Ricordando l’11 settembre 1973: il colpo di stato di Pinochet in Cile appoggiato dagli Stati Uniti [Daniel Bensaid]
Questo settembre ricorre il 50° anniversario del golpe di Pinochet in Cile, sostenuto dagli Stati Uniti e dalle multinazionali. Fu una delle sconfitte più pesanti e sanguinose mai subite dalla sinistra e dal movimento progressista in America Latina. Quest’anno in tutta Europa sono stati organizzati numerosi eventi e convegni per ricordare e discutere il processo e il colpo di stato cileno.
Quello che segue è un estratto di un capitolo di un libro, Recorded Fragments, di Daniel Bensaid, che Resistance Books ha tradotto in inglese (pubblicato nel 2020). E’ un testo particolarmente significativo perché spiega anche le ragioni di una spinta internazionalista poderosa che vide protagoniste in mezzo mondo, Italia compresa ovviamente, le forze della sinistra rivoluzionaria.
Il libro è la trascrizione di una serie di interviste radiofoniche rilasciate da Daniel alla stazione radio Paris Plurielle nel 2008. Daniel Bensaïd è nato a Tolosa nel 1946. È diventato un leader del movimento studentesco del 1968 e successivamente di una delle principali organizzazioni di estrema sinistra francesi (Ligue Communiste Révolutionnaire) e della Quarta Internazionale. È autore, tra l’altro, di Una lenta impazienza, Alegre, 2015. È morto a Parigi nel 2010.
Il Cile, per noi, per la generazione cresciuta politicamente negli anni ’70, è il luogo dove è avvenuto uno scontro decisivo, per certi versi esiziale, tra le aspirazioni al socialismo di settori largamente maggioritari delle società e la controrivoluzione neoliberista che, di lì a poco, avrebbe riversato la sua carica autoritaria e costituente di rapporti di forza diseguali sul resto del mondo. Pinochet, infatti, chiamò gli allievi di Milton Friedman alla Chicago School of Economics a gestire l’economia cilena con dosi da cavallo di privatizzazioni. Nello stesso tempo, come spiega Bensaid in questo articolo, nella breve stagione di governo di Unidad Popular, la coalizione che sosteneva Allende, si consumò a sinistra anche il confronto tra l’opzione più radicale e quella più riformista di fronte alla reazione furiosa delle classi dominanti di fronte al successo elettorale di uno schieramento connotato dai partiti del movimento operaio. Ringraziamo Dave Kellaway di Anticapitalist Resistance per la segnalazione di questo testo….
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L’11 settembre 1973, i militari cileni posero fine in modo sanguinoso ai tre anni di esperienza riformista dei governi di Salvador Allende. Augusto Pinochet, capo delle forze armate, diede inizio a un nuovo ciclo di sanguinosa repressione e di brutale liberismo economico, iniziato in Bolivia con il golpe di Banzer del 1971. A lui seguirono presto altre dittature in Sud America, come quella guidata dal generale Videla in Argentina nel 1976.
Gli Stati Uniti, che intervengono in tutto il Sudamerica, non hanno alcuna intenzione di permettere ai popoli del loro cortile di alzare la testa contro i loro interessi.
Forse dovremmo iniziare ricordando che il golpe dell’11 settembre, nel 1973, e non quello dell’attacco terroristico alle Torri Gemelle del 2001, è stato prima di tutto uno shock emotivo. Eravamo soggiogati dalle notizie che arrivavano alla radio dalla sede del Palazzo presidenziale, La Moneda, e poi dagli annunci che via via arrivavano sul successo del colpo di Stato. All’inizio speravamo che non riuscisse, visto che un altro colpo di Stato era fallito a giugno tre mesi prima, ma poi abbiamo avuto la notizia della morte di Allende.
Come si può spiegare un tale shock emotivo, che non era stato la nostra reazione durante il più grande bagno di sangue del 1965, quando il Partito Comunista Indonesiano fu schiacciato, o più recentemente con la repressione del Partito Comunista Sudanese? Credo che sia perché in Europa e in America Latina c’era una forte identificazione con quanto stava accadendo in Cile. C’era la sensazione che si trattasse di un nuovo scenario e di una possibilità, praticamente un esperimento di laboratorio, valido sia per l’Europa che per l’America Latina, in modi diversi.
