Le richieste di condanna per gli otto carabinieri, tra cui un generale, imputati per i depistaggi dopo l’omicidio di Stefano Cucchi
La Procura di Roma ha chiesto la condanna degli otto carabinieri imputati nel processo sui presunti depistaggi messi in atto dopo la morte di Stefano Cucchi. Il pm ha sollecitato 7 anni per il generale Alessandro Casarsa, mentre 5 anni e mezzo sono stati sollecitati per Francesco Cavallo. Cinque anni per Luciano Soligo e per Luca De Cianni, quattro anni per Tiziano Testarmata, invece, per Francesco Di Sano tre anni e tre mesi. Tre anni di carcere per Lorenzo Sabatino e,infine, un anno e un mese per Massimiliano Colombo Labriola per il quale il pm ha chiesto le attenuanti generiche perché «è l’unico che ha detto tutto, che non si è sottratto alle domande, che non ha scaricato la responsabilità sugli altri: ha accusato tutti gli ufficiali».
E’ troppo? Troppo poco? L’importante è comprendere la ricostruzione del pm, ascoltare le arringhe delle parti civili – subito dopo Capodanno – e infine valutare la sentenza quando verrà pronunciata e motivata. Questo processo potrebbe essere una pietra miliare, al di là del peso delle pene, perché potrebbe rivelare i meccanismi con cui questo depistaggio è stato condotto per anni e quelle con cui si è riuscito a smascherarlo e fino a che punto è arrivata questa operazione.
L’accusa ha chiesto inoltre l’interdizione perpetua dai pubblici uffici per Casarsa, Cavallo, De Cianni e Soligo mentre per Di Sano, Sabatino e Testarmata l’interdizione per cinque anni. (segue) Per i depistaggi sono imputati il generale Alessandro Casarsa all’epoca dei fatti comandante del Gruppo Roma, e altri 7 carabinieri, tra cui Lorenzo Sabatino, allora comandante del reparto operativo dei carabinieri di Roma. Gli otto carabinieri sono accusati a vario titolo e a seconda delle posizioni di falso, favoreggiamento, omessa denuncia e calunnia. Oltre a Casarsa e Sabatino, sono a processo Francesco Cavallo, all’epoca dei fatti tenente colonnello e ufficiale addetto al comando del Gruppo Roma; Luciano Soligo, all’epoca dei fatti maggiore dell’Arma e comandante della compagnia Roma Montesacro; Massimiliano Colombo Labriola, all’epoca dei fatti comandante della stazione di Tor Sapienza; Francesco Di Sano, all’epoca in servizio alla stazione di Tor Sapienza; Tiziano Testarmata, ex comandante della quarta sezione del nucleo investigativo dei Carabinieri e il carabiniere Luca De Cianni. L’accusa di falso è contestata a Casarsa insieme a Cavallo, Colombo Labriola, Di Sano e Soligo mentre quelle di omessa denuncia e favoreggiamento a Sabatino e Testarmata. Per De Cianni le contestazioni sono quelle di falso e di calunnia.
«È stato processo lungo e difficile. Un intero Paese è stato preso in giro per sei anni», ha detto il pm Giovanni Musarò che ha chiuso la requisitoria sollecitando la condanna sottolineando «le inaccettabili ingerenze sulle perizie medico legali» e «le intimidazioni» su chi nel corso delle indagini ha detto la verità. Il pubblico ministero nell’udienza di oggi ha voluto ricordare anche il giudice Giulia Cavallone che per prima si era occupata del processo fino alla scomparsa avvenuta nell’aprile del 2020.
La requisitoria si è conclusa oggi dopo una prima parte (qui l’articolo) svolta lo scorso 17 dicembre. «C’è stata un’attivita di depistaggio ostinata, che a tratti definirei ossessiva – aveva detto il pm nella scorsa udienza – i fatti che siamo chiamati a valutare non sono singole condotte isolate ma un’opera complessa di depistaggi durati anni».
«Colombo Labriola (uno degli otto imputati e all’epoca dei fatti comandante della stazione di Tor Sapienza, una delle stazioni dove Cucchi fu trattenuto nella camera di sicurezza ndr) è l’unico che ha detto tutto, che non si è sottratto alle domande, che non ha scaricato la responsabilità sugli altri. Ha accusato tutti gli ufficiali. E guarda caso è spuntata la testimonianza di un maresciallo finalizzata solo a dire che è inattendibile», aveva evidenziato il pm lo scorso 17 dicembre e oggi in aula è tornato sul punto sottolineando come «il depistaggio del 2021 aveva lo scopo di minare l’attendibilità di Colombo Labriola. Non era amato, ha reso dichiarazioni a carico di tutti gli ufficiali imputati. Quello che è accaduto nel febbraio 2021 dà l’idea di come si voleva demolire la credibilità di Colombo Labriola».
La Procura ha ribadito che «questo non è un processo ai Carabinieri e bisogna evitare qualsiasi strumentalizzazione». Non è un processo all’Arma sia «per ragioni formali che sostanziali: il ministero della Difesa si è costituto parte civile, gli atti più importanti – ha detto nel corso della requisitoria Musarò – ci sono stati forniti dal reparto operativo e nucleo investigativo del comando provinciale dei carabinieri di Roma e anche il comando generale ‘all’ultima curva’ ci ha fornito una tessera mancante. L’Arma è un corpo con 200 anni di storia, con persone che lavorano nelle strade e negli uffici e anche per loro non deve essere un processo». Per il l’accusa, il giudice è chiamato «a valutare non singole condotte isolate ma un’opera complessa di depistaggi durati anni». Si tratta di iniziative »caratterizzate dalla volontà – ha aggiunto Musarò – di ostacolare l’individuazione dei fatti. Quello che è emerso con evidenza dalla fase dibattimentale è che i depistaggi non si sono fermati al 2018 ma sono andati avanti fino al febbraio 2021: sono state alzate tante cortine fumogene«. I depistaggi, secondo l’impianto accusatorio, partirono proprio da Casarsa e a cascata furono messi in atto dagli altri secondo i vari ruoli di competenza. Per i pm sei indagati «avrebbero attestato il falso in una annotazione di servizio, datata 26 ottobre 2009, relativamente alle condizioni di salute di Cucchi», arrestato dai carabinieri della stazione Appia e portato nelle celle di sicurezza di Tor Sapienza, tra il 15 e il 16 ottobre del 2009. Un falso, per il pm, che fu confezionato con «l’aggravante di volere procurare l’impunità dei carabinieri della stazione Appia responsabili di avere cagionato a Cucchi le lesioni che nei giorni successivi gli determinarono il decesso». In una seconda nota si attestava falsamente che Cucchi riferiva di essere dolorante per il freddo e la magrezza, secondo i carabinieri.
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