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Pensioni, lo schiaffo dei Saggi di Francia ai lavoratori

Il Consiglio costituzionale dà l’ok alla controriforma che Macron promulga nella notte. Il primo maggio sarà «eccezionale»

Dopo il parere del Consiglio Costituzionale che, non a caso, ha convalidato l’odioso arretramento dell’età pensionabile legale a 64 anni, Macron ha promulgato la legge sulla riforma delle pensioni nella notte, senza aspettare le due settimane che il funzionamento delle istituzioni gli concedeva per farlo. E’ accaduto nel pomeriggio di ieri, venerdì 14 maggio, mentre dalle 18.00 in poi, all’appello dell’intersindacale, la Place de l’Hôtel-de-Ville di Parigi si riempiva di gente. Lavoratori, studenti e rappresentanti eletti che hanno gridato finché hanno potuto, alcuni hanno discusso le prossime tappe del movimento, altri hanno immaginato cosa avrebbe portato la serata. Tutti hanno condiviso un sentimento comune di disgusto nei confronti di un governo e di istituzioni che prendono decisioni brutali.

All’inizio della giornata, un corteo di diverse centinaia di persone ha sfilato da Saint-Lazare a Place de l’Hotel-de-Ville, su appello del Coordinamento nazionale degli studenti e di diverse assemblee generali interprofessionali della regione parigina. Anche nel resto della Francia si sono sviluppate subito manifestazioni e stamattina i quattro sindacati rappresentativi della SNCF hanno indetto sabato una “giornata di espressione della rabbia ferroviaria” per giovedì prossimo, 20 aprile. La giornata dovrebbe essere una “fase di preparazione” alle manifestazioni del 1° maggio, indette dall’intersindacale, in reazione alla promulgazione della riforma delle pensioni.

NPA: non finisce qui!

Tornando al verdetto della Corte costituzionale, i cosiddetti Saggi hanno anche fatto cadere la proposta delle forze politiche della Nuova Unione Popolare Ecologica e Sociale (Nupes) di sottoporre la legge a una deliberazione dell’Assemblea Nazionale, come richiesto ieri sera. «È la prova che le istituzioni della Quinta Repubblica sono fatte su misura per le politiche autoritarie che accompagnano l’attuazione degli arretramenti sociali e che una vera democrazia, in cui gli sfruttati e gli oppressi prendono in mano i loro affari, richiede una rottura con queste istituzioni», commenta la direzione dell’Npa, il Noveau Partie Anticapitaliste, combattiva formazione dell’estrema sinistra francesce ricordando le tappe forzate con cui Matignon, la sede del governo, e l’Eliseo hanno imposto la controriforma delle pensioni, che prevede tra l’altro due anni di allungamento della vita lavorativa, da 62 a 64 anni, nonostante venti settimane di mobilitazione popolare senza precedenti nemmeno in Francia.

Procedura accelerata di “dibattito” all’Assemblea Nazionale, uso del 49.3 (l’articolo della Costituzione che consente al Presidente di promulgare una legge senza passare per il Parlamento, una sorta di fiducia coi superpoteri), repressione delle manifestazioni (con centinaia di arresti in tutto il Paese anche la scorsa notte, la polizia francese è forse la più violenta tra le consorelle dei paesi cosiddetti democratici). «Macron sa solo usare la forza, anche se, più che mai, il suo progetto di controriforma, il suo governo e il suo potere sono illegittimi agli occhi della maggioranza», prosegue il comunicato sottolineando che «la battaglia per il ritiro della controriforma non è quindi finita. Innanzitutto perché lo sciopero può ricominciare in una serie di settori ancora mobilitati, ma anche perché abbiamo i mezzi per riuscire in nuove giornate di mobilitazione. In questo contesto, la giornata internazionale di lotta dei lavoratori, lunedì 1° maggio, deve essere caratterizzata da un’esplosione popolare nelle strade. Perché non farne una grande manifestazione nazionale con salita a Parigi, per dare la massima espressione alla rabbia popolare contro Macron e il suo iniquo potere?

Contro la volontà della stragrande maggioranza della popolazione, contro la giustizia sociale e gli interessi del mondo del lavoro, il liberale-autoritario Macron si vanta e afferma che “non mollare” sarà il suo “motto”. Non abbiamo detto l’ultima parola e la determinazione del nostro campo sociale è intatta. Se sarà necessario, andremo a prendere Macron a casa sua!».

