Abbiamo ricostruito le vicende del Cile dagli anni ’70 alla situazione attuale con David Munoz Gutierrez, esule cileno
Cinquanta anni fa, l’11 settembre del 1973 il governo di Salvador Allende, primo presidente marxista democraticamente eletto del continente americano il 4 settembre 1970, viene destituito con le armi da un colpo di stato militare guidato dal generale Pinochet e appoggiato dagli USA.
La giunta militare, già dal giorno dopo, procede all’eliminazione di tutte le forze di opposizione. Nel giro di pochi mesi il numero dei desaparecidos raggiunge le molte migliaia. Approssimativamente 130.000 persone sono arrestate nei tre anni seguenti, molte di queste uccise.
Abbiamo ricostruito le vicende del Cile dagli anni ’70 alla situazione attuale con David Munoz Gutierrez, esule cileno, arrivato in Italia come rifugiato politico circa un anno dopo il colpo di stato. David è stato un militante e dirigente del Partito socialista cileno nella provincia di Cautin, regione rurale con capitale Temuco, 700 km. a sud di Santiago, dove si è occupato della sindacalizzazione dei contadini come funzionario della Unidad Popular. L’11 settembre 1973, durante il colpo di Stato, si trovava a Santiago. Ricercato vivo o morto dai golpisti nella sua regione, rimane nascosto a Santiago per quasi un mese, poi trova asilo all’ambasciata italiana dove rimane 10 mesi prima di poter lasciare il paese e raggiungere l’Italia.
Sulla sua esperienza ha scritto un libro autobiografico Cile una storia come tante. Tra l’altro ha collaborato con Nanni Moretti per il documentario Santiago, Italia del 2018.
Quando hai iniziato ad occuparti di politica e perché?
In tutti i paesi c’è un nord e un sud, quartieri alti per i ricchi e quartieri bassi per i poveri. Dalle mie parti c’erano paesini abitati da miseri contadini circondati da tante terre tutte appartenenti a grandi proprietari terrieri. Vedendo questo, uno si domanda: “perché c’è questa divisione? Si può cambiare?”. Poi incontro dei compagni appartenenti alla Gioventù socialista, sento parlare di questo politico, Allende, che si occupava dei poveri nonostante fosse benestante, agiato e mi unisco al gruppo.
Entro al liceo e vengo eletto alle elezioni scolastiche. Portavamo avanti iniziative per gli studenti. Ad esempio, al liceo c’erano 3 classi sole, per terminare il percorso, bisognava frequentare le altre classi in un altro paese. La mia prima battaglia è stata che ci fosse nel mio paese un liceo completo e l’ho vinta. La seconda battaglia è stata per la possibilità di aver colazione e pranzo a scuola, perché tanti studenti provenivano dalla campagna, facendo 3-4 km per venire a scuola. Al congresso del ‘69 i compagni mi eleggono vicesegretario della Gioventù socialista. Nel ’70 il mio sogno diventa realtà: Allende diventa presidente. È il coronamento di una battaglia durata 14 anni, la grande alleanza anticapitalista e antimperialista per riscattare le risorse del paese, prima fra tutte il rame. Quello stesso anno, i compagni mi mandano a Temuco per studiare la riforma agraria di Allende.
II giorno del golpe eri a Santiago. Ci racconti quello che hai visto? E tu come lo hai vissuto?
Il 29 giugno ‘73 c’era stato un tentativo di colpo di stato perpetrato da una caserma con carri armati. II generale dell’esercito si era messo da solo con la sua mitraglietta davanti al primo carro armato e aveva obbligato il soldato a scendere dal mezzo e ordinato a tutti di deporre le armi. Tuttavia i golpisti avevano già sparato molti colpi uccidendo anche un giornalista svizzero, la cui telecamera, però, aveva continuato a riprendere tutta la scena. Quella sera a Santiago c’è stata una grande manifestazione a sostegno di Allende. Erano mesi di grande tensione, arrivavano notizie drammatiche, la destra faceva sempre più attentati.
Il partito allora chiama tutti i segretari provinciali per vedere come andavano le cose nelle varie parti del paese. La riunione era fissata per 7-8-9 settembre. Domenica sera si tiene una grande manifestazione a sostegno di Allende nello stadio, quello stesso stadio che tre giorni dopo diventa il più grande centro di detenzione e di massacro da parte dei golpisti. Lunedì 10 io e i miei compagni del sud andiamo in qualche ministero. C’era nervosismo. Martedì 11 settembre ci svegliamo con i carri armati nelle strade e su tutte le radio marcette militari.
Cerchiamo di recarci alla sede del comitato centrale del partito ma non ci riusciamo. Si sentivano spari ovunque. Torniamo indietro e ci uniamo ad altri che ascoltavano cosa stava succedendo all’ultima radio che ancora trasmetteva, radio Magallanes. Ascolto Allende che dice di rimanere nelle fabbriche e nelle case, di non lasciare il lavoro, poi, alle 9:55, il suo ultimo discorso, prima del suicidio, eroico, mentre bombardano la Moneda. Dopo si sente il bando dei militari che ordinano di non uscire di casa, pena l’uccisione.
