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Quella di Meloni è stata una lunga marcia

Un dibattito sul neofascismo in Italia tra David Broder – autore di Mussolini’s Grandchildren – e lo storico Paolo Pezzino

Sarà che in questa tarda primavera il sole tarda a farsi vedere, sarà che dall’Ucraina al Kosovo soffiano venti di guerra, ma tutto fa pensare che la rossa primavera sia lontanissima da conquistare e che sorga il nero dell’avvenire…

Così l’ANPI Valdichiana, fra una mucca e l’altra, ha deciso di cercare di ritrovare in questa notte le stelle che dovrebbero guidarci ed ha organizzato, in occasione del ponte del 2 giugno, tre giorni di Festa della Costituzione, la nostra stella polare.

La manifestazione si è conclusa domenica 4, con un dibattito sul neofascismo in Italia, cui hanno partecipato, David Broder – giornalista e storico britannico, autore, fra l’altro, del recentissimo saggio Mussolini’s Grandchildren – e Paolo Pezzino, presidente dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri, rete degli istituti storici della Resistenza e dell’Età contemporanea.

Non ancora tradotto in Italia, e chissà se lo sarà, il libro di Broder mostra i fili di una certa continuità ideologica con il fascismo: la difesa di un’identità familiare cattolica, nazionalista e tradizionalista contro la minaccia “sostitutiva” degli immigrati stranieri, aiutati e sostenuti dalla sinistra, dai marxisti e da persone come George Soros. Egli mostra come questo rappresenti una minaccia ai diritti democratici e divida la classe operaia, rendendo più difficile la ricostruzione di una lotta per un’alternativa progressista o socialista. Tuttavia, secondo Broder, il progetto politico di Meloni è quello di sviluppare una forza conservatrice nazionale sulla falsariga del partito di Victor Orban in Ungheria o del partito Diritto e Giustizia in Polonia. Ma il saggio mostra anche la porosità della destra di governo nei confronti di frange neofasciste.

Broder, come scrive Dave Kellaway recensendo il libro, «aiuta ad allontanare le persone da posizioni esagerate e allarmistiche sul nuovo governo, indicando invece le reali minacce attuali: come le sue politiche economiche continuano a ridurre il tenore di vita dei lavoratori e come la sua offensiva ideologica rende più difficile l’unità nella lotta e l’avanzamento di un progetto progressista.

“L’arrivo di Meloni al governo non è una svolta brusca, come il ritorno di Mussolini nel film Sono tornato di Luca Miniero. È il punto di un arrivo di un processo lungo trent’anni, di un indebolimento duraturo della democrazia italiana” esordisce Broder.

Ecco come appare la politica italiana all’estero. E lo sgomento crescente si sente nelle parole dello storico britannico: “in Fratelli di Italia è chiara la volontà di schiacciare la Repubblica nata dalla Costituzione, di seppellire la tradizione antifascista, di sostituire una Repubblica parlamentare fondata sulla democrazia con una presidenziale su base etnica”. E come dargli torto quando il Ministro Lollobrigida, fra l’altro cognato di Meloni, parlando della scarsa natalità, al convegno Cisal lo scorso 18 aprile, tuona “no alla sostituzione etnica!”. La sua unica accortezza è di aver usato il sinonimo “etnia” meno odioso di “razza”. Ma il concetto è quello.

Pezzino traccia una lucida analisi delle cause che hanno riportato il fascismo (anche se quelli di Fratelli di Italia ci mettono un prefisso, definendosi “Post-fascisti”) al governo, permettendo al partito di Meloni, fondato nel 2012, di passare dal 2% del 2013 al 26% delle ultime elezioni.

“Individuo tre problemi in Italia: i fenomeni di globalizzazione che hanno creato un ceto di ‘paria semi schiavi’ come i lavoratori della logistica, i riders; la crisi del welfare e la paura dell’altro, alimentata dall’immigrazione. Non a caso uno degli slogan più di successo dell’attuale governo è ‘Prima gli Italiani’ scopiazzato dall’ ‘America first’ di Trump”.

