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Sartre a Oslo, con Trier

L’essenza sartriana di Julie nel film “La persona peggiore del mondo” di Joachim Trier [Margherita Marchetti]

Esco dal film “La persona peggiore del mondo” di Joachim Trier sorpresa che la sua regia sia firmata da un uomo, evidentemente capace di mettere a fuoco così bene la dimensione femminile.

L’altra sorpresa è quella di cogliere inaspettatamente in un film scandinavo una profonda connessione con l’Essere e il Nulla di J .P. Sartre , che nel suo capolavoro filosofico interpreta la vita dell’essere umano a partire da quella continua e perenne tensione tra la coscienza che siamo (il nulla) e l’essere che trascendiamo. Il viaggio della coscienza umana porta infatti con sè un potere nullificante verso tutto ciò che è dato e  che ha bisogno di essere oltrepassato per assumere un senso. Il nulla che dunque siamo come coscienza non ha  a che fare per il filosofo esistenzialista con un atteggiamento nichilista o solipsista, al contrario, esso è quella  tensione vitale  verso una pienezza e solidità irraggiungibile che ha necessità dell’Altro, per poter oltrepassare il dato, l’essere, il pieno, l’in-sensato  e dotarlo di significato.

Possiamo ingannarci e rimanere immobili in un ruolo, possiamo dunque vivere in uno stato più rassicurante che Sartre denomina come “malafede”, ma questo non potrà mai eliminare la nostra “condanna” ad esseri liberi, la cui consapevolezza non può che tradursi in irrequietezza per quella irriducibile possibilità di scelta che ci costituisce profondamente come coscienze.

La coscienza è dunque libertà e non sempre è facile saperla accogliere, senza timore, da sè e dagli altri.

Julie, la protagonista del film, incarna anche questo, perché il suo particolare viaggio nella vita non riesce, fin dalla sua formazione come studentessa in medicina, a limitarsi  a leggerla come un artigiano-medico sa bene fare, ma intuisce che l’introspezione, lo sguardo interiore sia il sentiero più adeguato a se stessa.

Julie è la donna che attraversa le sue esperienze di vita resistendo alla rassicurante identificazione di sé con il modello o ruolo in cui la società colloca la persona. Se poi la persona è una donna, allora questa resistenza diviene ancora più eroica, anche in un contesto così emancipato rispetto ai diritti civili come quello di un paese del nord Europa, la Norvegia.

La resistenza di Julie è nei confronti della permanenza di sé in un ruolo, sposa, lavoratrice o madre, che nel momento in cui assume una forma, appunto un modello, non permette di proseguire quel viaggio nella comprensione di sé.

La definizione è rassicurante, si erge come un punto di arrivo senza più ostacoli, ma non può che essere un inganno, è quella condizione di malafede che rifiuta la possibilità, la scelta, la messa in discussione di sé e del ruolo che ci fa sentire illusoriamente risolti.

A questa tentazione di rassicurazione Julie sfugge, con dolore, con stupore, non sempre con chiarezza, ma la forza che emerge da questo personaggio sta proprio nell’onestà nei confronti di se stessa. Perché Julie non riesce a tradirsi, lo può eventualmente fare con un compagno, ma non con se stessa. Questa è la sua invidiabile forza.

Il viaggio di Julie è il viaggio della coscienza sartriana nell’Essere il Nulla, è il moto di trascendenza, di superamento dalla permanenza in un ruolo che ci rassicura perché siamo esseri finiti, mortali, dunque imperfetti e strutturalmente anche fragili.

Il viaggio di Julie non è una  presa di distanza dal mondo come difesa e protezione, ma è al contrario un’immersione nel mondo delle relazioni umane che lei conduce con rispetto e onestà.

Che infine questo  viaggio di comprensione  e scelta di se stessa sia spontaneo o la risposta ad una memoria familiare in cui la figura maschile sia assente, credo che non sia così importante. Credo che l’ angolazione da cui si sviluppa il film voglia illuminare un percorso di vita e non le motivazioni della sua origine.

La bellezza e la verità di Julie sta nel riso e insieme nel pianto che emerge dopo aver spontaneamente abortito, lei donna, lei potenzialmente madre e non madre, lei persona portatrice di tutta quella complessità che siamo e a cui non possiamo sfuggire se non con l’immobilità di un fermo immagine a cui la coscienza dell’essere umano non potrà mai ridursi.

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