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Ricordando Renato, con rabbia e amore

17 anni fa l’omicidio di Renato Biagetti da parte di due giovani fascisti romani. Un ricordo che vive nelle lotte dei suoi compagnə

Chi ha ucciso Renato è sceso da una macchina grigia con il coltello in mano. E ha mirato direttamente al petto. Poi ha ferito chi era con lui. La sua ragazza e l’amico di sempre. Erano le cinque del mattino di domenica. Il 27 agosto 2006. Renato Biagetti aveva 26 anni ed era stato a un concerto reggae sul litorale romano, a Focene, una frazione di Fiumicino. Una serata tranquilla, come tante altre. Fino all’alba quando sta per tornare a Roma, nel quartiere di Grotta Perfetta. Proprio fuori dal chiosco, sulla spiaggia, una macchina grigia metallizzata accosta la vettura dove Renato e i suoi amici sono appena saliti. «E’ finita la festa?». «Sì? E allora perché non ve ne andate a Roma?!», ha detto uno dei due che era a bordo prima di scendere con la lama tra le dita. Tre colpi al cuore e ai polmoni di Renato. E ferite più lievi per i suoi compagni di sventura.

Lei ha trent’anni, l’altro 29. Ma parlerà coi carabinieri anche Renato. Lo farà al Grassi di Ostia mentre aspetta un paio d’ore, pare, prima di entrare in sala operatoria. E’ lì che morirà, intorno a mezzogiorno. «Dopo un’attesa inspiegabile e inaccettabile», dissero gli amici e le amiche di Acrobax. Perché Renato era un compagno, dei tanti che si riconoscono nelle attività del Laboratorio occupato che una volta era il Cinodromo di Ponte Marconi.

Renato era un ingegnere fresco di laurea e faceva il precario nel rutilante mondo della musica. Tecnico del suono. Un ragazzo come tanti, dolcissimo, amato da tutti. Passava ad Acrobax tutti i giorni. Per amicizia, per politica. Suo fratello Dario, “Darione”, è proprio uno degli occupanti e animatore della squadra di rugby, gli All Reds, palla ovale e impegno politico per sfatare il brutto mito che avvolge quello sport, un mito che lo vorrebbe machista e fascisteggiante e non denso di lealtà, socialità, rispetto. Renato, invece, gli stessi principi li applicava nel calcio con la maglia tutta rossa. E gli piaceva la musica, il reggae specialmente.

«Non si è trattato di una rissa tra balordi all’uscita di una delle discoteche del litorale ma di uno dei tanti episodi che si iscrive dentro un clima sociale, politico e culturale di intolleranza determinato dalle destre in Italia. Non sappiamo chi sono questi delinquenti ma queste pratiche ci ricordano da vicino le tante aggressioni agli spazi sociali e alle persone che li attraversano che si sono ripetute a Roma e altrove», questo scrissero i suoi compagni.

Focene, 2mila abitanti, è solo un vialone stretto schiacciato tra il recinto dell’aeroporto e il mare. A nord c’è Fregene, a sud, oltre la foce del Tevere, ci sono Fiumicino e poi Ostia. Non c’è nemmeno una vera e propria piazza. Ma certo non è un ghetto. Piuttosto è un classico paese di mare nato alla rinfusa ma sostanzialmente tranquillo. Certe sere d’inverno anche troppo. Si dice che anche la “mafia dei chioschi”, virulenta soprattutto sotto Roma, non sia ancora arrivata. Con Gela, quello di Fiumicino è il posto più abusivo d’Italia.