Casa successe nei giorni seguenti a quell’ “amaro mese di settembre” per dirlo con le parole di Neruda? Avevi un mandato di cattura vivo o morto: come ti sei salvato? come hai vissuto?
Ritorniamo in albergo. La notte tra il 12 e il 13 entrano 40 militari con il finto pretesto che dalle finestre si era sparato contro i soldati, ci spingono tutti in corridoio, facce al muro e mani alzate, poi perquisiscono tutte le stanze. Noi avevamo già distrutto tutti i documenti compromettenti ma un mio compagno aveva ancora un foglio del sindacato democratico dei tassisti. I militari ci chiamano e ci interrogano, io vengo picchiato due volte con il calcio del fucile, che mi è rimasto il mal di schiena per un anno. Al mio compagno non venivano le parole quindi parlo io e mi invento una storia per giustificare quel foglio. Ci salviamo solo perché in corridoio avevano fermato 7-8 uomini. II capo aveva chiamato i due soldati che ci avevano presi dicendo “finalmente abbiamo trovato un po’ di comunisti!”. Poi ci spingono in camera e ci chiedono dentro. Quei compagni sono stati portati via e non se ne è saputo più niente. Dopo l’albergatore ci riunisce tutti nella hall: ci studiavamo a vicenda per cercare di capire se fra di noi c’era qualche infiltrato, qualche spia. Nei giorni successivi, pur permanendo il coprifuoco, viene consentito a chi era rimasto bloccato a Santiago di tornare a casa.
Come mai tu hai scelto di non tornare?
I miei compagni mi hanno detto che mi avrebbero avvisato se era sicuro per me tornare. Qualche giorno dopo, un cugino mi avverte di non andare al sud perché ero ricercato vivo o morto e il mio volto, con una taglia, era appeso dovunque: sui pali della luce, alle fermate del bus… Allora vado da uno zio paterno che abitava a Santiago. Mi ha accolto e nascosto, sebbene fosse pericoloso, perché in tv minacciavano che chi aiutava i “comunisti” sarebbe stato ucciso. Sua moglie gestiva una scuola di infanzia e lui un istituto statale. Cercavo di andare in giro a raccogliere qualche informazione quando arrivavano i genitori a prendere i bambini a scuola, così mi mimetizzavo nella folla. Tre amici mi hanno dato dei soldi per sopravvivere. Ho cercato di camuffarmi e cambiare fisionomia: ho tagliato i capelli, ho iniziato a indossare maglioni dolce vita e mi sono fatto crescere i baffi. È da allora che li porto! Vivo così quasi un mese. Poi, tramite contatti con cristiani socialisti, una suora “in borghese” bussa alla porta di casa di mio zio. Mi viene a prendere, mi nasconde fra le ceste di un furgone fino a un convento e mi dice il suo nome. Il giorno dopo, con un’altra suora, mi aiuta a scavalcare il muro dell’ambasciata italiana, dicendo “sono Valeria, saluta di là tutti quelli che ho aiutato a scavalcare prima di te”.
Hai più avuto notizie di questa suora?
Una volta, alla festa dell’Unità a Bologna, ho trovato un libro scritto dal diplomatico italiano Roberto Toscano nel quale si parlava di suor Valeria che lamentava che venisse fatto poco per i profughi cileni. Ultimamente è stato realizzato un documentario sulla vita delle suore che aiutavano i rifugiati e così ho scoperto che fine ha fatto Valeria: si è smonacata e si è sposata con un prete, che a sua volta si è spretato, conosciuto proprio in Cile, con il quale ha avuto due figli. Sono tornati a vivere nel nord Italia.
Quanto sei rimasto all’ambasciata?
Sono entrato il 9 ottobre del ’73 e uscito il 20 agosto del ’74, quando, con una macchina diplomatica, mi hanno scortato fino alla scaletta di un aereo diretto in Italia.
Quando sei arrivato in Italia che impressione hai avuto?
In Italia c’era il più grande partito comunista d’Europa. A quei tempi in occidente c’erano vari movimenti di sinistra nei quali venivano raccontate le vicende del Cile. La vedevi la gente commossa che ti cercava di aiutare il più possibile. Il momento che più mi ha colpito è stato l’11 settembre del ’74: mi hanno invitato a Torino ad un meeting in occasione del primo anniversario del golpe e lì c’erano 200.000 persone!
Era un momento storico importante quello: c’erano due mondi: uno capitalista e uno socialista. C’erano i paesi africani che lottavano contro il nuovo schiavismo, c’erano in Europa – Spagna, Portogallo, Grecia – e in America latina dittatori feroci, più di 30.000 desaparecidos in Argentina e 38.000 in Cile, oltre ai circa 2.000 morti accertati.
Veniamo ai nostri giorni: come è avvenuto il processo che ha portato alle proteste prima e poi alle elezioni dell’assemblea costituente del 2021 e alle elezioni di Boric nel dicembre del ’22?
