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Morte non accidentale di un altro anarchico?

Mancano pochi giorni al riesame per Cospito. Il governo sembra scommettere sulla morte dell’anarchico e l’opposizione è distratta

Mancano pochi giorni, ormai, al 24 febbraio, giorno del riesame contro la detenzione in regime di 41bis per Alfredo Cospito, in sciopero della fame da 123 giorni. Un ricorso partito nel 2022 e per il quale, il 19 dicembre, un tribunale romano ha respinto la richiesta nonostante il gravissimo stato di salute del 55enne anarchico insurrezionalista pescarese. Il successivo appello al Ministero della Giustizia italiano aveva rinviato la decisione finale alla magistratura per il 7 marzo, un ritardo che in molti hanno definito “una condanna a morte”.

Così quel riesame è stato anticipato al 24 febbraio. In vista dell’udienza, il procuratore generale della Cassazione, Pietro Gaeta, ha raccomandato la scarcerazione di Cospito dal 41-bis, affermando che non ci sono prove sufficienti che Cospito continuasse a lavorare dall’interno del carcere per giustificare l’uso del regime super severo.

Figura controversa, Cospito è considerato da molti un terrorista. Per altri, invece, è la vittima di uno Stato che sta espandendo un regime carcerario brutale a nuovi obiettivi.

Membro di spicco della Federazione anarchica informale (FAI), è in carcere dal 2014 per aver sparato tre volte al ginocchio a Roberto Adinolfi, alto dirigente di Ansaldo Nucleare, insieme al suo compagno Nicola Gai.

La Fai informale, va detto, è una sigla in aperta polemica con la Fai “tradizionale”, la federazione anarchica italiana, è dichiaratamente insurrezionalista e “acefala”, una rete di individui e piccoli “gruppi di affinità” temporanei, senza alcun organo decisionale e senza struttura organizzativa, per cui è già contraddittorio in sé, al di là della nostra distanza politica, considerarla una organizzazione – di cui Cospito sarebbe il leader, secondo il teorema – più di quello che in realtà è: un “metodo” d’azione.

L’attentato contro Adinolfi è stato paragonato a quello delle Brigate Rosse che, al loro apice negli anni ’70 e ’80, “gambizzavano” spesso i loro obiettivi.

L’attacco di Cospito e Gai non fu tuttavia mortale, lasciando ad Adinolfi una frattura al ginocchio.

Nel 2019, mentre era in carcere, Cospito ha ricevuto un’ulteriore condanna a 20 anni per l’attentato del 2006 a un’accademia di polizia in Piemonte – che non causò feriti – e per un’ondata di altri attacchi, tutti non mortali come certi pacchi bomba inviati a obiettivi in tutta Italia, tra cui l’ex premier e presidente della Commissione europea Romano Prodi e il direttore di un centro di detenzione per immigrati di Modena. La sentenza di Cospito è stata poi aumentata all’ergastolo dalla Corte Suprema.

Lo scorso maggio, Cospito è stato trasferito nel carcere di Bancali, nella città sarda di Sassari, per aver presumibilmente incitato gli anarchici fuori dal carcere a lanciare attacchi contro le persone coinvolte nel suo arresto. Le autorità hanno scelto questo carcere perché è tra i pochi in Italia a operare in regime di super severo “41-bis”.

Conosciuto anche come carcere duro, il nome è un riferimento all’articolo 41 della legge di riforma carceraria con cui è stato introdotto nel 1986, un anno di scontro frontale con Cosa Nostra e la NCO di Cutolo.

Nel tentativo di impedire ai boss mafiosi di continuare il loro lavoro dall’interno del carcere, il 41-bis sospese quasi tutti i diritti abituali dei detenuti. In base al regime, i detenuti sono tenuti in celle di 1,5 metri per 2,5 metri per 22 ore al giorno, non possono avere contatti sociali, telefonate o pacchi e possono ricevere una sola visita mensile.

Il 41-bis ha suscitato un’ampia condanna internazionale. Nel 2003, Amnesty International ha definito il 41-bis “crudele, disumano e degradante”. Nel 2007, il regime è stato condannato dalla Corte europea dei diritti umani per la violazione di due articoli: 6, il diritto a un equo processo, e 8, il diritto al rispetto della vita privata e familiare.

Quando nello stesso anno l’Italia ha tentato di estradare il boss mafioso Rosario Gambino dagli Stati Uniti, i suoi avvocati hanno sostenuto con successo che il 41-bis avrebbe messo a rischio la vita del loro cliente; il giudice federale statunitense ha scritto nella sua decisione che il regime era “simile alla tortura”. Una pratica molto cara agli apparati repressivi sia nelle prigioni, sia nelle piazze e nei commissariati, potremmo dire congenita alla cultura politica delle polizie italiane (con un saldo retroterra ideologico nell’era fascista grazie alla continuità degli apparati scampati all’epurazione per via dell’amnistia Togliatti), che sono riusciti a impedire per decenni che il codice italiano si potesse dotare di uno strumento efficace finché a toglierli d’impaccio non fu il famigerato governo Renzi che, nel 2017 varò una blandissima legge supervisionata dai sindacati di polizia.

Il sistema ha suscitato critiche anche di una parte della società civile italiana. “È giusto che una categoria del sistema giuridico sia finalizzata solo alla vendetta?”, si è chiesto ad esempio Zero Calcare, un popolare fumettista e attivista di sinistra: “Anche se sono dei mostri, è bene distruggerli psicologicamente e fisicamente? Perché questo è lo scopo del 41-bis”.

