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Il derby Meloni-Salvini

La sfida interna alle destre tra gioco delle parti e lotta per la leadership, vista da un inviato di Mediapart [Romaric Godin]

La coalizione di centrodestra italiana dovrebbe vincere le elezioni parlamentari del 25 settembre, ma sembra essere sempre più lacerata al suo interno. Sulla carta, l’accordo sembra perfetto: c’è un solido accordo su un programma minimo e sulla distribuzione dei collegi uninominali. Ma l’accordo non risolve la questione principale: dato che la vittoria sembra assicurata, la vera domanda ora è chi avrà il potere all’interno della futura maggioranza.

Il sistema elettorale italiano lascia aperta questa possibilità: se l’elettore non può dividere il suo voto tra candidati uninominali e liste, può scegliere tra i diversi partiti della coalizione. Per farlo, devono barrare uno dei simboli di questi partiti. Ed è proprio su questo gesto che sembrano concentrarsi i partiti di destra e, soprattutto, di estrema destra che formano questa alleanza. Gli stessi manifesti elettorali non dimenticano di ricordare all’elettore di barrare il simbolo “giusto” sul voto di lista…

Il duello principale è tra Matteo Salvini, leader della Lega, un ex partito regionalista che dal 2011 è diventato una copia della RN francese, e Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia (FdI), una formazione più vicina alla tradizione neofascista italiana. La Lega, un tempo dominante a destra, sta perdendo terreno rispetto al suo rivale di estrema destra, anche in alcune delle sue roccaforti settentrionali come il Veneto. Di conseguenza, Matteo Salvini non esita ad attaccare il suo “alleato”.

Ciò è avvenuto in particolare su uno dei temi più caldi della campagna, quello del costo dell’energia. Da diversi giorni, anche se il governo Draghi sta ultimando le sue ultime misure in materia, Matteo Salvini non ha smesso di proporre, in caso di vittoria della destra, l’attuazione di un preventivo di bilancio di 30 miliardi di euro per ridurre l’impatto della crisi. Un’opzione respinta da Giorgia Meloni, che cerca di farsi rispettare dai mercati finanziari e dall’Europa e di affrontare seriamente la questione del debito pubblico.

FdI rimane quindi fedele all’idea di affidarsi all’Europa per ottenere una politica e delle tutele comuni. La manovra rassicura alcuni elettori del centrodestra che potrebbero essere preoccupati per il sovranismo di Giorgia Meloni, ma ha scatenato un attacco da parte del leader della Lega.

Quest’ultimo ha detto di non capire perché si debba aspettare l’Europa. E ha chiesto: “E se l’Europa non fa nulla a novembre? “Sono d’accordo con Meloni su tutto, ma non capisco come si possa dire che bisogna aspettare qualche mese o qualche settimana per ridurre le bollette. Se le cose stanno così, sarà peggio di Covid”, ha aggiunto.

“Che soddisfazione c’è nell’essere primo ministro se milioni di posti di lavoro sono minacciati?”, si è chiesto. L’allusione alla pretesa del leader di FdI di diventare capo del governo dopo il 25 settembre è evidente e rende l’attacco molto personale.

Tanto che, intervistata il 12 settembre sul canale LA7, Giorgia Meloni si è presentata come una vittima degli attacchi di Matteo Salvini: “Da qualche giorno mi sorprendono alcune dichiarazioni di Salvini, [che] sembrano essere più polemiche con me che con i nostri avversari”. In risposta, la leader neofascista si presenta come difensore dell’unità nazionale, la cui necessità viene paragonata a quella costruita nel dopoguerra.

Ma questa immagine di unificatrice responsabile e tranquilla viene spesso compromessa. Non solo per i suoi discorsi infuocati sull’immigrazione e sull’insicurezza che genererebbe (discorsi difficilmente contestabili in una coalizione in cui tutti sono d’accordo sul tema e giocano felicemente su questo filo), ma anche sull’Europa.

FdI, che non ha appoggiato il governo Draghi, ha quindi lasciato intendere di voler modificare il National Recovery and Resilience Plan (NRRP), che consente di ottenere gli aiuti dell’UE in cambio di riforme. Non entra nel dettaglio di questi cambiamenti, ma il punto è che vuole imporre all’UE determinate scelte di governo.

L’Europa al centro delle polemiche

Questo desiderio fa parte della strategia di Giorgia Meloni: affermare il proprio attaccamento all’UE, promettendo al contempo di imporre nuove scelte a Bruxelles. Il PNRR è in corso e la Commissione ha avvertito che il nuovo governo italiano ha un margine di manovra limitato sull’argomento. Ma la promessa di rivedere il piano è diventata una priorità della campagna per i FDI.

Giovedì 15 settembre, Giorgia Meloni ha proclamato che, per l’Europa, “la pacchia è finita”.

Il suo braccio destro, Ignazio La Russa, ha precisato in un’intervista al Corriere della Sera che si tratta semplicemente di “fare come Parigi e Berlino”, cioè di “difendere d’ora in poi i propri interessi nazionali nell’UE” e di non subire più semplicemente le scelte degli altri.