Perché era così importante per l’Europa?
Perché avevamo l’impressione, in parte falsa direi oggi, di avere finalmente un Paese che rispecchiava la nostra realtà. A differenza di altri Paesi latinoamericani, c’era un forte partito comunista, c’era un partito socialista rappresentato o guidato da Salvador Allende, c’era un’estrema sinistra della nostra stessa generazione. Esistevano piccoli gruppi come il MAPU (Movimento Unitario di Azione Popolare, una corrente cristiana) e il MIR, il Movimento della Sinistra Rivoluzionaria, nato nel 1964-65 sotto l’impulso della Rivoluzione cubana. C’era un’identificazione con quest’ultima organizzazione, con i suoi militanti, con i suoi leader che erano praticamente della nostra generazione, che avevano un background abbastanza simile. Il MIR si formò da due fonti: da un lato si ispirava a Che Guevara e alla Rivoluzione cubana; dall’altro c’era un’influenza trotskista, va detto, attraverso un grande storico dell’America Latina, Luis Vitale. Era uno dei padri fondatori del MIR, anche se ne fu allontanato o se ne andò poco dopo. Tutto questo in un Paese in cui, in fin dei conti, lo stalinismo non era mai stato dominante, anche a sinistra, né aveva il ruolo che il partito comunista aveva in Argentina, ad esempio.
In Cile c’era un fattore specifico, che rappresenta una delle difficoltà di comprensione della situazione. Il Partito socialista cileno, anche se si definiva socialista, aveva poco a che fare con la socialdemocrazia europea. Era un partito che era stato costruito negli anni ’30 come reazione, in opposizione alla stalinizzazione dell’Internazionale Comunista. Si trattava quindi di un partito più a sinistra che a destra del PC, per cui era forte l’idea che il Cile potesse dare l’esempio di uno scenario in cui la sinistra arrivava al potere attraverso le elezioni. Questo sarebbe stato l’inizio di un processo sociale di radicalizzazione che avrebbe portato o, diciamo, transizione verso una rivoluzione sociale radicale in un momento in cui, va ricordato, il prestigio della Rivoluzione cubana in America Latina era, se non intatto, almeno ancora molto importante.
Credo che quanto accaduto in Cile ci sia ancora di insegnamento per noi.
Oggi sarei più cauto nel riflettere le realtà europee. Credo che, vista da lontano, ci sia stata la tendenza a sottovalutare le relazioni sociali e le riserve di reazione e conservatorismo che esistevano nella società cilena. Lo abbiamo visto molto nell’esercito perché, come si diceva e si ripeteva all’epoca, l’esercito era stato addestrato da istruttori tedeschi sul modello dell’esercito prussiano, che già non era molto incoraggiante. Ma in più, come ho visto da allora, è un Paese in cui la tradizione cattolica, la corrente cattolica conservatrice, è importante.
Inoltre, questo era solo un punto di partenza. Allende fu eletto nel settembre-ottobre 1970, in un’elezione presidenziale, ma solo con una maggioranza relativa di circa il 37%. Affinché la sua nomina fosse ratificata dall’Assemblea, furono poste delle condizioni. Queste condizioni includevano due aspetti fondamentali: nessuna interferenza con l’esercito e il rispetto della proprietà privata. Questi erano i due limiti posti fin dall’inizio dalle classi dominanti, dalle istituzioni, per accettare l’investitura di Allende.
Tuttavia, è vero che la vittoria elettorale ha alimentato le speranze della gente e ha innescato un rafforzamento dei movimenti sociali, che è culminato in una grande vittoria elettorale nelle elezioni municipali del gennaio 1971. Credo che Unità Popolare, la coalizione di sinistra su cui Allende faceva affidamento in quel momento, abbia avuto in questa occasione (e solo in quell’occasione) la maggioranza assoluta in un’elezione.
Questo ovviamente ha dato maggiore legittimità allo sviluppo del processo.
