Gkn, la festa per un anno di convergenza e una convocazione in prefettura
GKN di Campi Bisenzio, un anno dopo sono ancora lì, oltre quei cancelli. Nella fabbrica occupata divenuta l’epicentro di un movimento pressoché inedito perché ha ribaltato il punto di vista trasformando una campagna di solidarietà con centinaia di licenziati in una stagione di lotta complessiva. Convergenza e insorgenza, un binomio difficilmente scindibile dopo il famoso “e voi come state?” con cui il collettivo di fabbrica, ricontestualizzazione dei consigli anni ’70, incollò ciascuno dei collettivi, delle organizzazioni sociali, sindacali, politiche giunti a Campi Bisenzio a un’agenda coinvolgente, difficile, tuttavia imprescindibile. La foto sui social ha una didascalia da non dimenticare: 365 tramonti di dignità.
«Una vertenza ancora in piedi – avverte il collettivo alla vigilia della festa ai cancelli – con un piano di reindustrializzazione che stenta a partire, un’assemblea permanente degli operai e un presidio più forti che mai e il rischio di acuirsi di tensioni che, dopo l’accordo quadro dello scorso gennaio strappato con la lotta dai lavoratori, si pensava non dovessero più esserci».
«Negli ultimi due giorni siamo stati convocati dalla Prefettura e Questura», sottolinea Dario Salvetti, delegato RSU, «su indicazione urgente di QF relativa alla deindustrializzazione del sito, basandosi su una lettera di Stellantis che, tra l’altro non pone scadenze stringenti. Quello che diciamo lo stiamo ripetendo da mesi: la deindustrializzazione dello stabilimento collegata alla fase di reindustrializzazione è argomento di trattativa tra le parti sociali così come è sempre stato in Gkn. Quindi l’attuale proprietà più che far fretta a Prefettura e Questura, dovrebbe farla agli investitori perchè chiariscano le loro posizioni, così da permetterci di fare una trattativa seria sul cronoprogramma di uscita ed entrata dei macchinari. Una questione che ricorderemo con un presidio lunedì prossimo alle 18 in via Cavour a Firenze, sotto le finestre della Prefettura».
L’Ansa e le agenzie sembrano ignorare l’anniversario e la folla di solidali che partecipa alla festa: un lancio, invece, annuncia che “la produzione ripartirà «in previsione nella prima parte del 2023, per poi andare a regime nel 2024» e si concentrerà su «motori elettrici di ultimissima generazione per macchinari industriali, in campo tessile, farmaceutico, automotive e tecnologie per le energie rinnovabili. Il piano di reindustrializzazione ha investimenti per circa 80 milioni di euro e sarà lungo due anni». Così Francesco Borgomeo, padrone renziano, nemico del reddito di cittadinanza, renziano, ad dell’ex Gkn e adesso Qf, in un’intervista al Corriere Fiorentino sul futuro dello stabilimento di Campi Bisenzio (Firenze). Borgomeo conferma che a luglio è previsto il closing, «è stato individuato un cronoprogramma di riconversione che stiamo rispettando» e la reindustrializzazione «nella sostanza è già partita, c’è un importante lavoro dietro le quinte con grandi gruppi internazionali e nazionali con i quali è stata costruita un’alleanza, sarà un’alleanza per tutta Firenze, la fabbrica di Campi sarà il centro del progetto ma è un progetto che ha un respiro molto grande. Ci sarà l’attrazione di cervelli e centri di ricerca di eccellenza che saranno linkati coi poli di formazione già esistenti, le università e le aziende del territorio». A fine luglio saranno ufficializzati gli investitori, spiega ancora, «ci sarà un player principale e poi altri soggetti tra cui io». L’ad di Qf si dice disponibile «ad avere partecipazioni pubbliche», «I progetti di qualità devono avere fondi privati. Dopodiché, se la presenza del pubblico può essere un elemento di garanzia per noi è positivo». Alla rsu secondo cui si prospetta un consorzio di imprese che non era previsto nell’accordo quadro, Borgomeo spiega che «il consorzio è solo per la ricerca e lo sviluppo. La fabbrica, invece, è Qf».
Sul palco davanti ai cancelli si sono alternati Lo Stato Sociale, Ginevra di Marco, Malasuerte Fi Sud, Arpioni, Carlos Dunga, Iena, Sakatena, Tenore e Mauràs. In contemporanea una mostra grazie ai contributi di: vignettisti per la Costituzione, Militanza Grafica, Il Vigno, Threefaces, Kraita, Stelle confuse e Andrea Sawyer.
«”Ti ricordi quel 9 luglio” è un festival voluto e pensato per porre l’accento su un anno di lotta», Simone Cangiolini, della direzione artistica dell’evento. “Per ricordare la corse fatte su e giù per l’Italia con oltre sessanta date collegate al nostro Insorgiamo tour, alle decine di incontri, alle mobilitazioni nazionali del 18 settembre e del 26 marzo con decine di migliaia di persone in piazza. Il contenitore del 9 luglio sarà ricco di musica di vari generi: rap, punk hardcore, ska. Sarà un giorno per ritrovarci, abbracciarci e rafforzare la nostra famiglia allargata”.