Anche dall’esilio, non ho mai smesso di seguire la politica del Cile. Pinochet non lo abbiamo sconfitto, ma ha solo seguito il consiglio di lasciare il governo, ed è rimasto a capo delle forze armate fino al 1998 e senatore a vita, godendo dell’immunità parlamentare, non ha mai scontato una pena e, come molti dittatori, è morto nel suo letto. Ciò ha portato alla trasformazione dei partiti, i socialisti si sono venduti al neoliberismo, infatti io non ho più preso la tessera. C’è stata una sorta di patto segreto: facciamo finta di cambiare tutto per poi non cambiare niente, una sorta di “gattopardismo”. Nella sostanza la Costituzione voluta da Pinochet è rimasta, hanno fatto votare alla gente una riforma costituzionale senza sostanza, che non alterava la Costituzione del dittatore e alle prime elezioni “libere” il suo candidato ha preso il 48% dei voti e ha continuato a privatizzare a compagnie estere tutto: le scuole, la sanità, le strade, l’elettricità etc… Ciò ha fatto sì che la gente si stancasse. Nel ’21 l’aumento del prezzo del biglietto della metro ha dato avvio a una rivolta degli studenti che poi si è estesa ai professori, agli abitanti dei quartieri popolari con lo slogan “non sono 30 pesos – aumento del biglietto – ma sono 30 anni – dalla fine della dittatura -”. Si sono sommate alle proteste le rivendicazioni per la scuola pubblica, l’insegnamento libero, la sanità pubblica. Si è creato un grande movimento di un milione di persone che ogni venerdì si riuniscono in Plaza de la Unidad e ha preso piede l’dea di dover cambiare la Costituzione. Si arriva a un accordo tra i partiti e il governo, creando “il piano per la pace in Cile” che prevedeva un referendum sulla Costituzione e l’elezione di un’Assemblea costituente con il 50% di donne e i rappresentanti dei popoli autoctoni indios e dei partiti indipendenti. La sua Presidente è stata una donna mapuche. I 150 costituenti erano a maggioranza progressista e hanno lavorato straordinariamente, creando una Costituzione bellissima, che consta di oltre 300 articoli e più 70 provvedimenti transitori. Boric era d’accordo con la Costituente.
E poi, giusto un anno fa (se non erro era proprio il 4 settembre) lo sfacelo: la nuova Costituzione viene bocciata…
La legge prevedeva che, per approvare questa Costituzione, bisognava andare a votare. Sono andati alle urne 14 milioni di persone, anche quelli di destra che invece avevano disertato le elezioni per la Costituente. 8 milioni di voti sono stati comprati per votare contro, 2 milioni e mezzo di persone hanno votato scheda bianca o hanno invalidato le schede. La grande maggioranza dei mezzi di comunicazione è in mano alla destra, così il popolo è stato sobillato con bugie e baggianate. In questo modo il 62% dei votanti ha respinto la Costituzione.
Moltissimi han data la colpa al Presidente attuale, Boric, ma lui non c’entra nulla, anzi ha varato una legge per continuare a cercare i desaparecidos. Ormai in America latina non si fanno più i colpi di stato militari, ma amministrativi, gettando fango e calunnie sui presidenti democratici.
E ora? Che ne sarà della Costituzione?
C’è un comitato per redigere un’altra Costituzione. Ma questo è composto solo da 50 persone di alto livello non dai rappresentanti del popolo come nella prima Costituente, dove c’erano esponenti di tutte le classi sociali. Poi è previsto che un comitato tecnico giudichi ciò che questi 50 hanno redatto. Il 17 dicembre finirà questo processo e questa nuova Costituzione verrà o no validata dal popolo. Ma è molto pericoloso, perché nella commissione dei 50 la destra ha la maggioranza e possono fare una Costituzione simile a quella di Pinochet. La sinistra, come dovunque purtroppo, è divisa e indecisa se votare sì o no a questa nuova carta costituzionale.
Che prospettive vedi?
A 50 anni dal golpe il potere resta in mano alla mafia, che porta nel paese la droga. Quartieri interi sono in mano alla mafia. I Carabinieri chiedono più potere per fronteggiarla, perché hanno dei protocolli di ingaggio che impediscono loro di usare la pistola se non sei già puntato.
E, a parte questo, in Cile c’è ancora una ferita profonda ed è difficile la riconciliazione.
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[…] CHIARA NENCIONI – POPOFFQUOTIDIANO.IT Cinquanta anni fa, l’11 settembre del 1973 il governo di Salvador Allende, primo presidente marxista democraticamente eletto del continente americano il 4 settembre 1970, viene destituito con le armi da un colpo di stato militare guidato dal generale Pinochet e appoggiato dagli USA.La giunta militare, già dal giorno dopo, procede all’eliminazione di tutte le forze di opposizione. Nel giro di pochi mesi il numero dei desaparecidos raggiunge le molte migliaia. Approssimativamente 130.000 persone sono arrestate nei tre anni seguenti, molte di queste uccise.continua inhttps://www.popoffquotidiano.it/2023/09/10/cile-1973-il-ricordo-di-un-esule/ […]