E la paura dall’ “invasione”, purtroppo, non è un fenomeno solo italiano, osserva Pezzino, e cita la Grecia, per il video scioccante, pubblicato in esclusiva dal New York Times, poco prima delle elezioni, che ha filmato, a Lesbo, dei migranti, fra cui bambini, caricati su un bus e poi su un gommone dalla guardia costiera greca, mandati alla deriva verso le coste della Turchia, in balia dell’Egeo. “Ecco, nonostante questo video, anzi, forse proprio grazie a questo video, la destra ha stravinto in Grecia”.

Dall’autoritarismo alla xenofobia passando attraverso la rivendicazione di una piena sovranità nazionale, ecco il mix del governo Meloni, che mette sul banco degli accusati l’Unione Europea e tutte le istituzioni sovranazionali, nonché i mercati finanziari. Tanto è vero che l’Italia è l’unico pase europeo a non aver sottoscritto il MES, il Meccanismo europeo di stabilità.

“Questi sedicenti postfascisti usano la parola patria a sproposito, cercano le premesse del loro patriottismo in Dante e, più recentemente, le trovano in Manzoni. Sono cose ridicole se non fossero tragiche”, constata amaramente Pezzino, “patrioti furono per noi i partigiani, che salvarono la patria dalla barbarie nazifascista. Infatti non sono d’accordo con la giunta comunale bolognese, guidata da Matteo Lepore, che ha deciso di modificare la toponomastica della città sostituendo con ‘partigiano’ la parola ‘patriota’: non dobbiamo lasciare il concetto di patria alle strumentalizzazioni fascistoidi della destra”. Ed è vero, basti pensare a quel che scrisse Piero Calamandrei (la cui nipote, Franca, è seduta fra il pubblico) subito dopo la liberazione: “Veramente la sensazione che si è provata in questi giorni si può riassumere senza retorica in questa frase: ‘Si è ritrovata la patria’”. Ancora più eloquente una pagina di Natalia Ginzburg: “Le parole ‘patria’ e ‘Italia’ che ci avevano tanto nauseato fra le pareti della scuola perché accompagnate dall’aggettivo ‘fascista’, perché gonfie di vuoto, ci apparvero d’un tratto senza aggettivi e così trasformate che ci sembrò di averle udite e pensate per la prima volta. D’un tratto alle nostre orecchie risultarono vere”.

Che sconforto, invece, nella rivendicazione orgogliosa del passato fascista da parte di questo governo. Meloni, ricorda Pezzino, ancora prima di essere premier ma appena saputi gli esiti elettorali, ha dichiarato “dedico questo successo a coloro che non ci sono più”, chiaro riferimento ad Almirante e, probabilmente, anche a Mussolini. E poi c’è quella fiamma nel simbolo di Fratelli di Italia che proprio non si spegne…

“La politica è sempre più personalizzata -continua Pezzino- e la figura della Meloni, purtroppo, piace, e piace soprattutto ai giovani, che costituiscono il 30% dell’elettorato di Fratelli di Italia”.

Va riconosciuto, la sinistra ha perso la sua forza propulsiva, in primis fra i neo elettori, forse anche perché siamo il secondo paese in Europa per tasso di disoccupazione giovanile. “Bisognerebbe mettere le politiche giovanili al centro, perché un paese che non punta ai giovani è destinato alla decadenza”, suggerisce Pezzino.

Broder concorda “Non c’è un altro paese europeo in cui i salari siano più bassi di quelli di trenta anni fa”. E prosegue: “Vengo spesso accusato di allarmismo, ma adesso l’Italia sarà una pacchia per gli evasori”. Per loro sì, non credo proprio che lo sarà per quei ragazzi che militano nella Gioventù Nazionale sotto lo sloga “Crea, credi, cambia”, che scimmiotta un po’, nell’uso dell’allitterazione, quello di Giulio Cesare in Gallia e un po’ riprende il verbo “credere” di mussoliniana memoria.

In conclusione, Pezzino ricorda un aneddoto su Vittorio Foa che così rispose ad un missino “sai qual è la differenza fra te e me? Che se aveste vinto voi, io adesso sarei in galera, ma abbiamo vinto noi e tu hai diritto di sedere in parlamento”.

Ecco, questa volta, però hanno vinto loro…

Il ciel si oscura e inizia a piovere in Valdichiana, termina il dibattito, l’ANPI ripone la rossa sua bandiera, torniamo a casa, meno liberi e meno fieri.

 

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