7 Maggio 1972- 7 Maggio 2022: 50 anni dall’assassinio di Franco Serantini, 20 anni, anarchico. A noi piace ricordarlo [Chiara Nencioni]
So che viso avesse e anche come si chiamava: Franco Serantini, non alto, ricciuto, gli occhiali da miope, il viso serio e sofferto, un giovane di vent’anni, sardo, anarchico, figlio di nessuno nella vita come nella morte.
La sera del 5 maggio 1972, nulla servì a salvare la sua vita dalla furia della polizia, fra la bottega del vinaio e quella del tappezziere.
Era come un destino segnato, il suo, una vita e una morte segnate, di quelle da romanzo ottocentesco, fra Dickens e Zola, lo Zola di Germinal, per la redenzione del protagonista.
Figlio di N.N., con un’infanzia infelicissima, caratterizzata da abbandoni affettivi e luoghi anonimi: lasciato dalla madre in un brefotrofio sardo, vi resta fino all’età di due anni, quando viene adottato da una coppia di anziani senza figli; dopo la morte della madre adottiva, è dato in affidamento ai “nonni materni” in Sicilia con cui resta fino all’età di nove anni quando viene nuovamente trasferito in un istituto d’assistenza a Cagliari. Nel 1968, a 17 anni, è inviato all’Istituto per l’osservazione dei minori a Firenze e da qui – pur senza la minima ragione di ordine penale – destinato al riformatorio a Pisa “per lunga carenza affettiva” “in regime di “semilibertà”.
Serantini è una giovane vittima di un’ingiustizia, un giovane che costruisce ogni giorno la sua cultura solo per la sua passione di lottare contro l’ingiustizia. Le conoscenze che Franco acquisisce ed i nuovi rapporti che allaccia lo portano a guardare il mondo con occhi diversi ed avvicinarsi all’ambiente politico: frequenta le sedi della FGCI e FGSI, quelle della estrema sinistra fino ad approdare nella seconda metà del 1970 al Gruppo anarchico “Giuseppe Pinelli”. Come molti altri studenti, Serantini è impegnato nelle manifestazioni antifasciste, nella campagna di controinformazione sulla Strage di stato, nell’esperienza del “Mercato rosso”.
Il 5 maggio 1972 partecipa alla manifestazione indetta da Lotta Continua per protestare contro il comizio dell’on. Giuseppe Niccolai del MSI (a cui la Giunta comunale di Pisa di centro-destra, guidata dal sindaco Michele Conti, nel 2019 ha deciso di intitolare una rotatoria). L’iniziativa viene repressa violentemente dalle forze dell’ordine. Serantini, circondato da numerosi agenti di polizia sul lungarno Gambacorti, viene brutalmente picchiato.
“Avevi solo vent’anni,
vivevi l’anarchia,
ti han coperto d’odio,
di botte e sangue. Sì!”
(da La ballata di Serantini di Ivan Della Mea, 1972)
Successivamente è trasferito prima in una caserma di polizia e poi al carcere Don Bosco, dove, il giorno dopo, viene sottoposto ad un interrogatorio.
”Andai perché ci si crede”, rispose Franco al giudice che lo interrogava in risposta alla domanda sul perché avesse partecipato alla manifestazione del 5 maggio.
Durante l’interrogatorio Serantini manifesta uno stato di malessere generale che il giudice, le guardie carcerarie ed il medico non giudicano “serio”. Nessuno lo visita in carcere, fino al 7 maggio, quando è già in coma.
“Chiuso nella tua cella,
cercavi invano aiuto,
ma a un figlio di nessuno
l’aiuto non si da!”
Trasportato al pronto soccorso, il medico arriva pochi secondi dopo che il ragazzo aveva smesso di respirare, alle 9,45 del 7 maggio. Il pomeriggio dello stesso giorno le autorità del carcere cercano di ottenere tempestivamente dal comune l’autorizzazione al trasporto e al seppellimento del cadavere. L’ufficio del Comune si rifiuta di concedere il benestare alla tumulazione mentre la notizia della morte di Serantini rimbalza in tutta la città e oltre, in molte città italiane si tengono manifestazioni di protesta e di denuncia delle responsabilità delle forze dell’ordine.
Le indagini per scoprire i “responsabili” della morte di Serantini affogano nella burocrazia giudiziaria italiana e nei “non ricordo” degli ufficiali di pubblica sicurezza presenti al fatto, nella grande congiura dell’omertà.
Adesso Pisa ha una biblioteca che porta il suo nome – dedicata a lui nel 1979 dai compagni anarchici ed entrata lo scorso anno nella Rete degli istituti storici della Resistenza e dell’Età contemporanea- e un monumento a suo ricordo, inaugurato nel 1982, in piazza S. Silvestro di fronte all’Istituto Thouar che lo aveva ospitato negli ultimi anni di vita. Vorremmo che, a 50 anni dalla sua barbara uccisione, quella piazza avesse il suo nome. Per questo è stata indetta una nuova petizione. Più volte nei decenni scorsi è stata avanzata la richiesta di un’intitolazione formale della piazza a Serantini; nel 2011 sono state raccolte oltre 1100 firme e la Giunta comunale aveva deliberato che almeno i giardini della Piazza fossero dedicati alla memoria di Franco. Purtroppo a quegli impegni non sono seguiti i fatti. Adesso, dopo 50 anni, forse è giunto il momento che quella piazza finalmente si chiami “Franco Serrantini”, per ricordare il giovane anarchico e per riparare l’ingiustizia che subì (chi vuole sostenere l’iniziativa può farlo su https://www.change.org/p/piazza-s-silvestro-diventi-piazza-franco-).
“Tenetemi nel cuore!”
Ci grida Serantini,
“Tenete questo amore,
è amore per lottar.
Tenetemi nel cuore,
compagni e cristiani!
Tornate, partigiani,
ed io non morirò!”