Quindi abbiamo avuto una vittoria elettorale, una radicalizzazione, ma anche una polarizzazione inizialmente interna al Cile, che si è gradualmente tradotta in una mobilitazione della destra, anche con azioni di piazza. La data di riferimento è lo sciopero dei camionisti dell’ottobre 1972. Ma non bisogna pensare che sia stato guidato dai lavoratori: sono stati i datori di lavoro a organizzarlo. La lunga configurazione geografica del Cile rendeva strategico il trasporto su strada. C’è stato quindi questo sciopero dei camionisti, sostenuto da quelli che venivano chiamati cacerolazos (persone che sbattevano pentole vuote), cioè movimenti di protesta, in particolare da parte dei consumatori della classe media di Santiago. Santiago rappresenta più della metà del Paese in termini di popolazione. Si tratta di un primo tentativo di destabilizzazione nell’autunno del 1972.
A quel punto si aprì finalmente un dibattito sulla via da seguire per il processo cileno, che aprì due possibilità in risposta alla destabilizzazione della destra. Quest’ultima era fortemente sostenuta anche dagli Stati Uniti. Oggi sappiamo, con le rivelazioni del piano Condor, quanto e per quanto tempo gli Stati Uniti siano stati coinvolti nella preparazione del colpo di Stato, attraverso le multinazionali ma anche attraverso i consiglieri militari americani. Così all’inizio del 1973, dopo l’allarme dello sciopero dei camionisti, c’erano diverse opzioni. O una radicalizzazione del processo, con maggiori incursioni nel settore della proprietà privata, con misure radicali di ridistribuzione, aumenti salariali e così via. Tutte opzioni che sono state discusse. O al contrario, ed era questa la tesi che prevaleva, avanzata da Vukovik, Ministro dell’Economia e delle Finanze, membro del Partito Comunista. Il governo doveva rassicurare la borghesia e le classi dirigenti delimitando definitivamente l’area della proprietà pubblica o della proprietà sociale e dando ulteriori garanzie ai militari.
Il secondo episodio di destabilizzazione fu molto più drammatico, non più uno sciopero aziendale come quello dei camionisti, ma nel giugno del 1973 si assistette a un primo tentativo, una prova generale di colpo di Stato, il cosiddetto tancazo, in cui l’esercito, in realtà un reggimento di carri armati, scese in piazza ma fu neutralizzato.
Credo che questo sia stato il momento cruciale. Per esempio, è stato il momento in cui il MIR, che era una piccola organizzazione di poche migliaia di militanti molto dinamici – non dobbiamo sopravvalutare le sue dimensioni, ma per il Cile era significativa – ha proposto di entrare nel governo, ma a certe condizioni. Dopo il fallimento del primo colpo di Stato, si pose il problema di formare un governo il cui baricentro si sarebbe spostato a sinistra, che avrebbe preso misure per punire o disarmare i militari cospiratori. Ma è stato fatto esattamente il contrario.
Cioè, tra il periodo del giugno 1973 e l’effettivo colpo di Stato dell’11 settembre 1973, c’è stata la repressione contro il movimento dei soldati nelle caserme, le ricerche per disarmare i militanti che avevano accumulato armi in previsione della resistenza a un colpo di Stato, e poi, soprattutto, ulteriori promesse date all’esercito con la nomina di generali a incarichi ministeriali, tra cui Augusto Pinochet, il futuro dittatore. C’è stato quindi un cambiamento di spinta e Miguel Enriquez, il segretario generale del MIR che è stato assassinato nell’ottobre del 1974, un anno dopo, ha scritto un testo, in questo periodo intermedio tra il colpo di stato e il colpo di stato, che si chiamava “Quando siamo stati i più forti? “. Credo che sia stato estremamente lucido: fino all’agosto 1973 ci furono manifestazioni di 700.000 manifestanti a Santiago, che sostenevano Allende e rispondevano al colpo di Stato. Quello era effettivamente il momento in cui era possibile una controffensiva del movimento popolare. Al contrario, la risposta è stata uno spostamento a destra delle alleanze di governo e ulteriori impegni presi con i militari e le classi dominanti, che in realtà hanno significato alla fine incoraggiare il colpo di Stato.
