembre e il 20 dicembre.
Fra il novembre e il dicembre del 2016, la militante, come forma di protesta, non rispettò una misura cautelare degli arresti domiciliari nella sua abitazione di Bussoleno e partecipò a numerose iniziative ed eventi pubblici in diverse località del Piemonte e del resto d’Italia. La procura di Torino, particolarmente efficiente nel perseguire i No Tav al punto che più volte è stata definita la procura “con l’elmetto”, inizialmente le aveva contestato 130 evasioni avvenute dal 4 novembre al 20 dicembre ma, al termine del processo, lo stesso rappresentante della pubblica accusa ha ridotto i casi a due. «Il numero 130 – hanno sottolineato i difensori della Dosio, gli avvocati Valentina Colletta ed Emanuele D’Amico – va riferito, in realtà, ai controlli delle forze dell’ordine. La condotta, semmai, è unica. Nicoletta peraltro non è mai scappata e non si è mai sottratta alla giustizia: ha sempre reso pubblici i suoi spostamenti. Lo stesso procuratore capo dell’epoca, Armando Spataro, nel corso del procedimento prese atto del carattere politico della presa di posizione della nostra assistita e parlò di ‘innocuità della condotta’».
Tutto ciò a fronte della sostanziale impunità per quei componenti delle forze dell’ordine che, partecipando all’occupazione militare della Valle, si sono macchiati di centinaia di reati violenti nell’esercizio delle loro funzioni e, secondo dati contenuti in vari dossier del movimento, non sono quasi mai stati sfiorati dalle attenzioni dei pm.
L’ossessione per il movimento popolare più longevo di questo paese non è solo appannaggio della procura sabauda ma anche dell’apparato politico e ideologico legato ai portatori di interesse relativi alla devastante grande opera. Per esempio la stampa di casa Agnelli che negli anni si è contraddistinta per l’attacco forsennato all’idea stessa che un movimento popolare potesse avere delle ragioni. Ora che anche Repubblica è ufficialmente nel bouquet degli eredi dell’Avvocato l’assalto frontale a chi si batte per l’ambiente e i beni comuni è ancora più insidioso. Per questo, venerdì scorso una coda di circa un centinaio di attivisti e simpatizzanti No Tav di Torino e della valle di Susa si è formata davanti all’ingresso del Palazzo di giustizia del capoluogo piemontese: ognuno di loro ha depositato una querela per diffamazione contro Maurizio Molinari, direttore del quotidiano La Repubblica. Lo scorso 10 ottobre, nel corso della trasmissione televisiva ‘Mezz’ora in più’, il giornalista definì i No Tav «un’organizzazione violenta» e «quel che resta del terrorismo italiano degli anni Settanta». «Le querele – ha spiegato l’avvocato Valentina Colletta, uno dei legali che coordinano l’iniziativa – sono indirizzate alla procura di Milano. Oggi siamo anche davanti alla caserma dei carabinieri di Susa. Da domani si comincerà da tutta Italia». I No Tav, osserva l’acuto dispaccista di agenzia «hanno cartelli, drappi e bandiere; quasi tutti indossano la mascherina».
«Accolgo con favore la possibilità di appurare la verità su quanto ho affermato in merito al Movimento No Tav. E su questo ho piena fiducia nel ruolo della magistratura. Perché la verità dei fatti è non solo nell’interesse di ogni giornalista, ma di ogni cittadino», ha replicato Molinari.
Durante la trasmissione, Molinari ha affermato che “i No Tav sono un’organizzazione violenta, quanto resta del terrorismo italiano degli anni ‘70. Aggrediscono sistematicamente le istituzioni, la polizia, anche i giornali, minacciano i giornalisti a Torino e la cosa forse più grave è che sono in gran parte italiani che si nutrono anche di volontari che arrivano da Grecia, Germania e a volte dalla Francia – e ha proseguito – per un torinese No Tav significa sicuramente terrorista metropolitano; chiunque vive a Torino ha questa accezione”. Concludendo poi con l’affermazione “la cosa più grave nei confronti dei No Tav è che siccome si avvolgono di una motivazione ambientalista, quando questa motivazione viene legittimata, loro reclutano, con una dinamica che ci riporta davvero agli anni ‘70”.
Il sito del movimento ribatte che «Sono anni ormai che i mass media tentano inutilmente di tacciare i No Tav come violenti, mentre sappiamo bene che l’unica vera violenza è quella che è stata imposta dai tanti governi che si sono susseguiti in questi ultimi trent’anni che, senza preoccupazione alcuna, hanno portato avanti un progetto criminale e devastante, per l’ambiente e per la salute di chi vive la Valsusa, costringendo gli abitanti a dover convivere con le situazioni più disparate: dalla militarizzazione alla cantierizzazione di intere aree boschive, dalle violenze perpetuate negli anni dalle forze dell’ordine ai danni di tanti/e No Tav, che si sono ritrovati con ossa rotte, teste aperte e intossicazioni provocate dai gas lacrimogeni al cs (vietati dalla Convenzione di Ginevra). Inoltre, la Procura aveva già provato ad accusare diversi No Tav di terrorismo, cosa poi totalmente smentita dalla Corte di Cassazione. Ecco perché, di fronte a certe dichiarazioni che nulla hanno a che vedere con la realtà di quello che è il movimento No Tav, sentiamo la necessità di attaccare per difenderci, un’altra volta, da questi gravi soprusi, consapevoli che la nostra comunità in lotta ha chiaro quanto sia in difficoltà la controparte e tutti gli agenti ad essa correlati, come gli stessi mass media.