“Gkn non è un’isola – dice spesso Dario Salvetti – fa parte di un mondo drammaticamente in cambiamento: siamo in piena crisi sociale, climatica, idrica e bellica, dentro un impazzimento delle catene di fornitura. Per noi tenere viva l’ipotesi di un’insorgenza sociale in autunno nel nostro Paese non è una scelta, ma un dovere».
Sullo sfondo, quel «tenetevi liberi per l’autunno» lanciato proprio dal collettivo nell’assemblea nazionale che ha fatto seguito alla grande convergenza di fine marzo di Gkn e Friday’s for future. «Purché ci siano le condizioni, purché ci siano articolazioni locali che lo costruiscano», ha chiarito Salvetti, ad alta voce. Altra lezione di quest’anno di cancelli e tour è quella di pronunciare ad alta voce i problemi senza nascondere o minimizzate, ad esempio, la difficoltà di coinvolgere i lavoratori, senza nascondere la «difficoltà oggettiva data dai rapporti di forza nel momento in cui tutte le vertenze si logorano, quello dell’ammortizzatore sociale che ammortizza anche la lotta, meccanismo infernale. Tante vertenze prima di noi ci hanno confessato: “siamo rimasti intrappolati nella vertenza vent’anni”, la comunità operaia così non è più legata a una produzione ma a un sussidio», dice Dario Salvetti e lo ha ripetuto anche un paio di settimane fa intervenendo a un seminario nazionale di Sinistra Anticapitalista.
«Per quanto ci riguarda – ha detto la Rsu in quell’occasione – la crisi non sempre produce conflitto ma a volte provoca fedeltà per i caporioni di politica e burocrazia e induce meccanismi di frammentazione». E’ fresco il ricordo del 2008, di chi prevedeva che, di fronte alla crisi, sarebbe aumentata la conflittualità. E poi ancora nel 2010 quando a Pomigliano Marchionne impose il suo modello antisindacale e il sindacato, a sua volta, è rimasto come elemento burocratico assistenziale ma è sparito come elemento di democrazia o di conflitto. «La notte della lotta di classe non è misurabile solo con i livelli della inflazione e dell’occupazione ma con le forme del risveglio delle forme partecipative, quello che fu il sale del ‘68».
Autunno, sciopero generale. «Non possiamo non problematizzare il fatto che questo strumento ha subìto un ventennio di logoramento», ha spiegato Salvetti ricordando sia le ritrosie della burocrazia a costruire uno strumento del genere, sia la pratica del sindacalismo di base, apparentemente immodificabile, che fa della proclamazione dello sciopero solo un elemento di propaganda per occupare la scena anziché l’esito di una progressiva indignazione che matura dentro passaggi partecipativi e condivisi. «Strabuzziamo gli occhi quando si dichiarano pacchetti di ore anziché centellinarle», ha spiegato alla platea di Chianciano ad alto tasso di sindacalizzazione.
Parlare dei problemi ad alta voce, senza semplificazioni, senza essere pessimisti.
E, tra i momenti di convergenza maturati ai cancelli, è interessante una dichiarazione congiunta, che riportiamo in calce scaturita da una discussione tra il Collettivo di Fabbrica Gkn e le compagne e i compagni della Confederazione Cobas dell’exAtaf, di Tim, Telecom e Poste, scuola e infine con l’intero esecutivo della Confederazione Cobas.
Per lo sciopero generale e generalizzato
In un clima che rimane di generale riflusso, gli ultimi mesi hanno visto importanti segnali di risveglio della mobilitazione sociale: piccoli germogli di futuro, ancora delicati e localizzati. Il rischio è che il passato si mangi il futuro, con la reiterazione di dinamiche, concezioni, frantumazioni che si sono sedimentate durante il riflusso. In questo contesto, il dibattito sullo sciopero generale e generalizzato assume una valenza chiave e deve spogliarsi da ogni approccio sloganistico e semplicistico. La domanda non è quando convocare “uno” sciopero generale, ma se ne esistono le condizioni, come verificarle, come costruirle. La questione non è chi convoca prima “uno” sciopero generale, ma cosa rende l’atto dello sciopero effettivamente generale; quanti e quali luoghi coinvolge, con che grado di efficacia e danno alla controparte. Il tema è quello di riscattare “lo” sciopero generale da ogni forma di ritualità. Il ciclo vizioso delle convocazioni aprioristiche e rituali dello sciopero generale deve cessare. Lo sciopero generale agitato in maniera scorretta rischia di bruciare l’autunno e l’idea stessa di sciopero. Lo sciopero generale non è una singola data, ma un percorso. L’azione di sciopero generale deve essere il culmine di un processo di generalizzazione della mobilitazione sociale, deve porsi il problema della propria efficacia e continuità nel tempo.