La proposta in campo, lanciata dall’intersindacale, è quella di un Primo maggio di lotta «eccezionale» e che NPA vorrebbe convergente nella capitale, anche se come previsto, l’istituzione presieduta da Laurent Fabius (socialista di lungo corso, ministro con Mitterand e Hollande) ha confermato l’essenza del testo, compreso il famoso aumento dell’età pensionabile legale a 64 anni.

Un testo ulteriormente peggiorato

Solo sei “cavaliers sociaux” (cavilli sociali, nel diritto francese, il termine cavalier è utilizzato in un disegno o in una proposta di legge per designare le disposizioni che, in virtù delle norme costituzionali o organiche che regolano la procedura legislativa, non appartengono al testo in cui il legislatore intendeva inserirle) – quelle disposizioni che non trovano posto in una legge di bilancio – sono stati censurati peggiorando ulteriormente il testo. È il caso, in particolare, dell’indice per gli anziani (che avrebbe dovuto essere una delle contropartite dell’aumento dell’età pensionabile. questo nuovo indicatore avrebbe dovuto svelare le pratiche delle grandi aziende per quanto riguarda l’impiego di dipendenti con più di 55 anni) e della sperimentazione di un “CDI, contrat à durée indéterminée per gli anziani” in cui nessuno credeva più. Il Consiglio costituzionale ha inoltre respinto la richiesta di referendum di iniziativa popolare (RIP) presentata dalla sinistra a metà marzo. La seconda richiesta, arricchita e lanciata il giorno prima dagli stessi partiti, sarà oggetto di una nuova decisione il 3 maggio.

I sostenitori di Emmanuel Macron hanno salutato “il culmine” di quello che amano chiamare “percorso democratico”, fingendo di dimenticare che la democrazia non può avere successo quando dimentica il suo carattere sociale. Tuttavia, è proprio la cosiddetta democrazia sociale che il governo e, con esso, i “saggi” di rue de Montpensier hanno portato a termine il 14 aprile.

Insistendo sul fatto che doveva verificare “la conformità con la Costituzione” e “non risolvere tutti i dibattiti che la riforma delle pensioni può sollevare”, il Consiglio costituzionale si è accontentato di riconoscere che “l’uso combinato delle procedure attuate era di natura insolita”, senza tuttavia “rendere la procedura legislativa contraria alla Costituzione”. «Se la sua decisione chiude il dibattito sulla legalità del testo, non lo rende più legittimo», sottolinea un editoriale sul sito Mediapart.

La fretta dell’Eliseo

In un comunicato che invita a “una giornata di mobilitazione eccezionale e popolare contro la riforma delle pensioni e per la giustizia sociale” il 1° maggio, l’intersindacale ribadisce “solennemente” la richiesta al capo dello Stato di non promulgare la sua legge, “l’unico modo per placare la rabbia che si sta esprimendo nel Paese”. Fino ad allora, nessuno dei sindacati si presenterà a un incontro con l’esecutivo “il cui ordine del giorno non sarà il ritiro della riforma”.

Non sorprende che Emmanuel Macron abbia deciso diversamente. La riforma delle pensioni è stata quindi promulgata nella notte e apparirà sulla Gazzetta Ufficiale sabato 15 aprile. Secondo l’articolo 10 della Costituzione, il Presidente della Repubblica avrebbe potuto, prima della scadenza del termine legale di 15 giorni, “chiedere al Parlamento una nuova deliberazione della legge o di alcuni dei suoi articoli” – questo è quanto chiedeva anche il capo della CFDT (sigla di solito più moderata) Laurent Berger. Ma questa opzione non è stata nemmeno presa in considerazione.

«Questo testo è stato amputato delle uniche misure che erano state presentate come sociali – ha commentato anche il segretario del PCF, Fabien Roussel – il minimo che possiamo fare è presentarlo al Parlamento nella sua interezza. L’articolo 10 della Costituzione lo consente. La parte peggiore di questa legge è stata mantenuta: due anni in più per tutti i lavoratori. Questa è una vera e propria provocazione, uno schiaffo in faccia. Non si tratta più di gettare olio sul fuoco, ma di una tanica di benzina. Abbiamo bisogno di democrazia. Questa riforma deve essere ritirata o almeno deve essere consultato il popolo.