È così che siamo stati spiazzati. Lei ha parlato del riformismo di Salvador Allende, ma alla fine, rispetto ai nostri riformisti, era ancora un gigante della lotta di classe. Se guardiamo ai documenti d’archivio di oggi, deve essere ancora rispettato.
Nel movimento di solidarietà con il Cile, che è stato molto importante negli anni successivi, 1973, 1974 e 1975, direi che siamo stati un po’ settari nei confronti di Allende, che è stato reso responsabile del disastro. Questo non cambia il problema politico. Implica il rispetto per l’individuo, ma rimane un enigma: nelle prime ore del colpo di Stato, egli aveva ancora la radio nazionale, era ancora possibile indire uno sciopero generale, mentre alla fine è stato lanciato un appello alla resistenza “statica” nei luoghi di lavoro, e così via. Forse non era possibile. Persino un’organizzazione come il MIR, che avrebbe dovuto essere preparata militarmente, fu colta di sorpresa dal colpo di Stato. Lo vediamo oggi nel libro di Carmen Castillo, Un giorno d’ottobre a Santiago o nel suo film, Santa Fe Street, 2007. Sono stati colti di sorpresa, forse, a mio avviso, perché non immaginavano un colpo di Stato così brutale e massiccio. Si immaginavano la possibilità di un colpo di Stato, ma che sarebbe stato, in un certo senso, parziale e che avrebbe dato il via a un nuovo periodo di guerra civile virtuale, con focolai di resistenza armata nelle campagne. Da qui l’importanza che avevano dato – e questo si ricollega all’altro aspetto della questione – al lavoro tra i contadini della minoranza mapuche, soprattutto nel sud del Paese.
Ma il colpo di Stato è stato un vero e proprio colpo di grazia. Non avevano preparato, né probabilmente previsto, uno scenario che riunisse:
- a) gli organi di potere popolare che esistevano,
- b) i cosiddetti “comitati di cintura industriale (cordones)”, che erano forme più o meno sviluppate di auto-organizzazione, principalmente nei sobborghi di Santiago;
- c) i “commandos comunali” nelle campagne;
- d) il lavoro nell’esercito, e infine
- e) a Valparaíso anche un embrione di assemblea popolare, una sorta di soviet locale.
Qualunque altra cosa si possa dire, tutto ciò esisteva e suggerisce ciò che sarebbe stato possibile – ma ciò avrebbe richiesto la volontà e la strategia. Era un altro modo di rispondere al colpo di Stato, a giugno o a settembre, con uno sciopero generale, il disarmo dell’esercito, qualcosa di simile a un’insurrezione. Era sempre rischioso, ma bisognava soppesare il prezzo del colpo di Stato in termini innanzitutto di vite umane, di scomparsi, di torturati. Soprattutto, bisogna considerare il prezzo in termini di condizioni di vita delle persone, quando vediamo cosa è oggi il Cile, dopo più di trent’anni di dittatura di Pinochet. È stato un laboratorio per le politiche del liberismo. È stata una sconfitta storica. Se guardiamo a due Paesi vicini, il Cile e l’Argentina, il movimento sociale argentino ha recuperato rapidamente il suo spirito combattivo dopo gli anni della dittatura, nonostante le 30.000 persone scomparse. In Cile, la sconfitta è chiaramente di portata e durata diversa.
Credo che il colpo di Stato in Cile sia stato l’epilogo del fermento rivoluzionario che ha seguito la Rivoluzione cubana per 10-15 anni in America Latina. E come ha sottolineato nell’introduzione, le date raccontano chiaramente la storia: tre mesi prima del colpo di Stato in Cile, credo fosse il giugno 1973, c’è stato il colpo di Stato in Uruguay. Nel 1971 ci fu il colpo di Stato in Bolivia. Mentre in Argentina la dittatura era caduta, nel 1976 è tornata. Ma diciamo che simbolicamente l’uccisione di Allende, la scomparsa di Enriquez e praticamente di tutta la dirigenza del MIR, chiuse il ciclo iniziato dalla Rivoluzione cubana, dalle conferenze dell’OLAS (Organizzazione di Solidarietà Latinoamericana, riunitasi all’Avana nel 1967) e dalla spedizione del Che in Bolivia nel 1966.