Le ragioni del Movimento No Tav sono sempre state chiare nell’affermare il blocco totale di un’opera che toglie risorse e servizi a tutte e tutti, utilizzando ingenti fondi per distruggere l’ambiente e con esso anche il futuro di chi vive i territori e delle generazioni più giovani. Ma quello che più spaventa i signori dal “profitto prima di ogni cosa” è proprio la determinazione di un movimento che non ha mai fatto un passo indietro, che non è mai sceso a compromessi, che non ha intenzione di vendere la propria pelle a nessun prezzo e proprio per questo hanno tentato in tutti i modi di descriverlo in modi errati con la speranza che nel tempo scemasse l’immensa partecipazione che ha sempre dimostrato invece di ricevere il Movimento No Tav, lo stesso che a testa alta, ogni giorno si confronta con la ferocia dei tribunali».
Intanto si avvicina l’8 dicembre, sorta di “compleanno” No Tav in ricordo di quella grande giornata del 2005 in cui la Valle si riprese Venaus. Dopo un anno e mezzo di pandemia, durante cui i promotori del Tav hanno approfittato del lockdown e dell’isolamento sociale per avviare nuovi lavori come a San Didero, oggi il governo Draghi criminalizza il dissenso vietando le manifestazioni. Ma il movimento ha deciso di iniziare «in grande stile», con l’assemblea popolare al Palanotav di Bussoleno mercoledì 1° dicembre, per poi proseguire nel fine settimana con momenti di condivisione, socialità e lotta su tutto il territorio e nei luoghi simbolo della distruzione portata avanti da Telt, approdando, infine a mercoledì 8 dicembre, giornata in cui percorreremo le strade che uniscono il Comune di Borgone al Presidio di San Didero.
«Dopo un G20 di Roma vergognoso e vuoto – contestualizzano i promotori – dopo una coop 26 di Glasgow all’insegna delle chiacchiere e dei falsi impegni è l’ora della lotta. A maggior ragione perché, nonostante ormai sia evidente che occorra prendere serie contromisure rispetto al cambiamento climatico e per la tutela dei territori, la costruzione del tav in Val di Susa torna ad essere una priorità per l’agenda politica della nuova amministrazione torinese che ha deciso di rientrare nell’Osservatorio Tav. Come se non bastasse, il governo ha deciso di estendere le aree di interesse strategico del tav con l’obiettivo di velocizzarne i lavori, una mossa in attacco che avrà come unico risultato quello di estendere la militarizzazione all’intera valle. Anche per tutto questo è tempo di ritornare sui territori laddove le violenze ambientali vengono perpetrate, tutti e tutte insieme, ostinati e determinati a non credere a false promesse.
Oltre le parole, oltre i loro “BLA BLA BLA” ci siamo noi, i nostri corpi e le nostre terre. Ci aspetta un percorso lungo i fortini dell’alta velocità, partendo dai mulini della val Clarea fino a San Didero, attraversando i piccoli paesi con assemblee e cortei per spingerci fino alle recinzioni delle zone militarizzate.
Ci aspetta una settimana ricca di iniziative e occasioni di incontro che sapranno accogliere tutti e tutte coloro che da anni lottano, a partire dalle proprie realtà, per la salvezza del pianeta».
Infine, venerdì 26, dalle ore 11, l’appuntamento è sotto casa di Emilio a Bussoleno per aspettare insieme la sentenza della Corte di Cassazione. Emilio Scalzo Emilio Scalzo, pescivendolo in pensione, in gioventù pugile dei medio massimi (una vita da romanzo su cui Chiara Sasso ha scritto un libro che si intitola “A testa alta”, Edizioni Intra Moenia), vive a Bussoleno, bassa val Susa. A 66 anni, rischia di essere estradato in Francia per aver usato violenza contro un gendarme appena al di là del confine, durante una manifestazione a favore dei migranti che valicano la frontiera lungo la cosiddetta “rotta delle Alpi”. Ha scritto Maurizio Pagliassotti su Domani: «Scalzo è notoriamente uno degli attivisti più industriosi, forse il vero cuore della rete di solidarietà che si è formata su queste montagne, un uomo che con le sue mani ha cavato dalla neve uomini, donne e bambini, e molto altro». E, ancora, i suoi compagni No Tav: «ha saputo restituirci una forza immensa, insegnandoci che di fronte alle ingiustizie l’unica cosa da fare è quella di non essere indifferenti, al contrario, bisogna mostrare generosità soprattutto verso più deboli, agli ultimi, proprio come i migranti che ogni giorno rischiano la vita cercando di oltrepassare la frontiera con la Francia. La stessa che, invece, utilizza la gendarmerie per respingere tutte quelle vite in fuga da guerre e miseria, che cercano esclusivamente una vita e un futuro dignitosi e liberi. Emilio per il solo fatto di non essersi voltato dall’altra parte ora rischia l’estradizione in Francia, ma la solidarietà è uno dei punti di forza del Movimento No Tav e ci ha sempre permesso di superare anche le situazioni più complesse».