Qualsiasi discussione sul “prossimo” sciopero generale dovrebbe partire da una franca discussione sugli esiti di quelli “passati”. Nessuno degli scioperi, convocati quest’anno come tali, è stato fattivamente generale o ha inciso seriamente nei rapporti di forza sociali. In secondo luogo, è necessario uscire dal paradosso di scioperi generali convocati con mesi di anticipo, dove chi “convoca” ammette candidamente di non confidare in uno sciopero effettivamente generale e di non sapere in quale contesto cadrà tale convocazione. Come se fosse la convocazione formale della data a determinare le condizioni per lo sciopero e non le condizioni dello sciopero a determinare la convocazione formale della data. Il calendario autunnale non può essere a disposizione della data dello sciopero generale. Ma al contrario è lo sciopero generale che deve essere strumento sostanziale al servizio del calendario autunnale. Insomma, va bandita ogni idea di poter predeterminare a luglio il processo autunnale. Il che non equivale a teorizzare l’assenza di un piano di mobilitazione. Fatto salvo che la storia ci ha riservato scoppi di movimenti di massa imprevisti, la pianificazione di una mobilitazione avviene per approssimazioni successive, dove la mobilitazione stessa si dà strumenti, passaggi, tempo per verificare la propria ampiezza, tenuta, profondità. Il punto è che non si può predeterminare oggi che l’apice, il culmine, la ricaduta di un processo di mobilitazione autunnale avvenga all’ora “x”.
Va da sé che in un autunno dove con tutta probabilità l’inflazione correrà a due cifre, dove diversi settori rischiano di funzionare a singhiozzo per l’impazzimento delle catene di fornitura capitalistiche, dove registriamo il picco numerico di contratti a termine, il classico blocco di 8 ore di sciopero “a babbo morto” rischia di avere una efficacia ancora minore. Al contrario gli scioperi articolati, che si influenzano reciprocamente, possono potenzialmente avere adesioni significative tra i lavoratori/trici. Certo, lo sciopero generale risponde a dinamiche proprie che non coincidono necessariamente con quelle nel singolo luogo di lavoro. Ma esso rimane pur sempre uno sciopero. E come tale non può avere un contenuto solo propagandistico e una riuscita solo testimoniale. Non può essere l’atto con cui le avanguardie testimoniano la propria esistenza. O peggio ancora, l’atto con cui una o più sigle provano ad alzare la propria bandiera nel deserto. Ci si potrebbe obiettare che lo sciopero generale dovrebbe permettere alle lotte più avanzate di unificarsi. Ma in verità, proprio le lotte più avanzate sono spesso già impegnate in scioperi interni o di settore. E rischiano al contrario di essere fiaccate da uno sciopero generale che cada fuori contesto e con adesioni irrisorie. Vanno invertiti i termini della questione. Non è il lancio dello sciopero generale a freddo che crea le condizioni per una mobilitazione generale e generalizzata nella società. Ma è un clima di mobilitazione generale e generalizzata che crea le condizioni per il lancio dello sciopero generale. E tale clima oggi si crea e vive all’interno del processo di convergenza tra settori lavorativi, reti ambientaliste radicali, lotte transfemministe, movimento studentesco ecc.
La discussione deve uscire da modelli matematici astratti ed essere messa a terra: quali sono i nostri punti di forza, quali i punti di insorgenza reali attorno a cui sviluppare le nostre convergenze, in quante città o regioni siamo pronti a cortei significativi o allo sciopero generale territoriale, in quali categorie siamo di fronte a vertenze reali ed evocative di un clima diverso nella classe, quante e quali assemblee possiamo iniziare a fare nei luoghi di lavoro e alla riapertura di scuole e università per aprire la discussione sullo sciopero generale e generalizzato, in quali città si può ripetere ciò che è avvenuto il 26 marzo a Firenze o il 2 giugno a Coltano? Non stiamo proponendo un approccio attendista. Proponiamo che l’intera azione sindacale, comprensiva quindi dell’azione dello sciopero, si articoli, accompagni, aderisca, e aiuti la generalizzazione della mobilitazione sociale, partendo dal livello locale, anche con mobilitazioni senza sciopero di sabato in tutta Italia, per arrivare poi agli appuntamenti nazionali, manifestazione centrale e/o sciopero generale.E va evitata anche l’ossessione della prenotazione della data, a volte un espediente per lanciare per primi la data. Non possiamo escludere convocazioni di scioperi corporativi o di natura moderata. Ma laddove manteniamo e sviluppiamo il nostro processo di convergenza e di lotta, questo non ci preclude la possibilità di riempire di radicalità e contenuto persino date lanciate da altri. Perché qua non stiamo ragionando della nostra visibilità, di forma o di primogenitura, ma di rapporti di forza sostanziali, di continuare a insorgere e convergere.