L’intersindacale è ancora un fronte unito

La promulgazione è un ennesimo segno di “disprezzo”, hanno giudicato a loro volta questo sabato il numero uno della CFDT Laurent Berger e la sua omologa della CGT Sophie Binet. La promulgazione nella notte della legge nella Gazzetta Ufficiale “conferma il violento disprezzo del Presidente della Repubblica sia per la popolazione che poi in particolare per i sindacati”, ha dichiarato la segretaria generale della CGT Sophie Binet su Franceinfo, condannando una “decisione totalmente vergognosa”, mentre Laurent Berger ha affermato su Twitter: “Fin dall’inizio, il disprezzo mostrato ai lavoratori è stato costante. Ma la loro dignità in strada è più forte”. Emmanuel Macron “ci sbatte la porta in faccia ancora una volta e conferma la radicalizzazione molto preoccupante del potere”, ha continuato la numero uno della CGT. In una lunga dichiarazione pubblicata su Twitter, ha anche ricordato che “l’intersindacale ha posto come condizione il ritiro della riforma a qualsiasi nuovo incontro con il presidente e il governo”. Rispondendo ai timori che possono essere stati espressi prima delle decisioni costituzionali, ha aggiunto che l’intersindacale “rimane unita e chiede che il Primo Maggio sia un momento storico nelle mobilitazioni”.

Macron è sempre più solo

Insistono gli osservatori che, nonostante la volontà degli oppositori del testo di continuare la mobilitazione, il governo pensa di essere in grado di chiudere la porta. A testa bassa spera di porre fine a quella che considera l’ennesima “sequenza” della serie Netflix che da sei anni si svolge all’Eliseo. E in cui i corpi intermedi, come i milioni di lavoratori mobilitati da settimane, sono confinati al ruolo di comparse.

Nei corridoi ministeriali circolano già voci su come Emmanuel Macron intenda “riprendere il controllo”. Si parla di rimpasto, di nuove priorità legislative, di compromessi politici con l’uno o l’altro. Niente che possa rispondere alla rabbia espressa in tutta la Francia, dove l’estrema destra, arrivata seconda alle elezioni presidenziali per la seconda volta consecutiva, non è mai stata così potente.

Come il capo dello Stato ritenga di poter portare tranquillamente a termine il suo mandato in una tale situazione di crisi sociale, politica e istituzionale è un vero mistero. Senza maggioranza all’Assemblea Nazionale, isolato nel suo palazzo, costretto a usare la forza per sedare le aspirazioni della società, Emmanuel Macron si aggrappa alle sue politiche a favore dei più ricchi e in barba all’emergenza climatica, senza mai riflettere sulla poca coesione sociale rimasta nel Paese, che sembra voler spazzare via con lo zelo dei liquidatori.

Facendo del Consiglio Costituzionale l’arbitro dei propri errori politici, ha trascinato con sé le già tanto bistrattate istituzioni francesi. La Quinta Repubblica si è esaurita. Ora è repubblicana solo nella sua facciata. Come ha spiegato di recente il professore di diritto costituzionale Dominique Rousseau, l’istituzione di rue de Montpensier aveva ora l’opportunità di dimostrare la propria “indipendenza” svolgendo “appieno il proprio ruolo di custode del corretto funzionamento della procedura e del dibattito parlamentare”.

«Ma il Consiglio costituzionale ha preferito consacrare il suo carattere fittizio e anacronistico – scrive Ellen Salvi su Mediapart – confermando il suo profilo di ultimo ricorso giudiziario di fronte alle azioni di un principe e della sua corte, a cui i suoi membri devono la loro nomina. Si tratta di un ruolo ben lontano da quello assegnato alle corti supreme delle democrazie vicine, che hanno visto fino a che punto i monarchi repubblicani francesi si crogiolano nei poteri assolutistici dell’Ancien Régime, mentre altri Paesi – talvolta monarchici – hanno sviluppato una prassi parlamentare molto più rispettosa dei cittadini.

Un precedente che sarà sfruttato dall’estrema destra

In definitiva, i “Saggi” – che ora sono chiamati solo con il loro nome – hanno creato un pericoloso precedente. Hanno preso una decisione tanto brutale quanto tecnica, su cui potranno contare tutti i governi che vorranno stravolgere i principi costituzionali, aggirare i diritti del Parlamento e sedersi sulla separazione dei poteri. Le ultime garanzie sono scomparse. La strada è ormai spianata per i regimi illiberali. Se l’estrema destra andasse al potere, potrebbe rivendicare con sincerità la sua continuità di prassi istituzionale, mescolando il disprezzo per il Parlamento, l’annientamento della socialdemocrazia e la repressione poliziesca delle proteste».

 

 

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