Tuttavia, queste uscite sono preoccupanti all’interno della coalizione. Per il momento, la Lega mantiene un cauto silenzio su questa proposta di revisione del PNRR, lasciando a FdI il solo onere dell’accusa di euroscetticismo. Ma la sfida viene dal terzo partito della coalizione, quello di Silvio Berlusconi, Forza Italia. Quest’ultimo, che sta perdendo molto terreno ed è a malapena accreditato di più del 7% delle intenzioni di voto, vuole garantire l’ancoraggio pro-europeo della coalizione.

L’ex presidente del Consiglio si è rifiutato di commentare direttamente la dichiarazione di Giorgia Meloni, che ha fatto dire a Ignazio La Russa che “sarebbe d’accordo con lei”. Ma è stato un altro evento a far uscire Silvio Berlusconi allo scoperto. Il 15 settembre, al Parlamento europeo, Lega e Fratelli d’Italia hanno votato insieme contro la condanna del regime ungherese, a differenza di Forza Italia che ha votato a favore.

È stata l’occasione per Silvio Berlusconi, che rappresenta ancora una parte significativa dei leader economici italiani, di mettere in guardia i suoi due alleati. “Siamo europeisti e atlantisti e se i nostri alleati, di cui mi fido e che rispetto, andranno nella direzione opposta, non saremo più al governo”, ha avvertito in un’intervista al sito web Lapresse.

E ha aggiunto: “Siamo la garanzia che questo governo sarà liberale, cristiano e soprattutto europeista e atlantista. Tuttavia, se il partito di Berlusconi è in difficoltà, la distribuzione dei seggi implica che il suo sostegno sarà senza dubbio indispensabile per la futura coalizione.

Naturalmente, si può anche ipotizzare una forma di distribuzione dei ruoli nella coalizione di destra, con i partiti che insistono su vari punti e in cambio garantiscono la difesa dalle tentazioni degli altri. In risposta alle accuse di eccessi autoritari e sovranisti avanzate dal Partito Democratico, Berlusconi sarebbe lì a rassicurare sui futuri orientamenti della coalizione. Ma non bisogna trascurare l’esistenza di una vera e propria competizione interna con una chiara posta in gioco elettorale.

Sospetti russi

Un recente episodio lo ha dimostrato. La pubblicazione, il 13 settembre, di un rapporto del Dipartimento di Stato americano sul finanziamento russo di alcuni partiti in Europa ha riacceso i dubbi sull’esistenza di tali finanziamenti alla destra italiana. La Lega e FdI, e anche in misura minore Forza Italia, sono state spesso sospettate di tali finanziamenti.

I tre partiti hanno ovviamente respinto queste accuse, ma la difesa non è stata affatto congiunta, anzi. Il partito di Giorgia Meloni ha subito evidenziato la sua posizione a favore dell’Ucraina e il suo impegno nei confronti della NATO e delle sanzioni contro la Russia. Mosca, secondo lei, avrebbe fatto una “pessima scelta”.

Ancora meglio, queste rivelazioni sono avvenute durante il viaggio di un dirigente del partito, Adolfo Urso, a Washington. Adolfo Urso è anche presidente del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir) e ha sfruttato il suo status per discutere con i funzionari statunitensi, chiarendo che FdI non ha nulla da nascondere in merito.

Questo atteggiamento sembra lasciare la Lega da sola contro tutti. Matteo Salvini, all’inizio di settembre, si era espresso contro le sanzioni alla Russia. Il Partito Democratico di centro-sinistra è intervenuto per chiedere “chiarezza” sui fondi russi. E persino Mario Draghi, l’attuale capo del governo, ha chiamato il Segretario di Stato americano Antony Blinken per sapere se l’Italia fosse preoccupata.

Washington gli assicurò che l’Italia non era preoccupata dal rapporto, ma questo non è servito a placare la controversia. Tutti in Italia si aspettano che le rivelazioni colpiscano la Lega su questo punto. Matteo Salvini è chiaramente nel mirino ed è apertamente “infastidito” da questi sospetti. “Faremo causa a coloro che ci accusano di aver ricevuto fondi russi perché non posso più sopportare questi sospetti”, ha martellato mercoledì, prima di dichiarare che “non è mai stata trovata alcuna prova di questi fondi perché non esistono”.

Resta il fatto che l’appoggio di Giorgia Meloni, che ha fatto della difesa dell’Ucraina un punto centrale della sua campagna elettorale, è inesistente, mentre quello di Silvio Berlusconi è molto generico visto che si è accontentato di dichiarare che “l’unico partito che ha ricevuto fondi russi in Italia è il Partito Comunista” – il (lontanissimo) antenato del Partito Democratico.

L’impressione generale è che su molte questioni la coalizione di destra avrà difficoltà a costruire una politica coerente. Nell’ultima settimana di campagna elettorale, il problema potrebbe non essere tanto quello di combattere gli avversari divisi, quanto quello di posizionarsi per il futuro e le future discussioni di governo.

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