Non fu una rissa ma un’aggressione a freddo quella che causò la morte di Renato Biagetti: gli atti di indagine sono stati più chiari della manipolazione mediatica che tentò di rubricare il fatto alle voci “rissa tra balordi”. Renato si beccò otto coltellate da due giovanissimi (18 e 17 anni). Saranno condannati, rispettivamente, a 15 e 14 anni e otto mesi. L’autopsia ha riscontrato un’elevata volontà omicida. Due i colpi che hanno raggiunto il cuore in profondità. Perizie e testimonianze vanno tutte in un’unica direzione. E nulla, sul corpo di Renato, fa pensare a una sua attività aggressiva, non c’era nulla neppure sotto le unghie. Dagli imputati nessun segno di ripensamento. Prima s’è cercato di occultare le prove, poi è stato messo in atto un maldestro tentativo di espatrio verso i Caraibi proprio all’indomani dell’aggressione. Le loro famiglie, intanto, ostentano un’assoluta indifferenza che ha sconvolto Stefania, la mamma di Renato.

Da allora Stefania, Dario e lə compagnə di Renato non si limitano a conservarne la memoria ma sono trainanti nelle lotte antifasciste specialmente attraverso il festival Renoize e l’associazione delle Madri per Roma Città Aperta che Stefania Zuccari ha voluto costituire ispirandosi all’esperienza delle Madres argentine che in Plaza de Mayo, rivendicando il “ritorno con vida”, hanno voluto risollevare la bandiera delleə loro figlə e portare avanti quegli ideali. Anche quest’anno, dopo la veglia a Focene di questa notte, la Roma Antifascista si stringerà per rendere possibile #Renoize2023 in programma l’1 e il 2 settembre a Parco Schuster.

Così scrissero il 31 agosto di quell’anno, gli amici e le amiche di Renato:

Leggiamo gli articoli su Renato ma sembra che non parlino di lui né di quello che è realmente accaduto. Allibiti e sconcertati dai mezzi di informazione nazionale abbiamo sentito la necessità di parlarvi davvero di Renato e di quello che ha vissuto.

Su “l’Unita” del 29 agosto 2006 una giornalista ha scritto un articolo sconcertante che fornisce una ricostruzione erronea dei fatti, non capiamo come la verità possa essere travisata in questo modo: non è stata una rissa è stata un’aggressione. Su “la Repubblica” del 28 agosto 2006 è stato scritto «rissa tra balordi»: non è stata una rissa, è stata un’aggressione.

Quando li abbiamo incontrati a casa di Renato, abbiamo chiesto ai giornalisti di non parlare di rissa, ma hanno deciso ugualmente di interpretare la storia a modo loro; Renato aveva il valore della non violenza: non è stata una rissa è stata un’aggressione.

Nessuno si preoccupa invece di sottolineare che c’erano due ragazzi armati di coltello, alle cinque di mattina, parcheggiati in macchina fuori da una dance hall al termine di una strada chiusa, senza neanche essere andati alla festa: questa non è stata una rissa, è stata un’aggressione. Renato non ha nemmeno cercato di difendersi, ha chiesto al suo aggressore soltanto di «levare quella lama», di rendersi conto di cosa stesse facendo.

Non è stato un tentativo di rapina, non è stata una rissa tra balordi, è stata un’aggressione (…)

Noi sappiamo di Renato che odiava la violenza, aveva il valore della vita e la sua scelta politica è stata sempre quella di rispettarla ad ogni condizione nelle sue azioni di tutti i giorni. Non era un attivista politico né era un militante ma sceglieva di frequentare posti in cui il suo impegno sociale era condiviso e poteva esprimersi con la collaborazione partecipata cosi come con il divertimento.

Non vogliamo che il suo ricordo venga strumentalizzato, non vogliamo che il suo ricordo sia utilizzato cioè come uno strumento di potere. Vogliamo che tutti sappiano che quello che è successo a Renato sarebbe potuto capitare a chiunque. Vogliamo che l’assurdità della realtà in cui viviamo vi colpisca come una pugnalata in petto senza possibilità di nascondersi dietro generalizzazioni di circostanza utilizzate dai media del tipo «era un frequentatore di centri sociali». Renato era anche, anzi sopratutto, qualcos’altro. E noi lo sappiamo. E sabato sera era andato a ballare al “Buena Onda” a Focene con Laura e Paolo a differenza di quei due ragazzi che stavano fuori dalla dance hall con un coltello in tasca…

 

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