Tali critiche, sia estere che interne, hanno fatto poco per scoraggiare lo Stato italiano: al momento in cui scriviamo, 749 persone sono detenute in regime di 41-bis.

Al contrario, il governo italiano di estrema destra appena eletto, guidato dal primo ministro Giorgia Meloni e dal suo partito Fratelli d’Italia, ha cercato di espandere il 41-bis a nuovi obiettivi.

Questo governo ha bisogno di nemici.

Lo sciopero di Cospito non è nuovo: già nel 2002, 300 detenuti per mafia hanno dichiarato uno sciopero della fame contro il 41-bis. Ciò che è nuovo è l’uso del 41-bis – un sistema progettato per i mafiosi che uccidono in massa – contro un attivista politico.

Anche nell’estrema sinistra la questione è stata divisiva al tempo della mai rimpianta Lista Ingroia dove il Pdci, allora con un certo peso specifico, riuscì a non caratterizzare la campagna elettorale anche contro la repressione. Più coraggioso fu l’atteggiamento di Potere al Popolo, nel 2018, quando era una coalizione più ampia del partito molto perimetrato che conosciamo oggi.

Meloni, in assoluta continuità con chi l’ha preceduta, ha adottato una linea dura sulla detenzione di Cospito: “Così come lo Stato non tratta con la mafia”, ha dichiarato recentemente alla stampa, “non tratta nemmeno con i terroristi”. Sappiamo bene che ‘terrorismo’ è una definizione politica che viene applicata ai dissidenti e Fratelli d’Italia così come la Lega evoca spesso il terrorismo, le Brigate Rosse anche per quanto riguarda graffiti e striscioni ostili.

Questo governo post-fascista ha bisogno di nemici, che siano immigrati, giovanotti che ballano oppure, come in questo momento, anarchici.

Anche se Meloni può aver enfatizzato le contraddizioni in seno al diritto liberale, l’Italia ha una lunga storia di trattamenti nettamente diversi per gli attori di estrema destra e di sinistra. Luca Traini, il fascista che nel 2018 ha sparato e ferito gravemente sei immigrati africani nella città di Macerata, ha ricevuto 12 anni di carcere. L’anno successivo, Cospito sarebbe stato condannato per quasi il doppio del tempo per un attacco non mortale. L’attuale ergastolo di Cospito in base al 41-bis riflette le più ampie priorità politiche del governo di estrema destra.

La Corte di Cassazione ha ritoccato il reato commesso da Cospito in ‘strage contro la sicurezza dello Stato’. Ma questo reato non è stato attribuito nemmeno ai cospiratori della strage fascista di Piazza Fontana del 1969 [in cui terroristi di estrema destra, proprio il retroterra di molti fondatori di FDI, misero una bomba fuori dalla sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano, uccidendo 17 persone e ferendone 88] o a quelli della strage mafiosa di Capaci, in cui morì il giudice Falcone.

Lo sciopero della fame di Cospito ha scatenato proteste in tutto il Paese con migliaia di persone scese in piazza per chiedere il suo rilascio e la fine del 41-bis. Scontri di piazza tra manifestanti e polizia si verificano quasi ogni notte a Milano, vicino al luogo di detenzione di Cospito; gli studenti dell’Università di Torino hanno creato una replica in scala della sua cella nel mezzo del campus.

A Roma, la più grande università della città è stata occupata per chiedere la fine del 41-bis, mentre nel quartiere romano di Trastevere, 400 manifestanti sono scesi in piazza. In tutte le città italiane, manifesti e adesivi di Cospito tappezzano le fermate degli autobus e i muri antichi.

Le proteste diffuse hanno scatenato una prevedibile reazione da parte del governo italiano di estrema destra, che avrebbe chiesto un giro di vite contro il “terrorismo delle proteste di strada”.

Piuttosto deboli, invece, le reazioni della presunta opposizione. A parte i “soliti noti” del garantismo (Amnesty, A buon diritto di Luigi Manconi, Antigone, Ferrajoli ecc…), il Pd – che ha lasciato l’affaire Cospito in eredità a Meloni – non ha molto da vantarsi sul piano del rispetto del dissenso e meno ancora i cinque stelle imbevuti di retorica legalitaria e antipolitica.

E la Cgil non sembra aver capito che ogni tipo di repressione è diretta contro l’agibilità politica del conflitto sociale. La vicenda Cospito realizza il progetto di lungo corso di trasformare il dissenso in reato comune e odioso: negli anni scorsi si è tentato più volte di trattare movimenti e pratiche (senza casa e disoccupati organizzati, in particolare) alla stregua di organizzazioni criminali, un integralista Yes Tav del Pd, tale Esposito, insisteva per affrontare i blocchi stradali come sequestri di persona. Prima Minniti, Salvini poi, avrebbero perfezionato la trappola. E ora il 41bis, pensato per i boss (e comunque ritenuto inutile ai fini della lotta alla mafia) ma brandito contro un’espressione politica (già duramente colpita per i reati commessi) da un partito di maggioranza relativo costellato da Nord a Sud da un ceto politico contiguo alla criminalità organizzata e di stampo mafioso.

Intanto, da gennaio, Cospito è stato trasferito in un ospedale penitenziario di Milano a causa delle sue condizioni di salute; secondo quanto riferito, ha perso oltre 50 kg digiunando. Un appello degli avvocati di Cospito affinché il ministro della Giustizia, il “garantista” Carlo Nordio intervenisse direttamente è stato respinto.

La sensazione è che settori dello Stato preferiscano che Cospito diventi un martire o un esempio.

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