“136 anni di battaglie. La storia della Fillea Cgil dalle origini ai giorni nostri”. Un libro e una tre giorni per il sindacato più antico
Il primo congresso murario si tenne a Genova il 15 agosto del 1886. Vi presero parte delegati di una ventina di associazioni murarie emiliane, liguri, piemontesi, toscane e lombarde. Era la nascita del primo sindacato italiano, una federazione di società di resistenza. Oggi si chiama Fillea ed è un pezzo della più grande confederazione, la Cgil.
Un elemento di riflessione per l’oggi in cui le forme della frammentazione sociale e quelle dei rapporti di forza ci spingono a cercare analogie e suggestioni con gli esordi del capitalismo, prima del fordismo: il sindacalismo moderno nasce come superamento delle società operaie di mutuo soccorso, come reazione a un mutualismo spesso diretto da elementi delle classi medie con dosi da cavallo di moderazione e paternalismo. Questo passaggio decisivo di politicizzazione, dalla solidarietà alla rivendicazione, dal mutuo aiuto al conflitto, dall’interclassismo all’autonomia di classe, è lo snodo da cui prende le mosse la storica Marielisa Serone autrice di “136 anni di battaglie. La storia della Fillea Cgil dalle origini ai giorni nostri” (Futura editrice, 270 pagg, 18 euro). Il sindacato prende forma mentre muta l’organizzazione del lavoro e si forma una coscienza di classe in un settore dove l’intermittenza, le paghe basse, gli orari massacranti, il cottimo, il pendolarismo, il caporalato e l’insicurezza hanno forgiato il passaggio epocale dalla figura del muratore-contadino (come non pensare al Metello di Pratolini) al proletariato edile così come lo conosciamo grazie alle sue forme associative più avanzate.
La tesi di fondo è che il movimento sindacale deve molto ai lavoratori e alle lavoratrici edili, ai lavoratori delle cave, delle fornaci, del legno, ai restauratori. Partendo dalle intuizioni di fine Ottocento, passando per le elaborazioni politiche di inizio Novecento (le Casse Edili) e l’incontro con il socialismo, fino all’avvento del fascismo. E poi le lotte per la ricostruzione e per il Piano del lavoro, per la conquista dello Statuto dei lavoratori, le lotte per la casa e per la riforma urbanistica e oggi per la rigenerazione delle città e il rilancio del Sud Italia. «Il movimento sindacale che nasce nelle aree urbane italiane è sempre stato qualcosa di più e di diverso rispetto al classico sindacato industriale», annota l’autrice riferendosi a «tutti quei lavoratori impegnati nelle operazioni connesse con la costruzione delle infrastrutture civili oltre che poi degli operai tipografi», dei portuali, panettieri, calzolai, bottai e vetturini. Gramsci li avrebbe definiti operai della «fabbrica disseminata». «Possiamo affermare con forza come sin dall’inizio dell’avventura unitaria, il proletariato edile abbia contribuito alla nascita di una più generale capacità di iniziativa del sindacato (avremmo forse detto oggi confederale), anche per la sua “notevole capacità di lotta e di tentativi autonomi di classe”», scrive Serone citando a sua volta Adolfo Pepe, direttore della Fondazione Giuseppe Di Vittorio e preside di Scienze politiche a Teramo.
Numerosi sono stati i contributi dei lavoratori delle costruzioni (tra i fondatori della Cgil) al Paese e al movimento sindacale. Contributi che la Fillea ha continuato a portare avanti promuovendo battaglie importanti: dalla lotta al lavoro nero e per la sicurezza alla rigenerazione urbana, dalla centralità dei contratti collettivi alle tutele negli appalti, dall’integrazione dei migranti alla difesa di vecchie e nuove professionalità, e non ultimo per la pace e per la giustizia.
Oggi il sindacato fa il punto sulla sua storia con una tre giorni a Roma e con questo libro che vale la pena di essere letto anche fuori dalla categoria perché i comparti che organizza sono ancora alle prese con dinamiche di frammentazione della classe e le sue controparti sono fra le più infide: il partito del cemento, il partito della rendita, filiere insidiate dalla penetrazione mafiosa, dal caporalato e ancora, subappalti, dumping contrattuali, sicurezza negata, precarietà, lavoro nero e quella forma di concorrenza tra lavoratori che assume le forme del razzismo, della razzializzazione dell’organizzazione del lavoro.
Nella sua introduzione, Alessandro Genovesi, segretario generale, non nasconde né l’orgoglio di una storia così lunga, né limiti e contraddizioni di cui la Fillea vuole farsi carico perché ancora una volta, forse, dalla “fabbrica disseminata” possono giungere segnali utili per tutto il movimento operaio: «alcune intuizioni – leggiamo – alcuni modelli contrattuali, alcune tutele pensate per il mondo pre-fordista dell’edilizia – con aziende piccole e piccolissime, precarietà, discontinuità, irregolarità – sono oggi così attuali da poter rappresentare strumenti di tutela e partecipazione per altri settori».